mercoledì 18 giugno 2025

Solito metodo

 



Verità nascoste

 



Altan

 



Natangelo

 



Interessantissssssimo!

 

Israele senza difesa solo il 7 ottobre
DI PINO CORRIAS
In questi mesi di bombe, spie, cercapersone esplosi a chilometri di distanza, radar, scienziati ammazzati in Iran, scudo anti-missile, jet sui siti nucleari di Teheran, l’unico “buco” è stato quello
Dunque Israele sa tutto, vede tutto, colpisce dove, come e quando vuole. Ha infiltrati e bombarda a Gaza, in Cisgiordania, in Libano, in Siria, nello Yemen. Naturalmente in Iran, dove i suoi commando e le sue spie hanno violato tutti i segreti utili per decapitare i vertici dell’esercito e dei pasdaran nella prima ora degli attacchi, assassinare i capi degli 007 e gli scienziati nucleari, colpendoli direttamente nei loro appartamenti ultra segreti, ultra protetti.
La sola cosa di cui Israele non sapeva nulla di nulla è stato l’attacco di Hamas del 7 ottobre. Possibile? Tutto sapeva (prima e dopo) tranne quello che sarebbe accaduto il giorno destinato ad aprire le porte dell’inferno per i 1200 israeliani uccisi e per i 251 rapiti, tutti destinati a essere sepolti vivi nei tunnel di Gaza, in attesa di una trattativa estenuante che li ha decimati in questi 20 mesi, destinando la gran parte di loro a una morte lenta e dolorosa. Nulla di nulla sapeva della spettacolare e atroce azione dei guerriglieri di Hamas che in una manciata di ore di quel 7 ottobre 2023 hanno accelerato nel sangue la storia dell’intero Medio Oriente, consentendo al governo di Netanyahu di incoronare il suo sogno politico-militare di egemonia combattente su Gaza, sui Territori, il Libano, lo Yemen, la Siria, l’Iran. E insieme di avviare il più grande massacro di palestinesi della storia recente, di ridurre l’intera Striscia di Gaza a un ammasso di macerie, di stringerla d’assedio e ora schiacciarla con l’arma della fame, della sete, delle malattie, dopo 60 mila morti sbriciolati dai bombardamenti, almeno il doppio dei feriti, dei mutilati, dei dispersi. Una guerra di sterminio con le spalle coperte dal silenzio assenso di quasi tutti i governi occidentali, intransigenti con Putin, morbidissimi con gli attacchi armati di Gerusalemme che, mentre oggi bombarda Teheran, punta all’occupazione definitiva della Cisgiordania e alla soluzione finale per i palestinesi con il completo sgombero di Gaza. Possibile che controllando ogni metro quadrato, ogni centimetro di Gaza, compresa l’energia elettrica, l’acqua potabile, i telefoni e i collegamenti Internet della Striscia, i servizi di sicurezza di Israele non sapessero nulla un anno, un mese, un istante prima dell’attacco del 7 ottobre? Da anni Israele ha i satelliti che inquadrano Gaza dal confine Sud con l’Egitto al confine Nord con il Libano. Ha i droni che la sorvolano 24 ore su 24, registrando ogni movimento sospetto. Ha telecamere lungo tutti i 56 chilometri di confine. E navi spia davanti alla costa. Dispone delle tecnologie del riconoscimento facciale e quello dell’intelligenza artificiale che controlla gli spostamenti dei sospetti, fino a predire l’imminenza di un pericolo. Senza contare le centinaia di infiltrati, agenti doppi, spie, informatori, che vivono da sempre dentro la Striscia, mischiati ai residenti. Che sfruttano la concorrenza talvolta spietata tra i differenti gruppi della resistenza palestinese in lotta tra loro per l’egemonia politica dopo il declino di Al Fatah e la sconfitta politica dell’Autorità palestinese di Abu Mazen, a suo tempo fomentata e festeggiata da Netanyahu. 

