domenica 6 aprile 2025

Non ci avrete mai!



Sommessamente rosicano lontano da sguardi indiscreti, dopo che centomila (per la questura 997) persone si sono ritrovate per dir loro, bignamicamente “ci avete rotto i coglioni”, noi assieme a Giuseppe Conte, a Marco Travaglio, al presidente delle Acli, al professor Barbero, a padre Alex Zanotelli, diciamo no al riarmo, no a questa politica infausta cercante il nemico, no alla follia di riarmare la Germania, come se la storia non ci avesse insegnato abbastanza, no a quella mononeuronica biondastra alemanna della von der Leyen assetata di sangue futuro, no a tutte le balle sesquipedali che i giornaloni di proprietà di armigeri affamati quotidianamente ci propinano! E naturalmente oltre al rosicamento nei soloni pensatori che da tempo immemore si rifugiano dietro a paraventi di lotta, cresce l’ansia e il dubbio - forse dovevamo spargergli più Marcuse? - perché l’appannaggio, la proprietà di ciò che allocchi chiamano ancora sinistra, gli sta sfuggendo di mano, quasi cianotici s’aggirano nei loro lidi ameni tipo Capalbio, nei loro fustagni di marca, inorriditi dal fatto che la peripatetica appartenenza a quell’artefatto modo di sproloquiare sulle diseguaglianze, raccattando gettoni di presenza, stia per finire. Si, ne ho la certezza, avendo partecipato fieramente alla manifestazione: ci siamo rotti i coglioni di queste zecche pensatrici! 
Naturalmente non ci stanno: il loro giornale di riferimento, Repubblica, oggi evidenza la presenza alla manifestazione dell’influencer napoletana, con chiaro intento denigratorio, come se un Casini, una Picierno, un Guerini, un Gentiloni invece portassero nobiltà ad eventi, come se la pensione dorata di Bertinotti, il profumato Fassino fossero cammei nobilitanti l’azione. 
Dall’era del Ballismo e del suo fautore attualmente a servizio di un arabo assassino e ricchissimo, quella vaga idea di socialismo si è liofilizzata perché alle parole sono seguite solo opere consociative, condividenti squallide politiche divaricanti stati sociali. Tentare di accalappiare beoti facendo passare l’idea che infognarsi in debiti da 800 miliardi da spendere in armi sia la via maestra, non funzionerà mai! E se ciò succedesse, dietro al mefitico “ce lo chiede l’Europa” sappiate bene una cosa, scolpitevela nelle vostre aride cervici: non ci avrete mai! Ed infine che parta finalmente la ribellione di massa, la dissociazione, il rifiuto di pagare tasse pro industrie belliche! In galera non c’è posto per centomila menti libere (997 per la questura) 
Vamos!

Senza foto

 

Assolutamente niente foto, nessuno scatto a suggellare l’incontro, emozionante, molto emozionante. Trovarmi a pochi centimetri da Ecce Homo, dai Bari, dal crudele Giuditta e Oloferne mi ha lasciato attonito, molto probabilmente a causa della strabordante bellezza insita nel Merisi.

Natangelo

 



Pacificamente

 



Ero lì, svegliatevi!

 



Antonio tocca a te!

 

