Un luogo ideale per trasmettere i miei pensieri a chi abbia voglia e pazienza di leggerli. Senza altro scopo che il portare alla luce i sentimenti che mi differenziano dai bovini, anche se alcune volte scrivo come loro, grammaticalmente parlando! Grazie!
martedì 31 dicembre 2024
Metodo africano
Massimamente
Come dice il Papa, i ladri di regime se la scampano
DI MASSIMO FINI
Papa Francesco, che non per nulla si è dato il nome del Santo protettore dei poveri dei miserabili, degli “umiliati e offesi”, parlando dalle carceri di Rebibbia nell’ambito delle cerimonie per l’apertura del Giubileo, riferendosi ai detenuti ha detto: “È molto importante essere qui. Perché dobbiamo pensare che tanti di questi non sono pesci grossi, i pesci grossi hanno l’astuzia di rimanere fuori”. Questa affermazione Bergoglio non l’ha fatta nelle dichiarazioni ufficiali ma parlando, come spesso gli succede, in modo libero (“C’è già troppa frociaggine”) ai presenti, soprattutto giornalisti. Che cosa intendeva dire, di fatto, Bergoglio? Che i ladri di regime quasi sempre, in un modo o nell’altro, se la scampano, i poveracci no. Quasi tutti i media italiani non hanno ripreso questa “voce del sen fuggita” (Orazio e Metastasio). Mentre nei bar non si parlava d’altro, questa possente affermazione è stata ignorata o trattata in modo del tutto superficiale, credo non a caso, dai media, con la lodevole eccezione del Corriere della Sera, una volta tanto benemerito.
Ma vediamo di chiarirci le idee con alcuni dati relativi all’Italia, anche se il discorso del Papa è valido, se così possiamo esprimerci, urbi et orbi. Ma in Italia siamo e in Italia, “purtroppo o per fortuna”, viviamo. In Italia i carcerati per reati finanziari ed economici, cioè i reati tipici di ‘lorsignori’, sono solo lo 0,9% dei carcerati totali, mentre in Germania è il 10%. Il rapporto è quindi di uno a dieci. Si sostiene che i cosiddetti “reati da strada” provocano un maggior allarme sociale. E certamente se un manigoldo deruba una vecchietta che è appena andata a ritirare la pensione, e la mette così sul lastrico, il fatto è grave e va punito. Ma, come ha ricordato Piercamillo Davigo, una bancarotta fraudolenta mette sul lastrico, d’un sol colpo, non una vecchietta ma cento.
La scarsa presenza di “colletti bianchi” in carcere si spiega anche col fatto che a costoro la galera, in attesa di un giudizio definitivo che vista la lentezza della giustizia italiana probabilmente non arriverà mai, ghigliottinata dalla prescrizione, viene risparmiata in favore degli “arresti domiciliari”. Si ritiene infatti che ai delinquenti di diritto comune, che fanno anda e rianda dalle prigioni, il carcere non sia particolarmente pesante, ci sono abituati, mentre per chi fin lì ha vissuto nel lusso e nell’agio la punizione sarebbe troppo severa. È uno dei tanti esempi di quel ‘razzismo sociale’ così diffuso nel nostro Paese. Vai in carcere stronzo che forse imparerai qualcosa perché il carcere è anche teso alla rieducazione del condannato e quei pochi lorsignori che l’hanno sperimentato, penso, tanto per fare un esempio, a Sergio Cusani, noto brasseur socialista negli anni del Craxi imperante, condannato a quattro anni di galera, scontati per intero, che ne è uscito migliore e dedito al volontariato. Daniela Santanchè, ministro del Turismo, finanziario, sotto processo per bancarotta fraudolenta, falso in bilancio e truffa aggravata ai danni dello Stato è ancora al suo posto. Naturalmente per la Santanchè, come per tutti, vale il principio della presunzione di innocenza fino a condanna definitiva, ma è la stessa Santanchè che ha affermato per i reati da strada: “in galera subito e buttare via le chiavi”, cioè senza nemmeno un processo. Può anche accadere che un grande imprenditore o un importante uomo politico finisca per essere condannato, ma sconta la pena ai servizi sociali. È il caso di Silvio Berlusconi (ci spiace citarlo ancora una volta, ora che è morto, ma è il principale responsabile di quelle leggi ad personam e ad personas che praticamente hanno messo al sicuro, in questi anni, i colletti bianchi) condannato a quattro anni per una colossale evasione, di cui grazie a un indulto finì per scontarne uno solo andando a raccontare, una volta alla settimana, le sue barzellette alla Fondazione Sacra Famiglia, ricovero di anziani, i veri condannati. Nella vicina Francia Nicolas Sarkòzy, ex Presidente, condannato a tre anni per corruzione e traffico di influenze, ne deve scontare almeno uno con il braccialetto elettronico, cosa particolarmente umiliante. Sembra di capire che in Francia le regole valgono per tutti, senza distinzione di censo.