Non basta. Israele ha il controllo dell’intera area geopolitica grazie alla ferrea alleanza con gli apparati militari americani, britannici, occidentali, che insieme dispongono della sorveglianza pressoché totale sui Paesi Arabi, i pozzi di petrolio, le strutture militari, in grado di registrare milioni di spostamenti di uomini e donne, milioni di telefonate, milioni di conversazioni intercettate, analizzate, archiviate nei dossier dell’Intelligence. Eppure nessuno dei mille occhi elettronici si era accorto che da almeno un anno Hamas preparava l’assalto del 7 ottobre con addestramenti continui, centinaia di miliziani pronti all’azione, pick-up modificati e blindati, ruspe per sfondare le barriere di filo spinato. Motociclette per i commando. Addirittura guerriglieri che si erano allenati per mesi a volare con il parapendio per piombare all’improvviso sugli inermi israeliani che abitavano nei kibbutz. Trovando sguarniti molti chilometri di confine che sono stati violati in almeno 119 punti da almeno 7 mila combattenti, secondo le ricostruzioni fatte nei mesi successivi dalle stesse autorità israeliane. Ma se un minuto prima il Mossad non sapeva nulla, abbiamo scoperto che un minuto dopo il massacro sapeva già tutto. Gli ufficiali dell’Idf, l’esercito israeliano, conoscevano i 400 chilometri di tunnel scavati da Hamas, perfezionati con il cemento armato che pure veniva controllato da Israele, pagato con i soldi che dalle banche del Qatar affluivano nelle casse di Hamas, anche quelle sotto il controllo di molti servizi segreti, Mossad compreso. 

Abbiamo scoperto che le unità israeliane, penetrate dentro la Striscia con migliaia di unità, carri armati, artiglieria, conoscevano gli indirizzi dei leader di Hamas, uccisi uno a uno, conoscevano i luoghi di comando e controllo, distrutti uno a uno, conoscevano i depositi di armi, missili, esplosivo. Gli erano sfuggiti i 7 mila uomini entrati in Israele per uccidere, ma erano in grado di selezionare e uccidere più di 200 giornalisti, fotografi, freelance, che hanno provato a raccontare lo sterminio in questi 20 mesi di bombardamenti. Conoscevano i Pronto soccorso e gli ospedali da distruggere. I medici da uccidere. Le ambulanze da distruggere. Insieme con le biblioteche, le università, gli impianti per rendere potabile l’acqua salata e i generatori per l’energia elettrica. Lo scorso settembre il Mossad ha fatto esplodere centinaia di walkie-talkie e cercapersone tra le mani dei militanti di Hezbollah in Libano e in Siria, uccidendone almeno una trentina, rivelando un’operazione che preparava dal 2022. La scorsa settimana un alto ufficiale israeliano, commentando la blitzkrieg preventiva contro Teheran, ha detto: “Quello che abbiamo fatto a Hezbollah in dieci giorni, lo abbiamo fatto all’Iran in dieci minuti”. E dunque? Il governo di Israele sa tutto quello che succede ovunque, compreso in Iran, nei siti nucleari tra le montagne e ancora di più tra i palazzi del potere sciita di Teheran, distante 1897 chilometri da Tel Aviv. Ma ignorava, fino al fatidico 7 ottobre, l’enorme assalto che si stava preparando a Gaza City, 77 chilometri in linea d’aria dalla Spianata delle Moschee di Gerusalemme. Possibile? Plausibile?

Penna tra balordi

 

