martedì 21 marzo 2017

La dura realtà locale


Nel paese dell'immobilismo per eccellenza, ossia l'area spezzina, tutto pare già deciso, compresa la probabile riconferma dell'attuale potere, un mix talmente stabile da apparire eterno, frutto della più evoluta forma di consociativismo mai affacciatasi sul pianeta. Se a tutto questo aggiungiamo una perfetta e consolidata arte dell'assistenzialismo, i giochi sembrerebbero, al solito, fatti.
Le parole di oggi dell'ammiraglio a capo dell'arsenale militare, sembrano andare in questa direzione, la conferma ed il rifornimento necessario e garante dell'immobilità fatta a ragione sociale. 
Immote sono l'imprenditorialità, la ricerca, lo sviluppo, le scelte strategiche, la competenza legata ai cambiamenti epocali in vari campi, tra cui l'informatica, il turismo e la relativa accoglienza dei visitatori.
Tutto deve andare avanti senza trasformazioni, senza aggiornamenti, senza il giusto apporto del mondo giovanile, annaspante perché non tenuto in considerazione da nessuno, soprattutto dalla classe dirigente e, in molti casi, obsoleta. 
Migrazioni continue, flussi di ingegno esportati perché non utilizzabili qui, ove la palude regna sovrana, ove il posto garantito rimane il must, il totem adorato da pletore di prossimi alla pensione e da maturi incardinati dentro meandri di per sé soffocanti, ma non per questo non adorati da chi, per farla breve, sogna di non fare un cazzo fino al pensionamento. 
Consociativismo dicevamo: un'evoluzione unica, gestita nel miglior modo possibile, tanto perfetta da non apparire se non in qualche osteria tra un gotto e l'altro. 
La finzione scenica che va in onda da più di vent'anni sarà riconfermata anche al prossimo giro elettorale: piazza Europa alla simil sinistra, via Chiodo con relativa fondazione, agli altri. 
Nulla si muoverà, perché ad ognuno di noi, tutto sommato, piace così. Siamo infatti attratti dal nostro posticino sull'isola se lavoriamo in Arsenale, gioiamo delle nostre conquiste salariali incuranti dei cambiamenti, non ci poniamo dubbi in merito alle migliaia di containers appollaiati ovunque, né ci siamo mai chiesti se il rapporto tra disagi nascenti da essi e relativa occupazione possa valere la candela, una trasfigurazione del territorio che stona più di un ubriaco in una corale nei confronti della bellezza naturale del luogo, il golfo chiamato dei poeti non per sbadataggine, bensì per l'effettiva meraviglia invadente tutti coloro che ancora riescono ad ammirarlo. Per vedere un minimo d'innovazione occorre entrare nei cantieri per yacht, gestiti però da imprenditori provenienti da fuori provincia. 
In questo lembo di terra amata da tanti, nessuno ha pagato né mai pagherà per scempi ambientali, per delitti contro il bello e la natura, compiuti decine d'anni fa, con la collusione di tutti, e deturpante intere aree abitative, un nome su tutti la collina di Pitelli. 
C'apprestiamo quindi a timbrare per l'ennesima volta il cartellino della staticità, incuranti di far arrivare croceristi in zone portuali dedite al traffico di containers, a lasciare in mano ad un'unica realtà il trasporto via mare per le vicine località famose in tutto il mondo, a permettere che il turista venga maltrattato finanziariamente da orchi dediti ad un commercio basato esclusivamente sul lucro, a sbeffeggiarsi di parole quali accoglienza e valorizzazione del territorio, come se a Roma coloro che volessero entrare in San Pietro per ammirare la Pietà michelangiolesca, dovessero sottostare al ricevere quattro schiaffoni quale segno di sottomissione. 
Un segno di quanto detto l'ho vissuto sabato sera in un bar del centro: ho chiesto un gin tonic, mi hanno portato un bicchiere colmo di ghiaccio con qualche goccia di acqua tonica ed un atomo di gin. Perché in questo luogo, immobilismo è anche continuare a prendere per i fondelli tutti coloro che gradirebbero essere coccolati da una cultura d'accoglienza turistica. Follia, per chi è convinto che il flusso non avrà mai fine. Come il consociativismo politico.    

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