Detto quanto ho detto, e non rinnegando nulla, io penso però si debba avere per tutti, anche per gli avanzi di galera, misericordia, quella che i latini chiamano pietas, perché in loro e in tutti la condanna c’è già: la condanna di vivere in questo Universo inesplicabile.
“Se t’inoltrerai lungo le calate dei vecchi moli
In quell’aria spessa, carica di sale, gonfia di odori
Lì ci troverai i ladri, gli assassini e il tipo strano
Quello che ha venduto per tremila lire sua madre a un nano
Se tu penserai e giudicherai da buon borghese
Li condannerai a cinquemila anni più le spese
Ma se capirai, se li cercherai fino in fondo
Se non sono gigli, son pur sempre figli, vittime di questo mondo”
(“La città vecchia”, De André)
Riepilogo di San Silvestro
Henry e Jimmy chi?
di Marco Travaglio
Nel giro di poco più di un anno gli Usa hanno perso i loro centenari più illustri: Henry Kissinger e Jimmy Carter. L’ex segretario di Stato di Nixon e Ford e l’ex presidente, entrambi Nobel per la Pace, erano agli antipodi: un figlio di puttana di grande successo e un sant’uomo di grande insuccesso. Ma su un punto si trovavano d’accordo (come ogni politico e diplomatico normodotato dell’epoca): si parla con tutti, amici e nemici, e si negozia col nemico perché nessuno può sceglierselo. Ieri, come a Kissinger “uomo del dialogo con la Cina”, i giornali pullulavano di elogi a Carter “presidente della pace”: quella di Camp David che nel 1978 chiuse la guerra dei 30 anni fra Israele ed Egitto con le firme di Begin e Sadat. Questo nelle pagine pari. Poi, in quelle dispari, le solite minchiate sulle guerre attuali: sconfiggere Russia e Cina, mai parlare con Putin, non si tratta col nemico, il negoziato sarebbe una resa, serve la “pace giusta” (quella imposta da chi perde la guerra a chi la vince). Fa eccezione Israele, che può invadere e sterminare chi gli pare.
Intanto si tratta con Hamas ed Hezbollah, con l’Iran e il Qatar che li finanziano, coi talebani, con l’Isis e al Qaeda in Siria e, per ridurre la dipendenza da gas e petrolio russi, si pagano profumatamente regimi uguali o peggiori di Mosca: Egitto, Algeria, Angola, Arabia, Azerbaigian, Congo, Emirati, Turchia. Ma con la Russia non si può. A costo di condannare a morte l’economia europea, buttiamo i soldi rimasti in armi inventando imminenti invasioni russe senza senso né movente, regaliamo a Putin mezza Africa, facciamo campagna elettorale gratis a tutti i partiti fascisti e antieuropei e, quando vincono, diciamo che non vale perché “ha stato Putin” o “ha stato Tik Tok”. Dopo aver seguito Rimbambiden fino all’ospizio senza obiettare un monosillabo con un filoamericanismo alla Nando Mericoni, ora che Trump vuol chiudere la guerra persa e normalizzare i rapporti con Mosca per sganciarla da Pechino, l’Ue si scopre antiamericana e muore dalla voglia di finanziare in esclusiva il conflitto infinito. E gl’intellettuali, anziché smascherare le imposture di Bomberleyen, Rutte e sgovernanti al seguito, gliele suggeriscono. “Kiev perde perché non la aiutiamo abbastanza” (che saranno mai 300 miliardi di dollari in tre anni): ma la controffensiva del 2023 fallì nel momento di massimo invio di armi e soldi. “La resistenza ucraina vuol continuare a combattere”: ma i sondaggi dicono l’opposto, i reclutandi fuggono o si mutilano e i soldati disertano dal fronte. “Urge rafforzare la leadership di Zelensky”: ma spetta agli ucraini scegliersi il presidente, peraltro scaduto a maggio. Kissinger e Carter, nell’aldilà, non sapranno se ridere o piangere.
