giovedì 6 giugno 2024

Ari-leggete e ari- meditate!

 

Se non ci si indigna più la colpa è dei politici, delle tv e anche di B.
DI GIANDOMENICO CRAPIS
Non è che di indignati non ce ne siano in giro. A fare una rapida ricognizione attraverso le cronache quotidiane apparentemente siamo un popolo di indignati in servizio permanente effettivo. Ma a dirci quanto vacuo e superficiale sia questo fenomeno, del tutto incapace di produrre una morale pubblica condivisa che sanzioni i devianti, è il fatto che gli autori di illeciti, reati e malefatte varie, compresi comportamenti eticamente censurabili, continuano invece tranquillamente a godere delle luci della ribalta. È evidente che l’indignazione di cui sembriamo alimentarci ogni giorno non investe il corpo reale del Paese e sia in fondo soltanto fenomeno apparente e limitato, per quanto rumorosi siano i segnali di una sua presenza. Altrimenti personaggi come i Corona, i Moggi, i Farina, gli Scaiola, i Cuffaro, gli Sgarbi, per finire le Santanchè e per non dire di B., i tanti come loro pagherebbero un prezzo per le loro condotte presso il tribunale dell’opinione pubblica. Invece non succede: “Gli elettori non cacciano i birbanti”, titolava un saggio di alcuni anni fa. E se i birbanti sono politici vengono ripresentati e magari rieletti, se personaggi dello star system vanno in tv con ricchi cachet o pontificano senza vergogna, se occupano ruoli che postulano disciplina e onore non si smuovono anche se indegni. Uno stigma negativo dovrebbe segnarli ma paradossalmente accade il contrario. Com’ è possibile?
Una delle ragioni è la mancanza di un’etica condivisa nel Paese, di una “religione civile” che leghi a leggi non scritte la comunità dei cittadini. Vecchia storia. Un altro motivo è una divisività, anche questa storica, che favorisce una conflittualità sul modello “tifoso” più che su quello del ragionamento: le critiche dell’avversario sono sempre attacchi dettati dall’odio (come, per citare un esempio recente, ci dice la premier). Scrivo queste considerazioni sulla scorta delle stimolanti pagine di Paolo Mancini che nella sua disamina sul Perché non ci indigniamo (Rubbettino) introduce, oltre a quelli sopracitati, altri due punti di grande interesse: il ruolo dei mass media e la vicenda di Silvio Berlusconi.
I media nazionali, specie quelli con una capillare presenza di massa, potrebbero aiutare molto la diffusione di valori etici condivisi invece finiscono per contribuire a fare il contrario, perché scontano il peccato originale di uno sviluppo sregolato e fortemente politicizzato, dentro cui di rado agiscono regole comuni di comportamento. In più i media televisivi svolgono una pedagogia negativa celebrando l’infrazione delle regole come metodo per catturare l’attenzione degli spettatori. Dunque un discorso pubblico che sia privo di regole genera divisioni e non crea quell’etica condivisa la cui violazione dovrebbe generare indignazione, sdegno. Con queste premesse la discussione pubblica, ha ragione Galli della Loggia, diventa del tutto futile, inutile, perché non fa capire, non esamina soluzioni, non seleziona classe politica, eccitando solo le opposte tifoserie.
Purtroppo, è stato proprio l’avvento della tv commerciale, come sostiene Mancini (studioso di fama, insospettabile di antipatie preconcette) e poi soprattutto l’impegno politico di Berlusconi a esasperare queste tendenze. Se la nascita del sistema misto accentuava il carattere partigiano della tv e dell’informazione italiana, con le elezioni del ’94 lo scenario si polarizza pesantemente a causa della calata massiccia nell’arena politica delle reti Fininvest. Qui lo spettacolo delle visioni contrapposte raggiunge il suo apice mentre l’esasperazione dei toni, lo scontro ad alta voce fino quasi alla rissa diventa la cifra del confronto. La mancanza di una indignazione condivisa nasce anche da questo.

Nessun commento:

Posta un commento