Comandano loro
DI MARCO TRAVAGLIO
Oltre alla personalità criminale di Netanyahu, l’attacco impunito di Israele all’Iran in base a fake news degne delle armi di distruzione di massa di Saddam rivela quanto è potente il Partito Unico della Guerra (Pug): la piovra trasversale che controlla il mondo e riesce persino a piegare il braccio del presunto “uomo più potente del pianeta”, che evidentemente non lo è. Il Pug, che ingrassa sui conflitti presenti e futuri, s’è messo subito all’opera dopo la vittoria di Trump, ingenuamente convinto di chiudere quelli in Ucraina e Medio Oriente schioccando le dita fra una lusinga e una minaccia. Che Trump fosse sincero lo dimostra il fatto che ci ha provato in ogni modo, avviando negoziati là dove parlavano solo le armi. Poi il suo dilettantismo e il caos cacofonico dei suoi troppi negoziatori hanno fatto il gioco del Pug ben infiltrato nel deep state Usa e nelle cancellerie Ue, che si sono saldate a Netanyahu e Zelensky, due leader sconfitti e disperati, perciò pronti a tutto pur di non perdere il potere: anche a tirare Trump per i capelli in guerre sempre più mondiali, mettendo vieppiù in pericolo i loro popoli e il mondo.
Quando Zelensky ha attaccato la triade nucleare russa, sperando invano in una reazione furibonda di Putin che trascinasse gli Usa nella guerra diretta, Trump l’ha scaricato. Ma quando Netanyahu l’ha messo dinanzi al fatto compiuto della guerra all’Iran prima del nuovo round negoziale, ha preferito intestarsi banditescamente un’operazione non sua pur di non apparire scavalcato. Così, per non sembrare debole, è diventato debolissimo e il terrorista Bibi lo tira sempre più dentro la sua guerra privata senza strategia. L’esultanza dei media mainstream per i negoziati trumpiani sinora falliti è il sospiro di sollievo del Partito della Guerra, camuffato da europeismo democratico: c’è persino chi rimpiange Biden & Harris, come se non governassero loro nei primi 15 mesi di sterminio a Gaza e di attacchi a Cisgiordania, Libano, Yemen, Iraq, Siria e Iran (il 1° aprile 2024, in piena età dell’oro bideniana, Israele rase al suolo il consolato iraniano a Damasco uccidendo 16 persone e provocando la rappresaglia, peraltro contenuta, degli ayatollah). È lo stesso ghigno sfoderato dal neocon superstite Bill Kristol, intervistato da Rep, che spera nel tramonto del sogno trumpiano di “non essere un presidente di guerra, ma di accordo” e se la ride perché “la visione neocon resta abbastanza forte” e “sta tornando anche in Europa: dieci anni fa la Germania pensava di aprire un gasdotto con la Russia, adesso si sta riarmando e sta aiutando l’Ucraina”. Ieri il cancelliere Merz ha detto che “Israele in Iran fa il lavoro sporco per tutti noi”. Noi aspettiamo sempre qualcuno che gli dica: “Parla per te, stronzo”.

L'Amaca

 

Purtroppo ci dicono tutto
di MICHELE SERRA
Non ci dicono mai niente” è il mantra mezzo piagnucoloso mezzo irato dei complottisti. Significa che il potere (oscuro e malvagio per sua natura) ci tiene nascosto lo stato delle cose. Per fare i suoi porci comodi nell’ombra e nel silenzio, e a nostra insaputa.
Non vorrei che stesse arrivando — rimedio peggiore del male — l’epoca del “ci dicono tutto, non ci tengono nascosto più niente”.
Nei rapporti tra i potenti del mondo (ultimo esempio il G7 in corso in Canada) non c’è scambio di battute, frase cordiale, scazzo improvviso che ci venga risparmiato, spesso con un tweet, come nelle chat tra compagni di scuola. Quello che se ne va irritato, l’altro che non gradisce, le asprezze reciproche, i momenti imbarazzanti, le porte che sbattono, le illazioni malevole dell’uno sull’altro: tutto accade in favore di pubblico, e quasi sempre sono gli stessi protagonisti a darne conto con coloriti dispacci sui social.
Nei tempi andati accorte e silenziose trattative diplomatiche preparavano, come sola concessione al pubblico, la foto ufficiale di governanti e ministri che si stringono la mano a cose fatte, e dopo avere lavato i panni sporchi nelle segrete stanze. Ora che tutto viene spiattellato minuto per minuto, il rischio è che la sola cosa che non cambia sia il sentimento di impotenza di chi aspetta, fuori dalla porta, di sapere che cosa hanno deciso i potenti mentre il mondo trema. Prima ci si sentiva impotenti perché esclusi e all’oscuro, ora perché chi è dentro il Palazzo fa di tutto per perdere autorevolezza e screditare se stesso. La comunicazione social di Trump, per esempio, è molto peggiore di quella di Totti e Ilary ai tempi della separazione.