L'Amaca
John Wayne con le astronavi
DI MICHELE SERRA
Lono contro l’auto elettrica, proto-tecnologici e reazionari come quasi tutti i fascisti; ignora che il presidente della Repubblica non partecipa alle elezioni, e dunque non può perderle come lui gli augura; non sa scrivere correttamente il nome dei quotidiani tedeschi cui fa riferimento), le fesserie di Musk sulla Germania, dicevo, saranno anche fesserie di estrema destra; ma restano prima di tutto fesserie. Cose di poco conto, insulsaggini da tifoso, opinioni non istruite e di zero autorevolezza.
Fanno notizia perché l’autore è l’uomo più ricco del mondo. E certo, che l’uomo più ricco del mondo non sia in grado di pagarsi un’istruzione dignitosa, o perlomeno un correttore di bozze, è cosa che fa riflettere, e non depone a favore della ricchezza. Però le scempiaggini di Musk sulla Germania (domani sulla Francia, sulla Cina, sull’Italia, su tutto ciò che non conosce) rientrano in un filone antico, quello dell’americano che non sa niente del mondo però ha tutte le intenzioni di sottometterlo, molto spesso con esiti disastrosi, perché fare la fatica di conoscere chi vuoi dominare sarebbe parte non piccola del dominio stesso.
Un John Wayne che al posto della Colt ha le astronavi, e soldi quanti ne bastano a corrompere mezza umanità, indubbiamente preoccupa. Ma rimane John Wayne, un uomo semplice, un maschio primordiale, che nella sua versione proba è in grado di sgominare i cattivi, ma nella sua versione narcisa, e forse paranoica, può fare cose allucinanti.
Elon Musk non lo sa, ma è un test per l’umanità: possono i soldi e la tecnologia vincere a mani basse senza nemmeno mezzo grammo di cultura, e zero umanesimo? L’intelligenza è una serie di numeri o un sistema più sofisticato?
lunedì 30 dicembre 2024
Così è!
Senti Senti!
Le armi vincono ancora. Ordini, ricavi, profitti: nuovi record dei colossi
CRESCE LA PRODUZIONE GLOBALE - Rialzi stellari in Borsa, soprattutto in Asia ed Europa: pesa l’effetto Trump
DI GIULIO DA SILVA
Hanno vinto le armi. Nel 2024 le fabbriche di armi di tutto il pianeta hanno marciato a pieno ritmo. Per il terzo anno consecutivo, con ulteriori, tristi record per l’espansione della produzione di ordigni letali, per la dilatazione dei fatturati e degli utili scanditi da nuovi picchi delle quotazioni in Borsa.
L’analisi dei conti delle maggiori aziende del settore mostra che le cinque più grandi del mondo, tutte statunitense, Lockheed Martin, Rtx-Raytheon, Northrop Grumman, General Dynamics e Boeing (calcolando per quest’ultima solo il settore difesa e spazio), nei primi nove mesi del 2024 hanno messo a segno un’espansione dell’11,2% dei ricavi totali, da 175,1 a 194,8 miliardi di dollari. Il portafoglio ordini, che rappresenta i ricavi del futuro, è lievitato di 32,3 miliardi, a un totale aggregato di 625,7 miliardi (+5,4%). Anche la redditività è aumentata, escludendo Boeing, che soffre soprattutto nella divisione aerei commerciali. Lockheed e le tre altre “major” hanno dichiarato utili netti pari a 13,89 miliardi di dollari, 2,41 miliardi in più (+21%) rispetto ai primi nove mesi del 2023.
