Ammazzare la libertà
DI MICHELE SERRA
Non siamo equi, no che non lo siamo. Confesso che le morti violente di Marisa Leo, che faceva il vino in Sicilia, e di Giogiò Cutolo, che suonava il corno a Napoli, mi hanno ferito più di tante altre simili. L’offesa al talento, all’autonomia, alla costruzione di cose belle ha un suo specifico valore distruttivo, degenerativo. È il brutto e l’impotente che cancellano il bello e il potente, nell’illusione di soverchiarli.
Gomorra che calpesta tutto ciò che non lo è.
Il sorriso strepitoso di Marisa, i suoi post così intelligenti e amari (leggeteli!), la vocazione di Giogiò per la musica – quel corno lucente portato dalla madre al funerale, suonato con disperata dolcezza accanto alla sua bara – sono una bandiera. La si vede sventolare anche dopo che qualche maschio grezzo e disperato, nell’uno e nell’altro caso, l’ha abbattuta a calci, a pistolettate, a fucilate.
Femminicidio a Trapani, ragazzicidio a Napoli, unisce le due morti la cancellazione feroce della libertà di esprimersi, di fare progetti, di dimostrare padronanza. L’assassino di Napoli è l’ennesimo povero servo della cultura guappa, miserabile e conformista; l’assassino in Sicilia è l’ennesimo povero servo della cultura del maschio proprietario, che ha dominato il mondo per millenni, e ancora pretende di farlo. Le due vittime avevano in comune un aspetto insopportabile per i violenti: erano libere. La violenza si fonda sulla sottomissione. Odia la libertà.
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