sabato 2 giugno 2018

Festa travagliata


sabato 02/06/2018
Bella ciaone

di Marco Travaglio

In attesa di sapere cosa farà il governo, vediamo com’è l’opposizione.
Quelli che il fascismo. Non le vedete le camicie nere in marcia su Roma, i vagoni piombati in partenza per Auschwitz, i lager con le bandiere di 5Stelle e Lega che garriscono dalle torrette? Peggio per voi: il fortunatamente ex ministro Delrio li ha visti e ha subito denunciato alla Rai (dove il suo partito Democratico e antifascista controlla tutte e tre le reti e i tg come Mussolini con l’Eiar) il palese fascismo del governo Conte. Resta da capire come mai il suo partito Democratico e antifascista abbia scritto l’ultima legge elettorale, il balsamico Rosatellum, con “la Lega neofascista”, oltreché con l’amico B. E come mai avesse ispirato la precedente, il prodigioso Italicum (purtroppo bocciato dalla Consulta perché incostituzionale), alla legge fascistissima Acerbo, peggiorandola un po’. Ma soprattutto andrebbe spiegato come mai, se vedeva il Duce alle porte, il partito Democratico e antifascista abbia fatto di tutto per spalancargliele, rifiutando con i leggendari #senzadime le offerte di Di Maio a sedersi al tavolo per firmare un contratto che magari, al posto del camerata Salvini, avrebbe confermato al Viminale il compagno Minniti. E ci avrebbe risparmiato non solo il Salvimaio, ma pure il “fronte repubblicano” renziano contro “fascisti” e “sfascisti” per difendere la Costituzione (che il Pd voleva distruggere) con le brigate antifranchiste capitanate dai comandanti Renzi, Boschi e Calenda, in clandestinità sulle montagne d’Etruria con Guernica appuntata al petto sulle divise in cachemirino e il cartoccio di pop-corn a intonare “Bella ciaone”. Senza contare che, se davvero Mattarella avesse spalancato le porte al fascismo come re Sciaboletta nel 1922, bisognerebbe dirne quattro anche a lui.

Quelli che è tutta destra. Il governo giallo-verde rappresenta il M5S, movimento postideologico con principi tipici di ogni centrosinistra, e la Lega, partito di destra. I 5Stelle esprimono il premier e 10 ministri su 18, quasi tutti i più pesanti (Lavoro-Infrastrutture-Telecomunicazioni, Esteri, Difesa, Giustizia, Salute, Ambiente, Sud), tranne i 2 affidati alla Lega (Interni ed Economia). Lo stesso vale per il programma, che l’Istituto Cattaneo (vicino al Pd) definisce in prevalenza “di centro”, con punte molto progressiste su beni comuni, reddito di cittadinanza, lotta all’illegalità dei colletti bianchi, e altre di destra su migranti e autodifesa.

Però l’ideologia e il rosicamento sono duri a morire: basta leggere Repubblica e l’Espresso che, dopo aver sapientemente bocciato qualunque ipotesi di dialogo fra Pd e M5S, ora piagnucolano per il “governo di destra”, con “programma di destra”, “atteggiamenti di destra”, “natura dichiaratamente di destra” e probabilmente anche canottiere, mutande, calzini e guêpière di destra, insomma un “laboratorio pratico della nuova destra sovranista e antieuropea” (Claudio Tito). Basta che Conte&C. dicano “cambiamento” perché Tito li veda ipso facto in orbace a sognare “una sorta di dittatura del malumore dei cittadini” (qualunque cosa voglia dire). Del resto, per l’Espresso, “Di Maio porta i punti più banali del contratto” mentre “a Salvini spettano le idee e i ministri forti”, nell’ambito di “un’ideologia sottile di destra”. Invece i governi che abolivano l’art. 18, devastavano la Costituzione, calpestavano il Parlamento con decreti, fiducie e canguri, favorivano il precariato, depenalizzavano l’evasione, rimpinzavano di miliardi banche e grandi imprese, servivano fedelmente tutte le peggiori lobby, combattevano i pm liberi, erano di sinistra. Strano che gli elettori lettori di Repubblica ed Espresso non l’abbiano capito.

Quelli che l’Europa. Diciamolo: Tito non l’ha presa affatto bene. Sotto il ciuffo di Conte, intravede financo una “deriva orbaniana”, da Viktor Orbán, il premier ungherese ultradestro. Che però fa parte del Ppe con Merkel, Tajani e B. Non con Salvini, né con Di Maio. Del resto, l’idea che la presenza di Savona nel governo provocasse ipso facto il boom dello spread e l’uscita dell’Italia dall’Ue poteva venire in mente solo a Mattarella e ai giornaloni che, quando lo spread fece davvero boom alla notizia della caduta di Conte, si guardarono bene dal titolare: “Il Quirinale e Cottarelli bruciano i risparmi degli italiani” (preferirono, come La Stampa, un più ragionevole “Lo spettro del voto affonda euro e Borse”: quindi i mercati volevano un governo). Ora che agli Esteri c’è l’europeista Moavero e all’Economia l’europeista critico Tria, almeno Tito dovrebbe respirare un po’: invece no, Moavero e Tria sono “un trucco estetico”. Orbaniani anche loro. E vabbè.

Quelli che Micron. Ci dicono che tutto il mondo trema all’idea del Salvimaio, tranne ovviamente Le Pen, Orbán e Putin, poi Macron telefona a Conte per dirsi “ansioso di lavorare insieme”. Un colpo al cuore per il rag. Cerasa, che sul Foglio strapazza il francese da par suo: “Il passo falso di Macron. La telefonata a Conte e la convinzione che i 5s siano interlocutori validi”. La prossima volta Macron faccia la cortesia: chiami un interlocutore più valido, tipo il rag. Cerasa, casomai avesse il numero e sapesse chi è. Non vi dico in che stato è ora il ragionier direttore alla notizia che il prof. Tria, collaboratore del suo giornale, è addirittura ministro dell’orrido “governo sfascista”. Non c’è più religione, e nemmeno gratitudine.

Ps. Siamo tutti atterriti dal “laboratorio del populismo di governo” ( La Stampa). Però da ieri, dopo 5 anni e 3 governi, Alfano non è più ministro. Non è meraviglioso?

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