mercoledì 11 maggio 2022

Concordo

 

Retromarcia sullo “strega”, ma resta l’odio anti-russo
DI TOMASO MONTANARI
Armi pesanti, armi per miliardi, armi ovunque: l’Italia ormai è un’armata. Brancaleone, però.
Anche il ministero degli Affari esteri compila la sua lista di proscrizione: i più insigni italianisti russi vengono cacciati dalla giuria del Premio Strega. Ma dopo la reazione coraggiosamente pubblica di Olga Strada (già direttrice del nostro Istituto di cultura a Mosca), che si è detta indignata per l’insensatezza di una simile espulsione, il vertice della nostra povera diplomazia fa marcia indietro. E, oplà, gli odiati servi di Putin sono reintegrati nello Strega. Il ritorno alla ragione e la fausta conclusione non cancellano la figuraccia epocale: nulla ha evidentemente insegnato il precedente tragicomico del veto posto da una pubblica università al seminario su Dostoevskij di Paolo Nori, poi inutilmente ritirato.
Ma il punto è un altro. Ed è la virata verso il mostruoso che questa guerra sta imponendo al discorso pubblico italiano, e all’agenda delle nostre stesse istituzioni. Che sembrano essersi date come obiettivo la crescita di un vero e proprio odio verso il popolo russo e la sua cultura (che è parte vitale della nostra comune cultura).
Affiorano alle labbra le parole scritte dal premio Nobel Romain Rolland durante la Grande Guerra: “Tra i nostri popoli non v’era alcuna ragione di guerra. A dispetto di ciò che ripete una stampa avvelenata da una minoranza che ha i suoi interessi a coltivare questi odi… noi non ci odiamo… i nostri popoli non chiedono altro che la pace e la libertà… le nazioni non esistono più come personalità: due dozzine di politicanti e una manciata di giornalisti parlano insolentemente a nome dell’una o dell’altra. Essi non ne hanno il diritto, non rappresentano che se stessi”.
Smettiamola per favore di confondere il popolo russo con il suo tiranno. O il popolo italiano con il suo governo.

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