martedì 2 gennaio 2024

L'Amaca

 

Quello che resta dell’unità italiana
DI MICHELE SERRA
Come ogni anno, il discorso del Presidente è stato accolto, come si dice in politichese, dal plauso unanime di tutti i partiti. La sfilza delle dichiarazioni è piuttosto barbosa ma indicativa della tecnica infallibile che ogni parte politica adopera per elogiare le parole del Quirinale: ognuno sottolinea il passaggio che meglio soddisfa la propria parte, così che il discorso nel suo complesso possa sembrare confermativo del proprio agire politico.
Quello di destra si emoziona perché Mattarella ha parlato di Patria, quella di sinistra perché ha parlato di pace e di parità di genere, c’è chi ne elogia la profondità e la saggezza, chi l’apertura al futuro, chi l’invito ad avere fiducia nell’innovazione, chi l’avvertimento a non dimenticare che i valori umani rimangono centrali.
Per ovvie ragioni istituzionali, la figura e le parole del Capo dello Stato non devono dividere, e dunque il plauso unanime è previsto dal copione. Ma l’impressione, con Mattarella perfino più che con i suoi predecessori, è che questo copione regga anche perché, al di fuori del Quirinale, non esiste più niente che rappresenti lo Stato e le istituzioni nel loro complesso. Il Quirinale è la Repubblica, e la Repubblica, fin qui, è il luogo dell’unità: al punto che l’isterismo rissoso e la faziosità ottusa che contrassegnano tutte o quasi tutte le pagine della cronaca politica, quando parla il Colle zittiscono. Questo ci fa capire quanto decisivo sia il Quirinale per un paese lacerato e indisposto al rispetto reciproco. Qualunque riforma si proponga di ridurre o contenere quel ruolo, sarà dunque una riforma contro l’unità repubblicana, o quel che ne rimane.

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