Continua l'articolo di Brooks
2. Fare una lista dei desideri al contrario
Un modo pratico per attenuare i desideri è semplicemente quello di osservare i consigli che ci stanno trasformando in un Homo oeconomicus insoddisfatto, e poi fare il contrario. Per esempio, molti manuali di auto-aiuto suggeriscono di scrivere, il giorno del proprio compleanno, una lista di cose da fare nella vita per rafforzare le ambizioni terrene. Comporre un elenco di desideri offre una soddisfazione immediata, perché stimola la dopamina. Ma crea attaccamenti, che crescendo creano a loro volta sempre più insoddisfazione.
Ho cominciato invece a compilare una “lista dei desideri al contrario”, per rendere le idee di cui parlo in questo articolo praticabili nella mia vita. Ogni anno, il giorno del mio compleanno, elenco i miei desideri e i miei beni, le cose che Tommaso d’Aquino includerebbe nelle categorie di denaro, potere, piacere e onore. Cerco di essere del tutto onesto. Non elenco cose che in realtà detesto e non sceglierei mai, come una barca a vela o una casa per le vacanze. Piuttosto, cerco le mie debolezze, la maggior parte delle quali – m’imbarazza ammetterlo – prevedono l’ammirazione degli altri per il mio lavoro.
Poi m’immagino tra cinque anni. Sono felice e in pace, la mia vita ha uno scopo e un significato. Faccio un’altra lista delle forze che mi conducono verso questa felicità: la mia fede, la famiglia, le amicizie, il lavoro che svolgo, che è intrinsecamente soddisfacente, significativo e che serve agli altri.
Immancabilmente, queste fonti di felicità sono “intrinseche”: vengono da dentro e ruotano intorno all’amore, alle relazioni e a uno scopo profondo. Hanno poco a che fare con l’ammirazione degli estranei.
Le contrappongo alle cose della prima lista, che di solito sono “estrinseche”, le gratificazioni esterne associate alla lista degli idoli di Tommaso. La maggior parte delle ricerche ha dimostrato che le gratificazioni intrinseche conducono a una felicità molto più durevole rispetto ai riconoscimenti estrinseci.
Rifletto su come le seconde siano in competizione con le prime per tempo, attenzione e risorse. Immagino di sacrificare le mie relazioni per l’ammirazione di sconosciuti, e visualizzo il risultato sul lungo periodo.
Con questo in mente, affronto la lista delle cose da fare. Medito su ogni voce, ammettendo che, pur non essendo un desiderio in sé malvagio, non mi darà la felicità e la pace che cerco. Infine, ritorno alla lista delle cose che mi porteranno la vera felicità e m’impegno a perseguirle.
Data la mia smania per l’ammirazione, mi sono imposto di cercare di prestare meno attenzione a come mi percepiscono gli altri, allontanando questi pensieri quando si presentano. Ho lasciato andare molte conoscenze che in realtà erano legate solo all’avanzamento professionale. Lavoro un po’ meno rispetto agli anni passati. Ci vuole uno sforzo cosciente per evitare di ricadere nel vizio: il tapis roulant mi chiama spesso, e l’occasionale scarica di dopamina mi tenta a tornare alle vecchie abitudini. Ma i miei cambiamenti nel comportamento sono stati per lo più permanenti, e come risultato sono più felice.
Non voglio sostenere che ci sia qualcosa di sbagliato nel visitare il luogo esotico che hai sempre sognato di vedere, o correre una maratona, o spingere in altro modo le tue capacità di fare o creare qualcosa di difficile, nella professione o in altro. Un lavoro percepito più come una missione offre uno scopo; viaggiare può essere intrinsecamente prezioso e piacevole; imparare un’abilità o affrontare una sfida può dare soddisfazione intrinseca; attività significative intraprese con amici o persone care possono approfondire le relazioni. Ma chiedetevi se l’attrattiva dei vostri punti della lista, professionali o esperienziali, derivi soprattutto da quanto vi faranno ammirare o invidiare dagli altri. Queste motivazioni non porteranno mai a una profonda soddisfazione.
