“Opzione danno”. In pensione solo le donne con otto figli e una gamba
di Alessandro Robecchi
L’iter della legge finanziaria è sempre un toboga gibboso irto di curve, ostacoli, rallentamenti, testacoda e assurdità. Il tema, in definitiva, è quello di cavare sangue dalle rape, trovar soldi dove non ce ne sono, tirare di qua e di là una coperta sempre troppo corta e mettere in atto i ghirigori ideologici di chi tiene il timone. Sempre pronto, tra l’altro, a battersi il petto come un eroe, a dire “non mi importa di essere impopolare!”, che se ci fate caso è la prima cosa che dicono quelli che venderebbero la madre per essere il più popolari possibile. Così, infatti, Giorgia Meloni è andata a parlare agli industriali veneti, assicurando che il governo sta con le imprese, ci mancherebbe, i suoi regali vanno valutati in cinque anni, non nella prima legge di bilancio e che già in quella, comunque, c’è l’assicurazione sulle mani libere dell’impresa. Non verrete ostacolati: andate e sfruttateli tutti. Amen.
Resta, come sempre e più di sempre, la sensazione della spremitura delle olive, a volte fino al ridicolo, livello a cui è giunta la famosa “Opzione donna”, cioè la norma che doveva permettere alle donne che lo volessero di andare in pensione un po’ prima. Puoi farlo, ok, ma devi avere un figlio (le non mamme cazzi loro), anzi meglio due, ma non basta. Devi avere un parente infermo e fargli da badante. Oppure (meglio) essere inferma tu, invalida più del 74 per cento. Donne! È arrivato l’arrotino! Potete andare in pensione venti minuti prima ma solo con otto figli, una gamba sola e il vecchio padre infermo appeso al collo. I giornali, seriosissimi, titolano trattenendo le risate: “Opzione donna, si riduce la platea”.
Sono gli stessi giornali che fino a due mesi fa ci descrivevano i percettori di Reddito di cittadinanza come pascià sul divano, il narghilé in una mano, il telecomando nell’altra, sghignazzanti davanti ai poveri lavoratori madidi di sudore; e che ora scoprono che questi qui, i famosi fancazzisti da divano, non sanno quasi leggere né scrivere, che non sono occupabili, che non si sa cosa fargli fare, né dove, né come. Pazienza.
A proposito di essere più o meno popolari, bisogna in qualche modo ringraziare quel ventre molle del Paese (pardon, Nazione) che ha sostenuto la narrazione tossica dei cattivoni sul divano. Piccoli commercianti, piccoli artigiani, corporazioni pronte alla battaglia, potentati titolari di licenze, insomma tutti quelli che fare un po’ di nero non gli dispiace, ed ecco le norme sul Pos che si alzano e si abbassano come le paratie del Mose. Trenta euro, no, sessanta euro, ma in attesa di sentire cosa dice l’Europa. Insomma, signora mia, si prepara la festa nazionale del “caccia il contante”, con tanto di sghignazzamenti e sberleffi: “Mi volevi dare la carta? Marameo!”. Un Paese moderno (pardon, Nazione), non c’è che dire.
Dove vadano poi tutti ’sti soldi tagliati qui e là, ritagliati con le forbicine da rammendo o rapinati ai poveri, o sottratti al fisco, non è difficile da capire. Un’aliquota fissa al 15 per cento fino a 85.000 euro è un lusso da texani, finanziato coi soldi degli indigenti e dei poveracci. E in più – tradizione delle tradizioni – c’è il munifico regalo alla scuola privata: 70 milioni di euro in più nel 2023, elargiti con gesto elegante. “Ecco, qualche soldo per i chierici, su, su, prendete” dice il ministro, mentre alla cena di corte – che nemmeno si accorge della vergogna – discetta, con la parrucca incipriata, con l’ossequioso Bruno Vespa su come punire i discoli e gli indisciplinati. Ah, signora mia, che tempi!
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