Che Letizia! Sciure e sciurette sono tutte già in pre-orgasmo morattiano
di Alessandro Robecchi
Finalmente scrivere da Milano non è periferia, finalmente non siamo ai margini dell’Impero, quassù sulle palafitte, dove la cosa più bella “è il treno per Roma”, e altre amenità e sciocchezze.
Finalmente anche qui si freme, si registrano languori preorgasmici delle sciurette in total Prada – uh, le scalmane! – e i brividi di eccitazione dei maschi alfa da consiglio di amministrazione, quelli trascinati alla Scala una volta l’anno perché si deve, perché si fa. Scala dove – manco a dirlo – lei svettava in total black Armani (cito i classici).
Ma come lei chi? Lei Moratti Letizia, che provenendo da un casato Bricchetto Arnaboldi (guai a voi se ci aggiungete Serbelloni-Mazzanti-Viendalmare, stronzi!) dà quelle garanzie di schietta aristocrazia di cui tutti abbiamo bisogno, in primis la società lombarda il cui problemi, si sa, sono i salotti innoiositi e le false borse Vuitton. Lei. Una che sa usare il coltello da pesce, sa come si mettono i bicchieri, come ci si siede alle riunioni di bilancio, una che possiede quel pragmatismo acuminato, che sarebbe una specie di realismo magico dei dané; una che voleva far vaccinare la gente in base al Pil – prima i lombardi che ci mantengono tutti! – e che si prestava al post-Gallera, ultimo comico della tradizione milanese, come badante del presidente Fontana.
Insomma, a un certo punto, a quella Milano dipinta a olio, quella dei salottini dove ancora si gioca la pantomima del potere – i dané, la finanza, la fabbrichetta, che oggi è la start-up del figliuolo, di ville! di villule! di villoni ripieni, di villette isolate… Gadda dove sei? – ecco, in quella Milano lì, dove la rendita si spaccia per merito, è comparsa la Madonna rivelata, la sciura delle sciure. Nostra signora dei salotti ma anche della finanza, una specie di icona benedetta, ultrasettantenne, ma ancora giovanile, piacente, dinamica; insomma a misura di come le sciurette del circuito via Spiga-Montenapo-Sant’Andrea vorrebbero essere, povere stelle.
Perché si parla un po’ troppo di politica, nell’affaire Moratti, candidata alla Presidenza della Lombardia dai Bibì e Bibò forestieri (uno toscano, l’altro di Roma, figurarsi), la cui finalità è far vincere il leghista Fontana dando la colpa al Pd che non ha seguito “la visione”.
Macché, quello è il contorno, e il piatto forte della questione è invece social-antropologico, dove una città in cui i ricchi sono asserragliati in due-tre quartieri, con le loro tessitrici di elogi, maestre di eleganza e di “costume” (il costume dei signori), e fremono di giubilo e tripudio potendo finalmente dire di essere un po’ di destra anche loro. Ma non la destra burina dei leghisti di provincia (quel Fontana, un varesotto, ossignùr, quelli delle valli, buoni solo se ti portano il taleggio fresco). E nemmeno di quei destri parvenu, fasci ripuliti che in un salotto, sotto un Sironi, sotto un Balla ben appeso alla tappezzeria buona non ci saprebbero stare, volgari come un centrotavola della Santanchè, signora mia.
Insomma Lady Letizia è la quadratura del cerchio: consente alla borghesia-wannabe-aristocrazia milanese di fingere di restare “progressista” pur votando – finalmente! – a destra. È lei che fa il favore di slittare un po’ a gauche, come quando si aggiunge un ospite e le nobildonne – aiutate dalla servitù – spostano un po’ le sedie per fargli spazio.
Grazie, Letizia, di fornire questo brivido prenatalizio alla nomenklatura del panetùn, anche questa è un’opera caritatevole che la sinistra – coi suoi pregiudizi, cattiva – non ti perdonerà.
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