Il potere idiota e il silenzio stampa
DI ANTONIO PADELLARO
Ricordate i plotoni di presunti infettivologi che ai tempi della pandemia dispensavano, come piovesse, diagnosi, terapie, ma anche pozioni magiche utili a debellare il Covid? Presunti esperti ma soprattutto presunti operatori dell’informazione che pur di non mollare le poltrone dei talk-show si improvvisavano provetti scienziati senza avere mai frequentato una provetta. A cui fecero seguito i sedicenti guru del cambiamento climatico con barometro incorporato mentre imperversano tuttora i geopolitici “fai-da-te”, quelli che non sanno ancora se si dice Ucràina o Ucraìna. Al momento, complice la guerra dei dazi, siamo costretti a sorbirci le dotte analisi degli economisti prêt-à-porter che aggiungono confusione al caos trumpiano. Trionfa il giornalismo del “secondo me” che si compiace delle proprie opinioni campate per aria con una caratteristica costante: il non possedere mai mezza notizia, neppure per sbaglio.
Non molti anni fa Marco Travaglio pubblicò “La scomparsa dei fatti”, un libro sullo stato dell’informazione in Italia programmaticamente svuotata di contenuti, e che aveva come sottotitolo: “Si prega di abolire le notizie per non disturbare le opinioni”. Rispetto ad allora la situazione è notevolmente peggiorata poiché la pratica universale del “secondo me” non soltanto ignora le notizie ma tenacemente le combatte. Guardate che fine ha fatto Julian Assange, che invece di ricevere il Nobel per la pace ha subito lunga e accanita persecuzione. Reo di avere divulgato tramite WikiLeaks documenti statunitensi secretati ma fondamentali per provare le numerose violazioni dei diritti umani perpetrate dalle amministrazioni Usa.
Mercoledì scorso, durante la presentazione a Roma del suo best seller “Fratelli di chat”, il nostro collega Giacomo Salvini ha ricordato le reazioni scomposte del partito di Giorgia Meloni. Che, non potendo smentire i fatti documentati nelle chat che si scambiavano i fratelli e le sorelle d’Italia, se la sono presa (fino agli insulti maleodoranti del gerarca Donzelli) con chi ha fatto egregiamente il proprio mestiere. C’era anche Francesco Cancellato, direttore di Fanpage, a sua volta colpevole di aver divulgato i saluti fascisti e le frasi antisemite raccolte nei circoli giovanili di Fratelli d’Italia. E che risulta spiato illegalmente con uno spyware introdotto nel suo cellulare. Ormai si è talmente disabituati ad apprendere la realtà delle cose che quando, nello Studio Ovale, Donald Trump e i suoi accoliti presero a bullizzare Volodymyr Zelensky, quel formidabile momento di verità fece saltare su gli indignati speciali in servizio permanente effettivo: ma che razza di modi, signora mia! Del tutto incuranti di come sulla guerra che continua a falciare intere generazioni di ucraini e di russi fosse stato strappato, quanto basta, il sipario delle ipocrisie e delle falsità. Qualcosa del genere è avvenuto con la rivista americana “The Atlantic” che ha pubblicato le chat con i piani di guerra contro gli Houthi dopo che il direttore del magazine era stato inserito per errore in una riunione di membri del governo statunitense. Anche in questo caso il giornalismo del “secondo me” si è mostrato atterrito per la divulgazione di possibili segreti di Stato. Insomma, per conoscere qualcosa di vero oltre alla propaganda e all’imbroglio non resta che affidarsi all’impegno di pochi coraggiosi colleghi. E all’idiozia dei potenti.

Ci dica Professore!

 

Barbero: “Armi e sindrome dell’invasione: come nel ’14 prima della guerra”

