venerdì 19 agosto 2022

Per riflettere

 

Il presidenzialismo. È prossimo. E B. controlla ancora le tivù
DI GIANDOMENICO CRAPIS
Ora che il presidenzialismo è alle porte, e dietro l’angolo c’è il solito Berlusconi pronto a proporre senza vergogna la sua candidatura a capo dello Stato, c’è una ragione in più per rilanciare l’allarme sulla dimenticata questione televisiva. Cioè su un sistema dove la tv pubblica è in mano al governo e quella privata monopolizzata da un politico imprenditore. Un caso unico, vale la pena di ripeterlo, in tutte le democrazie occidentali. L’elezione diretta del Presidente della Repubblica, infatti, che subito una destra in testa ai sondaggi ha messo davanti agli altri temi, e che a maggior ragione rischia di vedere la luce se essa vincerà le elezioni, in sé non sarebbe una bestemmia in un contesto con i necessari contrappesi. Però in Italia rappresenta davvero un azzardo se si considera l’assetto della comunicazione, specie quella televisiva dove la metà privata dell’etere potrebbe tirare la volata al proprietario o a qualche suo amico e sodale politico. Uno scenario non irrealistico e per niente tranquillizzante. Tutto questo mentre la Rai, grazie alla mancata messa in sicurezza della tv pubblica, potrebbe finire sotto le redini del medesimo schieramento che già controlla buona parte del polo privato.
Dopo 15 anni siamo di nuovo dunque a lanciare gli stessi allarmi del passato, e questo perché tutti i governi, tecnici e politici, succedutisi dopo il 2011 hanno accuratamente evitato di affrontare la questione: per convenienza o per sciagurata sciatteria politica. Ma se non ci sorprende l’atteggiamento della destra, da sempre massima beneficiaria di questa indecente anomalia, di certo fa cadere le braccia il comportamento della sinistra e dei 5Stelle che nulla vollero fare, una volta al governo, per sciogliere questo nodo.
Nel mese di giugno Mediaset ha raccolto il 37% dell’audience totale, la Rai altrettanto, mentre tutte le altre restanti reti (comprese La7, Sky e il gruppo Discovery) si sono divise le briciole del restante 26%. Tecnicamente dunque siamo in una condizione di duopolio del sistema generale e di quasi monopolio del settore privato. Come sia stato possibile che nessuno si sia preoccupato di mettere ordine a questa assurda situazione si spiega soltanto pensando al tratto illiberale delle nostre destre, alle strategie suicide di appeasament portate avanti da Prodi, D’Alema, Violante e Bertinotti, oltre al disinteresse dei vari premier succedutisi negli ultimi dieci anni.
Di cosa siano poi capaci le reti Mediaset in fatto di propaganda per le destre non c’è bisogno di ricordarlo: parla la storia stessa del gruppo. Con tutto il rispetto delle eccezioni, che pure ci sono ed anche di qualità, l’informazione da quelle parti, soprattutto in prossimità di una campagna elettorale, ha un riflesso proprietario sperimentato nel tempo. Infatti un assaggio l’abbiamo avuto già dopo lo scioglimento delle Camere: nel periodo che va dal 22 luglio al 2 agosto, per esempio, il Tg5, che è il secondo tg italiano, ha regalato la primazia indovinate a chi? Ma a Forza Italia, of course, con il 23% del tempo di parola! E a Berlusconi, che ha occupato con le sue dichiarazioni un quinto del tempo di parola dei politici. Anche nei programmi informativi del Biscione troviamo in testa sempre lo stesso partito (col 20%, seguito dalla Lega al 14%). Forse per ordini di scuderia o per una reazione pavloviana al suono della campanella elettorale. È dunque evidente che una Mediaset così politicizzata rappresenti, come e più della Rai, un serissimo problema e un nodo da sciogliere, nell’ipotesi di una riforma presidenzialista dello Stato. Ma né Letta né Conte, per parlare delle forze più rappresentative del campo progressista, hanno mostrato di averlo capito. Così come nemmeno tutti i liberal di casa nostra.

Nessun commento:

Posta un commento