mercoledì 4 maggio 2022

Siamo impegnati in altro (armi)

 

Fuori i poveri. Dalla Danimarca all’Uk, l’Europa esporta i profughi (in Africa)
di Alessandro Robecchi
Il Ruanda è bello ma non ci vivrei, però se sei un immigrato irregolare in Gran Bretagna potrà capitarti. Boris Johnson ha annunciato qualche settimana fa in pompa magna l’intenzione di trasferire i migranti che la Gran Bretagna non vuole accogliere, nel ridente (?) Paese africano, descritto dallo stesso Johnson come una specie di Bengodi, con il Pil che cresce, e insomma, una terra delle opportunità dove gli immigrati potranno “far parte di un nuovo Rinascimento” (giuro, ha detto così, ’sta cosa del Rinascimento è sfuggita di mano, diciamo). E così il migrante che voleva andare a Londra si troverà benissimo alla periferia di Kigali, toh, che sciccheria!
È probabile che ci siano parole più gentili, ma “deportazione” è quella che mi viene in mente ora. A leggere le cronache e le dichiarazioni, la cosa sarebbe semplice: se ritieni di fare richiesta d’asilo in Gran Bretagna e i tempi si fanno lunghi, vieni trasportato in Ruanda, dove aspetti il disbrigo della tua pratica. Se la domanda viene accolta, hurrà!, puoi farti una vita tua (in Ruanda, però, mica a Londra) e se invece viene respinta, il Ruanda ci pensa lui a espellerti (magari rimandandoti nel posto da cui stai scappando). La proposta è abbastanza articolata e potrebbe entrare in vigore presto.
Questa dell’esportazione di disperati sembrerebbe diventare una tendenza in tutta Europa. La Danimarca, per dirne una, i suoi migranti che abbiano commesso un reato su suolo danese, li manderà in galera, sì, ma in Kosovo. Accordo firmato, praticamente operativo. Una colonia penale nei Balcani è quello che ci vuole, dannazione, come non averci pensato prima? Il Kosovo, per cinque anni a partire dal 2023, incasserà 15 milioni all’anno per tenere in cella un po’ di delinquenti arrestati a Copenaghen. Anche la Danimarca, comunque sta studiando la pratica Ruanda, dove potrebbe esternalizzare, come la Gran Bretagna, le richieste di asilo. Il Ruanda, insomma, diventerebbe una specie di campo profughi per gente che voleva andare a vivere in Europa, e che invece no, non c’è posto, spiace.
Non risultano grandi indignazioni, forse eventi più terribili e scenografici ci distraggono, ma insomma non si sono sentite in questi giorni di orgoglio europeo voci scandalizzate per la delocalizzazione della sfiga, dall’Europa al Centrafrica. Eppure in tempi in cui si sprecano (spesso a vanvera) i paralleli storici, si potrebbe ricordare che spostare popolazioni e creare enclave non è una buona politica, in prospettiva. Stalin aveva questo vizietto, per dire: i tatari li mettiamo qui, gli osseti li mettiamo là, e poi ci sono guerre che durano cinquant’anni.
Per indignarsi, però, servirebbe una coscienza pulita, cosa che scarseggia, visto che sempre la famosa Europa dei diritti e dell’accoglienza paga soldoni sonanti a Erdogan per fare argine alle ondate migratorie da Sud-est. Oppure che le autorità polacche ancora lasciano a dormire nei boschi, in una terra di nessuno, i migranti non ucraini che vengono da Oriente. Oppure che l’Italia paga profumatamente una specie di guardia costiera libica incaricata di riportare i migranti in fuga nei “lager” (cfr. papa Francesco) in Libia. Insomma il nuovo business europeo diventerà presto l’esportazione del povero, del fuggiasco, del nullatenente, il che fa un po’ a pugni con la retorica dell’accoglienza di questi giorni e con l’orgoglio democratico di un continente intero. È l’Europa, bellezza, oggettivamente uno dei posti dove si vive meglio nel mondo. E quindi, “Benvenuti in Ruanda”.

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