sabato 21 luglio 2018

Daniela e chi se no?


sabato 21/07/2018
Silvio e Berlusca: l’ex Cav. sdoppiato

di Daniela Ranieri

Fortuna che in mezzo a insabbiamenti, fake news e troll pagati da russi resiste ancora la stampa libera. Ieri il Giornale svelava in prima pagina lo scandalo più grave della terza, ma forse della prima, seconda e terza Repubblica messe insieme, ovvero la “Segretariopoli” grillina, che si arricchisce di un nuovo increscioso fatto: non solo la segretaria particolare di Di Maio prende 72mila euro l’anno ed è fidanzata con un amico di Di Maio, ma l’assistente del ministro Bonafede, tale Daniele Longo, ci ha messo 9 anni a laurearsi. Sissignore, 9 anni (e questi sarebbero gli onesti), come da testimonianza dell’intrepido cronista, che speriamo sia stato messo sotto scorta dopo lo scoop.

Se non fosse per questi malecarni, la Nazione avrebbe il vento in poppa, a sentire il Giornale: “Mattarella frena le nomine ai dilettanti”, “Il fortino del Csm resiste all’assalto dei gialloverdi”, “Berlusconi accelera il rinnovamento azzurro”. Quest’ultima notizia in particolare ci riempie di gioia. Quando uno accelera un rinnovamento è sempre un bene per la democrazia. Per un attimo abbiamo avuto l’orribile sospetto che si trattasse dello stesso Berlusconi che appare in effigie sulla prima pagina del Fatto di ieri insieme a Mori e a Dell’Utri davanti alle macerie fumanti della strage di mafia di via D’Amelio in cui morì il giudice Borsellino e 5 agenti della scorta. Ma è stato lo scrupolo di un attimo, un’extrasistole nel placido elettrocardiogramma nazionale. Del resto, sugli altri autorevoli giornali che riportano la seconda più importante notizia del giorno, e cioè le motivazioni della sentenza sulla trattativa tra lo Stato italiano e la mafia, la faccia del Berlusconi presidente del Consiglio italiano per 9 anni (più altri al governo sotto forma di alleato responsabile di larghe intese e patti costituzionali) non compare mai, quindi deve trattarsi di un caso di omonimia. Non c’è altra spiegazione. Esistono due “Berlusconi” in Italia: l’imprenditore, affarista, lobbista di sé stesso, rutilante uomo politico che potrebbe godersi una dorata vecchiaia ma ha in petto la Patria; e il “Berlusca”, amico e socio di quel Dell’Utri accertatissimo tramite tra i mafiosi e il co-fondatore di FI. Lo sdoppiamento, o meglio la sostituzione di persona, stratagemma già caro agli antichi che facevano travestire, invecchiare o ringiovanire i loro personaggi dagli dèi (come Ulisse, trasformato a piacimento da Atena), nel caso di B. è perfettamente riuscito.

Non solo ci crede lui, che come si sa è maestro di mitopoiesi, ma tutti noi partecipiamo a questa commedia degli equivoci che in un istante – basta cambiare giornale – si trasforma in tragedia. Davanti alla sentenza raccapricciante che testimonia come un uomo tanto importante per il Paese sia stato legato alla mafia e ai fatti di sangue di cui essa sarebbe a questo punto co-responsabile, non sembra affatto stridente, e non solo sul Giornale, continuare a parlare di FI come fosse un partito vero e non una copertura per gli affari del Berlusca. Così da giorni apprendiamo che B. ha nominato Tajani, presidente del Parlamento europeo (dove peraltro i suoi colleghi non hanno fatto una piega dopo la sentenza), vicepresidente di FI, e Galliani coordinatore (del resto in campagna elettorale gli si chiedeva seriamente: “Come funzionerebbero le Am-lire?”). Simultaneamente, nelle ore d’aria concesse loro dal 41 bis, i mafiosi parlavano di un certo “Berlusca” che doveva loro un qualche favore, ma trattavasi in tutta evidenza del B. parallelo. Non di quello che ieri compariva in un video pubblicato dalle testate online, stravaccato sul divano, ripreso di nascosto dalla intrattenitrice dominicana Marysthell Polanco. “Facci un contratto”, chiedono le ragazze rinfacciandogli di aver perso lavoro e famiglia per stare dietro alle sue follie da Eliogabalo triste, “tu sei il presidente del Consiglio d’Italia!”.

Lui piange miseria: “I giudici hanno fatto una sentenza per farmi fallire, devo prendere i soldi dalle banche”, e intende che vuole chiedere un prestito, non fare una rapina. “Sono rovinato”, piagnucola sotto la cosmesi permanente, “ormai sono quello del Bunga Bunga, tutto quello che ho fatto come statista, come politico, ho evitato la guerra tra la Russia e la Giorgia (sic), ho fatto cose pazzesche… è tutto dimenticato”. Come può questo povero vecchio ricattato da mignotte-squali e inseguito dalle sue colpe divenute ossessioni (“Mi hanno fatto 36 processi”) essere il “Signor Crasto” (cornuto, ndr) nominato in carcere da Giuseppe Graviano? (Qualche dubbio lo instillano altre parole del boss: “Alle buttane glieli dà i soldi ogni mese”). È ovvio che se B. fosse responsabile delle stragi di mafia, non potrebbe dolersi con tanto insostenibile pathos di aver perso la faccia davanti al mondo per il Bunga Bunga. A meno che, e secondo noi è questo il caso, B. non creda come Rimbaud di essere un altro.

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