In Europa i numeri sono più piccoli, ma i risultati impressionanti. Considerando le cinque principali, Bae Systems, Thales, Leonardo, Rheinmetall e Airbus (di quest’ultima solo la divisione difesa e spazio), i primi nove mesi del 2024 (eccetto Bae che ha pubblicato solo dati semestrali) mostrano una crescita dei ricavi del 12,7% a 55,82 miliardi di euro. Il portafoglio ordini complessivo delle prime quattro è aumentato di 23 miliardi, a un totale di 229,2 miliardi (+11,2%). Gli utili netti aggregati hanno raggiunto i 2,65 miliardi (+10%). Airbus difesa e spazio ha invece dichiarato una perdita operativa rettificata di -699 milioni.
La principale azienda mondiale di armi è Lockheed, produce gli F-35 e i caccia F-16, inviati anche in Ucraina. Sforna i missili mandati da Joe Biden a Kiev: gli anticarro Javelin prodotti con Raytheon e gli Atacms. Nei primi nove mesi del 2024 ha aumentato i ricavi del 7,6% a 52,42 miliardi di dollari e gli utili netti del 5% a 5,05 miliardi. Il portafoglio ordini è aumentato da 160,6 miliardi a 165,7 miliardi. Tirano soprattutto i missili: gli ordini sono saliti di 8 miliardi.
Nei missili il numero uno è Raytheon, fabbrica gli Stinger mandati in Ucraina e i Patriot. Fa parte del gruppo Rtx, che opera anche nell’aviazione commerciale e nei motori per jet. Il gruppo Rtx ha aumentato i ricavi del 20,6% a 59,1 miliardi e gli utili netti dell’86%.
In Europa la principale è la britannica Bae Systems. È alleata di Leonardo nella produzione dell’Eurofighter e nel progetto del superbombardiere Gcap, al quale partecipa anche il Giappone. Nei primi sei mesi del 2024 Bae ha aumentato i ricavi dell’11,4%, pari a 14,06 miliardi di euro, e gli utili netti del 5,2%. Il portafoglio ordini è salito di 5 miliardi, a 89 miliardi totali.
La francese Thales in nove mesi ha aumentato i ricavi del 9,5% a 14,07 miliardi. Leonardo ha aumentato i ricavi del 12,4% a 12,08 miliardi, il “risultato netto ordinario” da 298 a 364 milioni (+22%), il portafoglio ordini da 40,9 a 43,6 miliardi.
La progressione maggiore è quella di Rheinmetall, l’azienda tedesca che ha firmato un accordo con l’ad di Leonardo, Roberto Cingolani, per costruire i futuri carri armati e veicoli blindati per l’Esercito italiano. Rheinmetall ha impiantato fabbriche anche in Ucraina. Vladimir Putin, secondo la Cnn, ha risposto ordinando l’uccisione dell’ad Armin Papperger.
Nei primi nove mesi del 2024 Rheinmetall ha aumentato i ricavi del 36% a 6,27 miliardi e l’utile netto del 27% a 306 milioni. Il portafoglio ordini è aumentato da 38,3 a 51,9 miliardi. Tra le aziende di armi, le azioni di Rheinmetall sono quelle salite di più dall’inizio della guerra Russia-Ucraina. Dagli 83,06 euro di fine 2021 ai 619,6 euro del 23 dicembre scorso: +646%.
Eccetto Boeing (-31% nel 2024), tutte le azioni delle aziende di armi hanno fatto progressi in Borsa nel 2024. Le europee molto più delle americane. Anche le asiatiche sono andate fortissimo. La prima è la cinese Kuang-Chi Technologies, società privata che sviluppa metamateriali (prodotti artificialmente) e opera anche nella difesa, con un’impennata in Borsa del 198,5%.
