Nella penombra stava come Marlon Brando in Apocalypse Now.
Non parlava, rimirandomi. Attendevo impaziente un cenno, qualcosa di vocalmente utile che potesse diradarmi le nebbie presenti persistentemente in cervice.
“Salve – mi disse – per caso sai chi sono?”
“Buongiorno signora! No, non so chi sia. Non vorrei sbagliarmi, ma non la conosco!”
“Lo sospettavo – proseguì- Mi chiamo Odalisca Rien-ne-va-plus. Ti dice qualcosa il mio cognome?”
“E’ una frase che ho sentito spesso nei casino. Lo dice il croupier prima di lanciare la pallina nella roulette. Credo si traduca in “nulla è più valido, i giochi sono fatti.”
“Appunto!”
“In che senso scusi? E’ arrivata la mia ora?”
“Non proprio. Sono solo finiti i giochi, le corbellerie, le pianificazioni, i progetti. Tutto è terminato.”
“Si spieghi signora Odalisca! Si spieghi per favore!”
“Semplice e terribilmente difficile allo stesso modo. Diciamo che dall'adolescenza ognuno di voi pensa e sogna miriadi di possibilità per sé stesso. La giovinezza dovrebbe essere la fucina per realizzarne in grande parte. Passato il periodo in cui tutto è roseo, si arriva ad un’età, per te è questa, in cui tutto ciò che avremmo voluto realizzare e non lo si è fatto per pigrizia o inappetenza alla fatica, come nel tuo caso, non potrà mai più vedere la luce.”
“Questo è terribile, madame!”
“Terribile è anche essersi trascinato dall’alba al tramonto senza ritegno, senza costanza, senza volontà per tantissimi anni! Sperperare il tempo è una colpa grave, nel tuo caso deleteria!”
“Che posso fare?”
“Nulla! Quando compaio è il segnale inequivocabile della fine dei desideri.”
Stetti davanti a lei in silenzio per un tempo indefinito. La guardai in tutta la sua triste presenza: trucco pesante, vari monili al collo di cui uno mi colpì particolarmente: una pietra di topazio sormontata da un’aquila che la teneva per le zampe, nell’atto di portarla via. Una camicia di pizzo nera, lavorata con dovizia e che non lasciava trasparire nulla di carnale per via della presenza di una sottoveste dello stesso colore. Una gonna in stile zingaro sempre dello stesso colore ma con dei disegni di color rosso porpora, lasciante intravedere degli stivali neri in stile cavallerizza.
Ripresi la parola e le dissi:
“Signora, da molto tempo m’accorgo, passeggiando in strada, che le emozioni lambenti il mio spirito di un tempo, sono traslocate in altre menti di proprietà di giovani rampanti, i quali vi sguazzano allegramente, facendo l’errore mio d’un tempo, ossia di crederle eterne. Passeggio ed ascolto gli umori frutto della cerulea convinzione di possedere un’eternità, dabbenaggine arcana di ogni uomo in ogni tempo. Frivolezza, leggerezza, impazienza del divenire, diveniente vissuto e conseguentemente passato, mi appartengono ancora ma, ahimè, in modalità di frodo. Sento di appartenere ad un tempo non più mio, di ambire a sensazioni non di pertinenza. Attendo sempre il domani con la fiducia che ebbi in tempi lontani, rifuggo pianificare ogni cosa. Vivendo alla giornata ne decreto la fine quotidiana, senza portar al dì seguente, nulla di prezioso, nulla da ricordare.
Vorrei tanto poter tornare a quando, come fanno ora i baldi attorno a me, ogni quisquilia veniva amplificata al punto da governar meriggio e sera. Ausculto il core mio senza patemi, incosciente sulle verità nascoste, sul rimirar la strada percorsa e consapevolmente comprendere quanto essa sia già più lunga di quella ancora da percorrere quaggiù. Alberga in me un essere, sconosciuto, parte indissolubilmente, esigente oltremodo e sempre pronto a metter freno alla mia naturale propensione al pensare, meditando sul tragitto di vita. Fors’anche per il solo fatto che respiri, dovrebbe rimbombarmi in seno quanto sia letale il non saper affrontare il cammino, di quanto sia doloroso per i sensi tutti, sovrastare con dabbenaggine i crepacci ove nascosi tutto quello che mi provocasse ansia, panico, rabbia e soprattutto dolore.
Sono figlio di una condizione di vita agiata, in virtù dei miei genitori i quali non mi hanno mai fatto mancare nulla. La coabitazione con quell’altro ha rovinato il progetto, lo ha imbolsito, lo ha reso ingeneroso nei riguardi della Vita.
Potessi recuperare il tempo scialacquato prima che la portatrice del sonno infinito sleghi le mie cime! Quale dissipatore di secondi preziosi più dell’oro fui! Adesso lei arriva a decretarmi la chiusura perpetua della mia stanza colorata, del mio unico tesoro ove scorazzano fantasia e beltà, rupestri cavalli bianchi e oasi di oceanica bellezza, sornioni compari di avventura e pensieri tanto belli da non venir neppure srotolati in toto, tanto preziosi appaion d’essere!
Che ne sarà di noi? Dei due inquilini che, con patti spesso reiterati perché stracciati o non rispettati, convivendo nell’essere mi spronano a volte a disperder seme temporale, altre volte a schivar ossessioni e problemi racchiudenti gemme di crescita, quale dovrei seguire per poter accettar tale suo divieto?
Brancolo nel buio, l’incertezza è sempre con me sulla tolda. Aspiro a grandi momenti, attendo messaggeri di novità, post-ponendo giornalmente al proseguo del nuovo dì, scelte mai prese, decisioni mai aspirate, strade oramai confuse da sterpi e frascame cresciuti abnormemente in questi lunghi anni. Che potrò fare madama? Potrei aspirar a prolungare quella che non vorrei divenisse agonia?”
Odalisca Rien-ne-va-plus si alzò di scatto dando sensazione di iraconda impazienza. Prese un lembo della gonna e tirandolo si levò tutto il vestito lugubre che l’avvolgeva, scoprendo un tessuto di gemme e ori, abbacinante e meraviglioso nella sua splendida fattura.
“Questi son pensieri! Queste sono convinzioni da coltivar d’ora in poi! Sono fittizia, non vera. Sprono gli appassiti, vigilo sugli inappetenti, sui vacui messaggeri di normalità! Il mio mestiere è quello dell’addestratore di cavalli, l’allenatore del baio riottoso e nervoso. Pretendo ad ogni ora una mente sveglia e in progressiva marcia come poc’anzi hai dimostrato di possedere. Finisca il tempo dell’oziosa putrefazione di neuroni! Ogni tempo ha i suoi tesori, ogni ora possiede nel suo seno una magia unica, non ripetibile ed il giusto sonno già ne divora un terzo. Sappi cogliere le restanti. Sempre. Da ora. Non ci rivedremo più perché questo aiuto non concede repliche. Corri in pace!”
“La onoro del mio affetto. Ricompenserò quanto detto con l’efficacia della tangibilità. Da oggi sfratto il mio nemico per correre, consapevole del tempo, della sua pochezza rimanente e della bontà del passato!
Grazie.”
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