venerdì 1 settembre 2023

Farò

 

La Repubblica di Farò
di Marco Travaglio
A Caivano, una volta tanto, la Meloni ha detto poche parole impeccabili, diversamente dalla catastrofica trasferta a Cutro. Anche se ha tenuto distanti i residenti e i giornalisti. E, come sempre, è stato perfetto Mattarella a Brandizzo. Né la premier né il capo dello Stato potevano far nulla per evitare gli stupri e la sciagura ferroviaria. Ma rappresentano lo Stato: era doveroso che fossero lì e parlassero così. Il guaio è che ormai, dinanzi a drammi tanto terribili e ricorrenti, anche le parole più appropriate suonano vuote e inutili. I cittadini non credono più a nulla e a nessuno per i troppi proclami, promesse e moniti seguiti dal nulla. Infatti votano (se votano) per la novità del momento, nella speranza (se ce l’hanno) che sia meglio della novità precedente. Ci sarà un motivo se dal 1994 in Italia (nel resto d’Europa non è così), a ogni elezione, la maggioranza di governo perde e la minoranza vince. Ieri Maddalena Oliva ha raccontato l’eterna ri-scoperta del buco nero Caivano ogni volta che qualche vittima ci finisce dentro. Lo stesso si può dire di disastri ferroviari, terremoti, alluvioni, incendi, frane e altre sciagure “naturali” aggravate dall’incuria politica e mediatica. I giornali parlano di “disastro annunciato”, le autorità vengono contestate (o applaudite dalle loro claque), ammettono con aria contrita che “lo Stato ha fallito”, promettono che “non si può morire così”, “non accadrà più”, “non abbasseremo la guardia” o altre frasi fatte, salvano la faccia (e spesso pure la pelle), poi spariscono dai radar.
Trovare le parole in tanto dolore non è facile per nessuno. Ma non è detto che si debba trovarle: per cambiare un po’ le liturgie funebri di Stato si potrebbe anche invertire l’ordine consueto e non parlare proprio. Anziché dire “farò”, parlare solo quando si è fatto. E intanto ascoltare i cittadini. Poi, se proprio si deve parlare, confessare qualche errore. Per esempio ammettere che l’abolizione del Reddito di cittadinanza non c’entra nulla con gli stupri a Caivano, ma c’entra molto col baratro che attende quei disperati senza lavoro né speranza, che dal 2019 sentivano la presenza dello Stato perché avevano visto un governo occuparsi di loro in quanto persone, non numeri o categorie burocratiche (gli orrendi “occupabili”), chinarsi sul loro dramma, renderli protagonisti e cambiare in meglio le loro esistenze. Ecco, se la Meloni si fosse battuta il petto per quella scelta sciagurata impegnandosi a rivederla, sarebbe uscita da Caivano in trionfo. Come Mattarella da Brandizzo, se avesse promesso di non firmare mai più privatizzazioni di beni comuni, tagli ai servizi pubblici e “semplificazioni” di appalti e subappalti che ingrassano ricchi, potenti, corrotti ed evasori e ammazzano la povera gente.

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