Sono d'accordo con Attilio Bolzoni, firma storica di Repubblica; le sue parole qui sotto riportate fanno riflettere, sia in un lato che dall'altro. Perché se è vero che il neo governo non si è fatto minimamente sentire, cosa gravissima questa, sull'assassinio di un giovane aggrappato con i denti alla sfortunata vita che il destino bastardo gli ha riservato, è pur vero che la vergogna di questi campi di concentramento, di sfruttamento legalizzato esistono purtroppo da anni, da decenni. Non è da paese civile, neppure da paese, far finta che questi esempi eclatanti di razzismo non esistano. E quindi temo che tutta questa mestizia sia grimaldello per un attacco ad un governo non ancora nato, visto che giurerà oggi. Il dramma di Soumayla, il suo martirio, dovrebbe essere invece monito per tutti, visto che in Italia esiste la schiavitù, pochi bastardi fanno affari su esseri umani alla mercé di camorra, mafia, capolarato, con paghe orarie di pochi euro, senza alcuna sicurezza, senza nulla. Dove cazzo sono, cosa hanno fatto finora i sindacati, gli ispettori del lavoro, le forze politiche, le asl, dov'è la legalità, dov'è lo stato, dove siamo noi? Questo martirio serva almeno a farci riflettere, comprendere, a tutti, ma proprio a tutti, in che cazzo di paese viviamo. Ti sia lieve la terra, fratello!
IL SILENZIO DEL GOVERNO SULL’OMICIDIO DI UN RAGAZZO
Attilio Bolzoni
Il movente è incerto però la morte è sicura. Fucilata con silenziatore incorporato, un ragazzo nero che non c’è più e non una parola — una sola parola — per ricordarlo, per raccontare e raccontarci cosa è accaduto laggiù, nella Calabria che non è nemmeno Calabria fra i fumi e i miasmi della tendopoli di San Ferdinando. La chiamano tendopoli ma — ci siamo stati tante volte, negli anni passati — è un girone dell’inferno riservato esclusivamente a quelli che arrivano dall’altro mondo, quelli che sono nulla e che sono nessuno.
Conosciamo a malapena il suo nome e la sua età, Soumayla Sacko, ventinove anni. Sappiamo che stava raccattando ferri per un riparo. Sappiamo che è stato ammazzato. Sappiamo tutto e niente. E, in queste ore, scopriamo che Soumayla è un altro “numero”, un incidente o un accidente, una “disgrazia”, un infortunio come un sinistro sul lavoro o un tamponamento stradale con vittime. Perché qualcuno nella nostra Italia dovrebbe parlare di questo ragazzo del Mali, perché il ministro dell’Interno Matteo Salvini (eletto in Senato proprio nel collegio di Rosarno, a un passo dalla tendopoli infame di San Ferdinando) o il ministro del Lavoro Luigi Di Maio dovrebbero sprecare fiato e tempo e fatica per quel bracciante di colore che forse rubava lamiere — ladro!!! — e che forse — ancora ladro!!! — chissà quante altre volte ha rubato qualcosa nei campi della Piana di Gioia Tauro dove una volta c’erano ulivi fantastici e dove poi gli amici e i complici della ’ndrangheta hanno piantato i kiwi sfregiando la natura per portare a casa qualche euro in più.
Questa fucilata che ha ammazzato Soumayla è una fucilata contro tutti noi. Contro i nostri principi, contro il nostro essere cittadini italiani, contro la nostra vita. Se i rappresentanti del nuovo governo non se ne sono accorti, se Salvini e Di Maio non hanno dato “importanza” a sufficienza a questo dramma che sembra lontano ma che è così vicino a noi tutti, significa che c’è una distanza troppo grande fra quello che si dice e quello che si fa, significa che i silenzi mostrano, scoprono i pensieri più intimi. La retorica nasconde sempre i fatti, gli spot taroccano la realtà, la morte violenta di Soumayla rivela paure e fa paura. Meglio tacere. Meglio far finta di niente. Meglio non aprire bocca.
Il presidente del Consiglio, il ministro dell’Interno e il ministro del Lavoro, hanno altro a cui pensare. Quel povero ragazzo del Mali che rubava ferri nella Piana di Gioia Tauro che c’entra con noi, Italia del 2018, anno del grande cambiamento?
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