martedì 15 gennaio 2019

Ranieri ben scruta


martedì 15/01/2019
Lo zen e l’arte di Salvini di svicolare

di Daniela Ranieri

Dopo tante ore di televisione sorbite e innumerevoli stringhe di testo sottoposte a attenta esegesi, domenica sera ci è parso di essere giunti al segreto della tecnica comunicativa di Matteo Salvini.

Da Giletti su La7, dove è andato principalmente a officiare il rito dell’ostensione del Cesare Battisti catturato, la temperatura è subito alta e la narrazione manichea come una puntata di Dragon Ball: Giletti parla di “sacrificio” dei “nostri uomini”; Salvini rilancia con “quello schifoso”, “quel vigliacco”, “quel soggetto”, “quel fenomeno”; Giletti si emoziona per “preso!”, come da comunicazione dei servizi; Salvini rilancia con “assassino comunista”, “italiani perbene”, “marcire in galera”. Questa variante climatica dell’ospitata salviniana, ormai un sottogenere del talk show politico, rivela come al tornasole che parte della facilità con cui il coltello di Salvini è entrato nel burro dell’Italia mentale deriva dal fatto che sulle questioni precise Salvini non risponde mai nel merito, ma fa una finta e dribbla l’avversario, aprendo un altro fronte tematico utile a lui. Un trucco dialettico vecchio come il mondo, giocato con tanta naturale maestria che quasi non ci se ne accorge.

“Perdonami, ho il cellulare acceso, perché quel soggetto lì dovrebbe salire in aereo verso le 10”, dice a scusante della sua distrazione, come se i servizi segreti non sapessero che in quel momento Salvini è in diretta Tv; da qui, il copione seguìto potrebbe adattarsi a qualsiasi scenario. Le domande di Giletti sono ascoltate, ignorate e bypassate; sono solo una pausa nella partitura preconfezionata e intercambiabile del rispostario salviniano, di solito ruotante attorno a un vortice: il conflitto tra la sua persona, dotata di qualità morali d’altri tempi (integrità, semplicità, genuinità), e la difficile contingenza di gestire un’immigrazione rapace e incontrollata.

Giletti lo provoca sull’epilogo della vicenda delle 49 persone lasciate in mare per 19 giorni: “Si dice che lei abbia ceduto sull’immigrazione”. “Guardi, io bado ai fatti: penso che gli italiani mi riconoscano concretezza, coerenza, serietà. I fatti dicono che nel 2018 sono sbarcati quasi 100mila immigrati in meno rispetto al 2017”, ed è ovvio che la risposta non c’entra niente con la domanda. Sulla minaccia di non identificare i migranti, ipotesi che creerebbe folle di clandestini in giro per l’Europa, ribatte: “Buono sì, scemo no”; poi inscena il noto teatrino parassitario: “Sono 30enni più robusti di me, col telefonino, le cuffiette, le scarpe da tennis”. Assicuratasi l’attenzione emotiva del pubblico, vira sul climax: “Spacciano, scippano, stuprano!”. Boato catartico del pubblico, lieto che qualcuno di autorevole osi quello che esso si permette solo dopo qualche bicchiere.

“Ma Conte si è sentito superato?”, insiste Giletti. Salvini: “Qual è la questione importante, di fondo?”, fa Salvini. “Che finché si fa capire agli scafisti che coi soldi che incassano comprano armi e droga… In Italia si arriva chiedendo permesso e per favore”. L’applauso è al pugno di ferro che il ministro nasconde sotto il pullover e ha il merito di far dimenticare a tutti la domanda, che riguardava i rapporti dentro il governo e non gli scafisti. Giletti: “Ma non si può applicare un protocollo valido sempre?”. Risposta: “Anche perché ci sono delle Ong che fanno i furbetti”.

Salvini sa che i telespettatori non sopportano le polemiche dei saccentoni (perciò hanno nausea di Renzi). Lontani i tempi in cui entrava in studio con l’iPad e sciorinava numeri e percentuali, oggi semplifica, porta la discussione al livello della chiacchiera da pianerottolo. L’unico strappo lo fa parlando di sbarchi, usando numeri spesso in conflitto con quelli del suo ministero, e di povertà: “Ci sono 5 milioni di italiani che vivono in Italia da poveri”, il che è falso: nei 5 milioni rientrano anche gli stranieri.

Giletti gli chiede dell’emendamento pro-Rixi, la modifica al codice penale che consentirebbe ai pubblici ufficiali di invocare l’indebita percezione e non il peculato, che ha pene più severe e una prescrizione più lunga. Salvini non ha idea di cosa sia il comma Rixi. A malapena sa che Rixi è il sottosegretario ai Trasporti. Le “manine” non concorrono alla sua epopea. Scarta di lato: “Sull’onestà mia non transigo, e anche su quella dei 5Stelle”, che nulla c’entrano visto che Rixi è della Lega. Poi fa il trucco zen del “Non pensare all’elefante bianco”: “Per carità, ci possono essere leggi fatte meglio. Stiamo lavorando alla riforma del processo civile e penale. Non è giustizia quella che ti dà una sentenza dopo 10 anni, magari sei fallito o sei sotto terra”, ovvietà che cancella dalla mente di chi ascolta l’eventuale favore all’imputato Rixi che egli chiama “fratello”. Poi si alza ed esce salutando con le mani giunte, come il Dalai Lama.

Nessun commento:

Posta un commento