DI ALESSANDRO BARBERO*

"Dipenderà essenzialmente da noi evitare un nuovo suicidio dell’Europa"
A noi storici spesso chiedono: ma l’epoca nostra che stiamo vivendo a quale periodo del passato assomiglia? Ecco, io purtroppo negli ultimi tempi comincio ad avere sempre più l’impressione che l’epoca nostra assomigli paurosamente agli anni che hanno preceduto lo scoppio della Prima guerra mondiale nel 1914.
Allora l’Europa usciva da un lungo periodo di pace. Se uno non guarda alle guerre nei Balcani e alle guerre coloniali in cui tutti i Paesi europei si erano imbarcati, perfino noi italiani (in Etiopia e Libia), effettivamente l’Europa usciva da un lungo periodo di pace. Anche adesso usciamo da un lungo periodo di pace, quasi. Anche adesso – se dimentichiamo i Balcani, se dimentichiamo la Jugoslavia, se dimentichiamo il bombardamento di Belgrado, se dimentichiamo le guerre coloniali che ci sono anche oggi – i grandi Paesi dell’Occidente non si sono più fatti la guerra da tanti anni.
E allora come mai nel 1914 l’Europa è precipitata nella guerra più spaventosa di tutti i tempi? Il guaio è che, se uno va a vedere da vicino com’era quel mondo che assomigliava molto a quello nostro di oggi, non è così strano che siano precipitati in una guerra spaventosa.
Intanto in quei lunghi anni di pace parlavano continuamente di guerra, della “prossima guerra”. C’era un genere letterario, oggi dimenticato, che all’inizio del secolo faceva furore: gli storici della letteratura lo chiamano “letteratura dell’invasione” o “della prossima guerra”. In tutti i Paesi, non solo dell’Europa, ma del mondo, uscivano romanzi che raccontavano come “il nostro Paese presto sarà invaso da un feroce nemico’’. Questi romanzi si pubblicavano in una quantità enorme di copie, tutti li leggevano e raccontavano tutti la stessa storia: “Il nostro Paese è debole, siamo circondati da nemici cattivissimi, dobbiamo riarmarci perché non siamo abbastanza sicuri”. E l’opinione pubblica intossicata, sentendo parlare continuamente “della prossima guerra” e dei “malvagi nemici che ci minacciano”, ha cominciato a chiedere sicurezza, armamenti e alleanze.
Una risposta dei governi alla fine dell’Ottocento è stata: “Beh, allora cerchiamo degli alleati”, nell’illusione che da soli si sia in pericolo e, se invece si hanno alleati, si sia più sicuri. Peccato che le alleanze producano anche effetti inaspettati, perché i Paesi che rimangono esclusi da queste alleanze – all’epoca era la Germania – cominciano a dirsi: “Queste alleanze le stanno facendo contro di noi, siamo minacciati”. Poi le alleanze faranno sì che, alla prima scintilla che esplode nei Balcani, tutti questi Paesi siano costretti a entrare in guerra, uno dopo l’altro, perché sono vincolati dalle alleanze. E poi l’opinione pubblica chiede il riarmo: certo, se stiamo per essere invasi! Il riarmo è pazzesco: negli ultimi cinque anni prima dello scoppio della Prima guerra mondiale, le potenze europee – compresa l’Italia, che era l’ultima delle potenze europee, ma si considerava tale anche lei – aumentano le spese militari del 50% in media, di nuovo nell’illusione di “essere più sicuri”. Solo che questa faccenda dell’illusione della sicurezza è proprio un paradosso. Perché? È più facile capirlo raccontando nel concreto. L’Inghilterra ha la più potente flotta del mondo, domina i mari e si sente sicura. La Germania si sente minacciata, soffocata dalla potenza dell’Inghilterra, decide di armarsi, di costruire anche lei una grande flotta. L’Inghilterra così improvvisamente non si sente più sicura e perciò investe per aumentare ancora gli armamenti. I tedeschi vedono che gli inglesi investono ancora per rafforzare la flotta e sono costretti a spendere sempre di più. L’unico risultato è che in entrambi i Paesi si diffonde il nervosismo, la sensazione di insicurezza, la sensazione che l’altro è il nemico. Sul continente invece la Germania è sicura e tranquilla, ha il più potente esercito del mondo. Chi non è sicuro è il suo vicino: la Francia. I francesi pensano: “Dobbiamo riarmarci per essere più sicuri”. All’epoca c’era il servizio militare obbligatorio, c’era dappertutto e durava moltissimo (oggi ne sentiamo parlare come di una cosa che magari andrebbe quasi reintrodotta, dopo che – grazie al cielo – ce ne eravamo liberati). I francesi però pensano che non duri abbastanza, così nel 1913 decidono di allungarlo da 2 a 3 anni. I tedeschi allora si dicono: “Dobbiamo rafforzarci anche noi, perché presto non saremo più i più forti. Dobbiamo rafforzarci o, visto che per il momento i più forti siamo ancora noi, forse allora è meglio farla, questa guerra, finché siamo in tempo”. I libri che parlano della “prossima guerra”, a quel punto, non sono più solo romanzi: cominciano a uscire i libri dei generali che parlano della “prossima guerra”. Ai primi di giugno del 1914 il comandante dell’esercito tedesco Von Moltke dichiara: “Ora siamo pronti. E prima è, meglio è”.
Ecco, io ogni tanto mi dico: “Ma no, non è vero che la nostra epoca assomiglia tanto a quella, ci sono tante differenze”. Però credo che dipenderà essenzialmente da noi fare in modo che davvero questa nostra epoca non assomigli troppo a quella che ha preceduto il suicidio dell’Europa nel 1914.
*Intervento alla manifestazione di ieri a Roma, testo raccolto da Angelica Tranelli