A parte la Cina, il record è della norvegese Kongsberg, +177%: l’azienda, che produce dai componenti per aerei da guerra ai missili, in nove mesi ha aumentato i ricavi del 21,9% a 2,94 miliardi di euro e gli utili del 41,7%. Fenomeno simile in Giappone, dopo l’abbandono del tetto dell’1% del Pil per la spesa militare, che arriverà a 59 miliardi di dollari nel prossimo anno fiscale. Le azioni salite di più sono di Mitsubishi Heavy Industries (+169%).
In graduatoria seguono l’americana Axon (+144%), produce il taser, la pistola che immobilizza con scariche elettriche, la coreana Hanwha Aerospace (+134%), Rheinmetall (+116%), l’americana Howmet Aerospace (+107%), la brasiliana Embraer (+98%), la britannica Rolls-Royce, che fa motori per aerei (94%). Nel suo capitale dal 2021 c’è Exor, la holding guidata da John Elkann. Quindi un’altra coreana, Hyundai Rotem (+85%).
Undicesima Leonardo, +72% fino al 23 dicembre. I rialzi hanno toccato anche Fincantieri (+58%) e Avio (+64%). Boom anche per la turca Aselsan Elektronik (+60%), la svedese Saab (+55%), le indiane Bharat Tech (+59%) e Hindustan Aeronautics (+50%). Le grandi degli Usa, eccetto Rtx (+39%), hanno avuto rialzi contenuti. Lockheed solo il 7,7%.
Una spiegazione è legata a Donald Trump: con lui la corsa al riarmo sarà ancora più forsennata, specie in Europa. Il prossimo presidente degli Usa vuole che i paesi Nato aumentino la spesa militare al 5% del Pil. Per l’Italia, ferma all’1,5%, vorrebbe dire spendere 50 miliardi in più all’anno, rispetto a una spesa che per l’anno prossimo è fissata in 32,2 miliardi, un nuovo record peraltro.
domenica 29 dicembre 2024
Selvaggia e il Codacons
L’associazione di Carlo Rienzi che vince solo per se stessa
DI SELVAGGIA LUCARELLI
Come il Fatto aveva anticipato pochi giorni fa, il Codacons e Chiara Ferragni hanno raggiunto un accordo che consente alla influencer cremonese di evitare il probabile processo per truffa aggravata. L’associazione in difesa dei consumatori riceverà un risarcimento da destinare a chi, tra gli acquirenti del Pandoro, aveva denunciato Ferragni.
Ferragni devolverà poi ulteriori 200 mila euro a favore di un ente scelto d’intesa con Codacons. Quest’ultimo ritirerà le querele che con ogni probabilità, a gennaio, sarebbero costate il rinvio a giudizio per Ferragni. Insomma, il paradosso è che si tratta di un accordo di indubbio vantaggio per Codacons e Ferragni, ma è da vedere quanto lo sia per le vere vittime di questa vicenda: i consumatori. L’associazione di Carlo Rienzi infatti, come accaduto con Fedez per altre questioni, aveva scomodato la legge. Nel caso del Pandoro era stato depositato un esposto in 104 procure e presso i comandi regionali della Guardia di Finanza. Dopo la donazione di 1 milione da parte di Ferragni all’Ospedale Regina Margherita, ormai un anno fa, Codacons aveva rilasciato il seguente comunicato: “Da Chiara Ferragni arrivano oggi vergognose lacrime di coccodrillo per ripulire la sua immagine pubblica dopo la multa dell’Antitrust sul caso Balocco. Non scuse e mai più beneficenza da chi finge di pentirsi e tenta di ricattare i giudici con promesse di donazioni finalizzate a ottenere una riduzione della sanzione Antitrust”. Neanche un anno dopo, con estrema coerenza, Codacons accetta i risarcimenti, una donazione e ritira le querele. Querele costate quasi un anno di indagini alla procura di Milano, impegnando uffici e dipendenti pubblici che, a quanto pare, hanno lavorato inutilmente. Rienzi e Ferragni si occuperanno insieme di temi sociali e l’impegno del Codacons sul tema violenza contro le donne “si concluderà con un importante evento nazionale cui parteciperà anche la stessa Chiara Ferragni”. Insomma, come era accaduto con Fedez, Rienzi dà il via a una raffica di denunce e di comunicati stampa roboanti, per poi trovare accordi extragiudiziali e utilizzare la visibilità dei Ferragnez per eventi pubblici (indimenticabile quello a Taranto per l’Ilva con Fedez e Rienzi in posa, indossando t-shirt spiritose).
