giovedì 21 ottobre 2021

Il pericolo B e Marco

 

2 B. al prezzo di 1
di Marco Travaglio
Quando pensavamo di esserci liberati definitivamente di B. (in senso politico), scopriamo con raccapriccio che ce ne sono addirittura due. Uno eurodeputato e candidato al Quirinale, l’altro imputato e candidato a varie sentenze per corruzione giudiziaria nei processi “Ruby-ter”, in aggiunta alla condanna definitiva per una frode fiscale da 7,3 milioni (ma solo perché altri 360 milioni di dollari frodati si erano prescritti), ad altre nove prescrizioni e a una raffica di assoluzioni perché si era depenalizzato il reato. Fino al 2013, quando divenne ufficialmente un pregiudicato e uscì a viva forza dal Senato per entrare nell’ospizio di Cesano Boscone ad assistere incolpevoli coetanei affetti da Alzheimer, dunque per fortuna ignari di tutto, i due B. erano una sola persona. Provvedeva lui stesso a ricordarcelo ogni giorno, usando le istituzioni per sistemare i suoi processi, le sue tv, i suoi affari e malaffari. Poi da antieuropeista che era si travestì da europeista, da estremista si camuffò da moderato, da riciclatore di fascisti allergico ai 25 Aprile si mascherò da antifascista, da padre del populismo si travisò da antipopulista. E la carnevalata funzionò. Giornalisti e politici cominciarono a scindere il delinquente dal politico. I suoi processi (perlopiù rinviati per malattie vere o immaginarie) nelle cronache giudiziarie (peraltro con titoli e articoli sempre più invisibili), tutto il resto in quelle politiche. Come se ci fossero due B.. Fino all’ultima pochade con le farsesche riabilitazioni dai (finti) nemici: da De Benedetti a Stampubblica a Enrico Letta, che non manca mai di rimpiangerlo ed esaltarlo come “grande federatore del centrodestra”.
Intanto le Olgettine raccontano le sue mazzette per non farle parlare e i cazziatoni perché han parlato. La Cassazione conferma i suoi finanziamenti a Cosa Nostra e condanna i suoi sodali per aver violato mezzo Codice penale: dalla prostituzione (Tarantini, Mora, Fede, Minetti) alla corruzione giudiziaria (Previti), dalla mafia (Dell’Utri, Cuffaro, Matacena) alla corruzione semplice (Paolo B., Formigoni, Sciascia), dalla bancarotta (Verdini) alla compravendita di senatori (De Gregorio), dall’estorsione alla truffa (Lavitola). Quanto basta per farne un appestato da non toccare neppure con una canna da pesca. Invece lo rimpiangono pure i presunti avversari, ansiosi di riabbracciarlo con qualsiasi pretesto (“maggioranza Ursula”, Quirinale, briscola) anche se comprava senatori per rovesciare i loro governi, li faceva lapidare dai suoi mazzieri e vanta un Palmarès che neppure Al Capone. Un po’ per la sindrome di Stoccolma, un po’ perché paga bene, un po’ perché tanti vorrebbero essere lui, un po’ perché non è quel B. lì: è quell’altro. “Mica so’ Silvio: so’ Pasquale!”.

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