3. Ridimensionarsi
Di recente c’è stata un’esplosione di libri che raccomandano di ridimensionare la vita per essere più felici, per liberarsi dai detriti dell’esistenza. Ma non si tratta solo di avere meno cose. Possiamo infatti trovare un’immensa pienezza prestando attenzione a cose sempre più piccole. Il maestro buddista Thich Nhat Hanh lo spiega nel suo libro Il miracolo della presenza mentale: “Quando si lavano i piatti bisognerebbe solo lavare i piatti; il che significa che mentre si lavano i piatti bisognerebbe essere pienamente consapevoli di stare lavando i piatti”. Perché? Se stiamo pensando al passato o al futuro, “non siamo vivi nel momento in cui stiamo lavando i piatti”.
Per molti anni ho avuto un caro amico, una persona di circa vent’anni più anziana di me, con la quale lavorai da giovane. A quarant’anni gli hanno diagnosticato una forma aggressiva di cancro e gli hanno dato sei mesi di vita. Per qualche miracolo sopravvisse a quei sei mesi, e poi ad altri sei, e poi a quasi tre decenni. Però non è mai guarito. Il suo medico gli ha detto che il cancro era un lupo alla porta, in attesa del suo momento. Prima o poi sarebbe entrato, cosa che alla fine ha fatto un paio d’anni fa. Ma i trent’anni di questo assedio non furono un peso. Al contrario, ogni giorno gli ricordavano che dono fosse quel giorno, quindi gli facevano cercare soddisfazione non in obiettivi di vita audaci e pluriennali, ma in piccoli momenti quotidiani di bellezza con le sue amate moglie e figlia.
Qualche anno fa ero a casa sua, a mangiare e bere nel suo giardino, insieme ad alcuni amici. Era il crepuscolo e lui ci chiese di riunirci intorno a una pianta dai piccoli fiori chiusi. “Guardate un fiore”, ci disse. obbedimmo, per circa dieci minuti, in silenzio. A un tratto i fiori si schiusero, cosa che, scoprimmo, facevano ogni sera. Rimanemmo a bocca aperta per lo stupore. Fu un momento di profonda soddisfazione.
Ma ecco quello di cui non riesco a capacitarmi: a differenza della maggior parte delle cavolate nella mia vecchia lista di cose da fare, quella soddisfazione è durata. Quel ricordo mi dà ancora gioia – più di molti dei “successi” terreni nella mia vita – non perché sia stato il coronamento di un grande traguardo, ma perché è stato un regalo inaspettato, un piccolo miracolo. Il principe tralascerà sempre le piccole soddisfazioni della vita, rinunciando a un fiore al tramonto per trovare denaro, potere o prestigio. Ma il saggio non commette mai questo errore, e anch’io cerco di non farlo. Ogni giorno, ho un elemento nella mia lista di cose da fare che richiede la mia completa presenza a un evento ordinario. Spesso ruota intorno alla mia pratica da cattolico, compresa la messa quotidiana con mia moglie e la preghiera meditativa.
Prevede anche delle passeggiate senza dispositivi elettronici, in ascolto solo del mondo esterno. Queste sono cose davvero soddisfacenti.
Mia figlia è partita per l’università pochi mesi dopo la nostra chiacchierata sulla scienza della soddisfazione.
Dopo l’isolamento e le chiusure per il covid-19 – una triste beffa per lei, che era al suo ultimo anno di liceo – ha preso il largo, iscrivendosi a un’università in Spagna. Sono sperduto. Però ci mandiamo diversi messaggi al giorno. Non riguardano quasi mai il lavoro o la scuola. Condividiamo invece piccoli momenti: la foto di una strada piovosa, una battuta stupida, il numero di flessioni che ha appena fatto.
Non so se questo la avvantaggi nel liberarsi dal paradosso dell’insoddisfazione, ma per me è come una medicina. Ogni messaggio è come la serata del fiore – un breve scorcio della visione beatifica del paradiso, forse – che porta una quieta soddisfazione.
Ognuno di noi può cavalcare le onde dell’attaccamento e degli impulsi, sperando inutilmente che un giorno, in qualche modo, otterremo e manterremo la soddisfazione che desideriamo. Oppure possiamo fare un tentativo con il libero arbitrio e la padronanza di sé. È una battaglia che dura tutta la vita contro il nostro essere umano preistorico interiore. Spesso vince lui. Ma con determinazione e pratica, possiamo trovare una tregua dall’insoddisfazione cronica e sperimentare la gioia che è la vera libertà umana.
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