Noi tutti, piccoli screzi nell'immensità del Cosmo, abbiamo posto dei paletti nella nostra storia evolutiva recente, freschissima, rispetto ai 17 miliardi di anni dell'Universo, che chiamiamo per convenzione anni, e a cui all'infinito che ci avvolge non frega una mazza. Ma tant'è: questo ultimo periodo temporale che ci sta lasciando è stato tremendamente violento, insano, deleterio, mortale. Si, mortale e, per rispetto a chi se ne è andato, ne collochiamo sul piedistallo il loro ricordo, il dolore dei familiari, l'assenza, l'anomalo distacco dettato dalle giuste e sacrosante regole pandemiche. Molti di noi infatti non hanno potuto accompagnare i propri cari verso il viaggio finale, non li hanno neppure potuti onorare tanto bastardo e subdolo è stato, ed è ancora, il virus che ha cambiato le nostre vite. Le ha completamente trasformate, annullando le giostre emozionali che piacevano tanto al Sistema attualmente in auge, fondato essenzialmente sulla prevaricazione dell'altro.
Non si può certo vedere l'aspetto positivo della pandemia, ma occorre rifletterci molto, ad iniziare dallo spregevole aspetto che in molte zone del pianeta sono continuati i conflitti, le ecatombi belligere tanto ingrassanti i soliti noti, ad iniziare dall'Inquilino scomodo a stelle e strisce che, Deo Gratias, tra poco più di venti giorni si leverà finalmente dai coglioni, ops!
Il coronavirus ha mutato i rapporti interpersonali, ha presentato il conto riguardo alla nostra incredibile instabilità, pochezza evaporante in un soffio; credevamo di essere i conduttori della vita, siamo mestamente davanti all'ineluttabile, alla caducità, alla pochezza delle nostre conquiste sociali. E' bastato un infinitesimale essere che cerca di vivere dentro di noi, per spazzare convinzioni che ritenevamo granitiche. Questo malefico anno che se ne va ha scrollato l'albero della conoscenza, ha ottenebrato quella flebile luce che si credeva essere faro imponente puntato per alterare in meglio il nostro ciclo biologico, nella fattispecie edulcorato da interventi medici ovvianti solo in apparenza la decadenza fisiologica propria della specie.
Il virus ha come detto scrollato l'albero, ci ha ricondotto verso la nostra vera essenza di viaggiatori traballanti in quella casa comune che interessi spregevoli stanno distruggendo per le generazioni a venire, le quali si troveranno una sfera indebolita, sfruttata oltre ogni limite immaginabile, minata nelle fondamenta, ad iniziare dall'aspetto meteorologico squassato oltremodo dall'inarrestabile fobia dell'arricchimento fine a se stesso, inconcepibile per ogni intelligenza che sia consapevole del dove, come e perché.
Debellare il virus dovrebbe essere la futura conquista, comprendere che in rampa di lancio vi siano altri acerrimi nemici, pertugio per pochi. Viviamo altresì questa pandemia con la speranza di un cambiamento, di una strada comune, si constata invece il gelo determinato dai soliti noti, intenti a provocar conflitti sociali, a tralasciare il dolore continuo di chi è stato allontanato dal decoro, dalla dignità.
Senza il baluardo della ragione non possiamo sperare in un futuro migliore, più a misura di noi creature instabili, che un soffio flebile potrebbe chissà un giorno spazzar via definitivamente, annichilendo chi ancora oggi, e sono tanti, troppi, è convinto che un robusto conto in banca sia scudo invincibile contro le avversità, probabilmente generate proprio dal loro becero comportamento sociale.
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