venerdì 5 febbraio 2021

L'Amaca

 

Il grande tessitore
di Michele Serra
Le vicende di questi giorni dimostrano che la politica non si fa con gli aut aut, ma con una paziente opera di tessitura e dialogo». La frase è di Matteo Renzi, intervistato da Stefano Cappellini. In bocca al leader politico meno disposto, dopo Attila, alla tessitura e al dialogo (o si fa come dice lui, o non se ne fa nulla), suona fantastica. Quasi spiritosa.
Poiché Renzi ha la parola veloce, si potrebbe pensare a una frase riuscita male. Oppure tocca prendere atto di una lettura della crisi (la “sua” crisi) più astuta e più occulta di quella che i comuni mortali hanno potuto intendere: lui si considera il vero artefice dell’avvento di Draghi (ecco la tessitura) e presume di essere il suo interlocutore politico più ascoltato (ecco il dialogo).
Forse la politica non ha tempo per le questioni di stile. Ma un poco dispiace che nel sostanziale commissariamento dei partiti che il Quirinale – con ottime ragioni – ha messo in atto incaricando Mario Draghi, non tutti si sentano ugualmente dietro la lavagna. Il Pd paga il prezzo del suo governismo a oltranza, dunque della sua lealtà a Conte; i Cinquestelle del loro Dna tanto confuso da essere oramai illeggibile, Masaniello in grisaglia non è un compromesso, è uno scherzo di natura; il centrodestra sconta la sua goffa simulazione di unità, una modesta furbata per fingersi in grado di governare da solo. Nella classe deserta, solo un alunno rimane tranquillamente seduto al suo banco, spiegando a tutti gli altri dove hanno sbagliato. No, Matteo Renzi non è simpatico, e se in politica non è un demerito, è il momento giusto per dire che non è nemmeno un merito.

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