Morale: la Ferragni di turno risolve (legittimamente) le sue beghe legali pagando, Rienzi ottiene soldi per l’associazione e un sacco di pubblicità (facendosi anche risarcire le spese legali) e i famosi cittadini, quelli che il Codacons dovrebbe tutelare, pagano il lavoro delle procure. Trovandole spesso intasate, quando ne hanno bisogno, grazie a chi le scomoda per nulla. Bisognerà fondare un’associazione che ci difenda dal Codacons, prima o poi.
Daniela vs l'Omone
Crosetto e gli “infami”: il potere messo a nudo in poche parole
DI DANIELA RANIERI
L’arroganza, di solito, nei potenti si accompagna alla debolezza. O meglio: alla consapevolezza dell’impotenza. Chiaro esempio di ciò, l’uso di Meloni e dei suoi sottoposti di querelare (in sede civile, per fare un po’ di soldini) giornalisti e scrittori critici (non certo una caratteristica dei – si fa per dire – post-fascisti: questo giornale si sta ancora difendendo da decine di querele intentate dal Renzi senatore o presidente del Consiglio).
Ma c’è una speciale suscettibilità del potente quando viene colto in fallo nella sua cattiva coscienza: l’altro giorno il ministro della Guerra Crosetto, dopo aver postato su X una foto delle sue vacanze in montagna (“Finalmente a casa”), s’è visto rispondere da un signore: “Sarebbe opportuno che pensasse anche a chi, grazie alle vostre armi, una casa non l’ha più, una famiglia non l’ha più. Quando chiedete più tasse, usatele per fare del bene e non distruggere il SSN”. Impeccabile. Praticamente un editoriale, senza un insulto, oggettivo, informato. Crosetto, con grande senso delle istituzioni, risponde così all’utente, che non è un troll e si firma con nome e cognome: “Non so se lei sia più infame o ignorante. Ciò detto anche una persona squallida come lei merita di passare un Buon Natale: auguri”. A un altro, ugualmente civilissimo, dà dello “sfigato” e del rosicone, sottintendendo che lui, il riccone, è in vacanza sui monti mentre il poveretto sbava davanti alle foto delle vacanze di lorsignori; a un altro dice di stare “a cuccia”.
È infame il dissenso, in questa cosiddetta democrazia. Non è infame, invece, che almeno 130 giornalisti (secondo Reporters Sans Frontières) siano stati uccisi dall’esercito israeliano perché raccontavano la verità; che 4 neonati a Gaza siano morti di freddo a Natale; che i complici occidentali di Netanyahu presenti alla riapertura di Notre-Dame trasformata in un centro commerciale continuino a foraggiare materialmente e a sostenere moralmente il genocidio dei palestinesi (piano con le parole: i sionisti messianici potrebbero offendersi, mentre sparano in testa ai bambini), buffonata ipocrita che di cristiano non aveva nulla se non la scocca kitsch e alla quale infatti Papa Francesco ha rifiutato di presenziare.
I complici degli aguzzini si adontano e danno di matto, esibendosi in insulti da bulli da bar, se persino un comune e civile cittadino li mette a nudo nella loro miseria.
A proposito di giornalismo
Semilibertà di stampa
di Marco Travaglio
L’inaudito arresto di Cecilia Sala a Teheran – non per i suoi scritti, ma come ostaggio da scambiare con un imprenditore iraniano catturato in Italia su ordine Usa per fumosissime accuse – ha finalmente messo d’accordo l’intera stampa: non si arrestano i giornalisti. Si dirà: in quale Paese si potrebbe mai affermare il contrario? In Italia. Sei mesi fa Julian Assange fu costretto dagli Usa a patteggiare una pena per evitare 170 anni di galera e riavere la libertà dopo 12 anni trascorsi fra una stanzetta d’ambasciata e un carcere di massima sicurezza a Londra. La colpa era aver pubblicato notizie e documenti veri, dunque sgraditi agli Usa e ai loro complici, che lo accusavano di spionaggio. Ma molti giornalisti appesi per anni alle sue labbra per assicurarsene gli scoop non spesero una parola in sua difesa, anzi dissero che stava bene dov’era. Johnny Riotta, che sta alle notizie come Rocco Siffredi all’illibatezza, squalificò le sue come “raid di spionaggio e cyberwar russa”; e quando, come nei processi staliniani e maoisti, Assange ridotto a larva fu costretto a barattare la libertà con l’ammissione di reati inesistenti, fece lo gnorri: “Assange confessa il reato Wikileaks alla giustizia Usa e viene di conseguenza liberato. Bene così”.
Repubblica deplorò “l’enorme clamore mediatico e dei fan di Assange” e s’interrogò: “Eroe? Criminale? Martire della libertà? Giornalista? Agente al soldo altrui?”. Il Giornale di Ballusti lo definì “ladro di segreti di Stato” e “spione” con la “pancetta da abbrutito”. La Stampa “hacker” forse “putiniano” che ha “favorito Trump e autocrati”. Giuliano Ferrara, vera spia (della Cia), raccomandò sul Foglio: “Niente monumenti per Assange, colpevole e libero” perché “se l’è cavata” (recluso come un sorcio per 12 anni: che sarà mai). Per Libero, l’ingrato Assange avrebbe dovuto ringraziare i suoi persecutori perché “i nemici degli Usa non muoiono in cella”. Nel senso che gli amici degli Usa i giornalisti li ammazzano direttamente sul campo. Le truppe ucraine ne fecero fuori 40 negli 8 anni di guerra civile in Donbass, fra cui l’italiano Andy Rocchelli. Quelle israeliane negli ultimi 15 mesi ne hanno eliminati almeno 138 fra Gaza, Cisgiordania e Libano, oltre la metà di tutti quelli assassinati nel mondo (in Ucraina sono 21 in tre anni). Gli ultimi cinque, palestinesi, erano su un furgone di fronte all’ospedale Al-Awda, in un campo profughi della Striscia, con la scritta Press grande come una casa: l’Idf li ha fatti saltare in aria spacciandoli per “cellula terroristica”. E nessun giornale italiano, a parte un paio fra cui il Fatto, ha ritenuto la notizia degna della prima pagina. Poi, purtroppo, è stata arrestata Cecilia a Teheran. E, per fortuna, l’amore per la stampa libera è risbocciato ovunque. Furbi et orbi.
L'Amaca
Cose che si possono fare
DI MICHELE SERRA
Non so se sia merito del Giubileo, del Campidoglio, di una congiunzione astrale o infine del caso, che tutto governa: ma Roma mi è sembrata visibilmente più pulita del solito. Ammesso che questa mia constatazione personale (però supportata da lunghe passeggiate in molte zone diverse) abbia valore, la cosa interessante non è tanto attribuire meriti recenti, o precedenti demeriti. La cosa interessante è stabilire che si può fare.
Che è possibile fare almeno alcune delle tante cose delle quali si suole dire: non c’è più niente da fare.
Rischiamo di rassegnarci a una visione entropica della società. È palpabile nei commenti da bar, nelle chiacchiere rancorose, spesso nei titoli di giornale. Ci sembra che i margini di miglioramento siano molto esili o inesistenti. Lo spirito dei tempi è pervaso di rassegnazione, la sfiducia nel futuro è un sentimento molto diffuso (non solo nei vecchi).
Forse è depressione, forse il più comodo degli alibi per lasciare tutto com’è.
Fatto sta che sorprende scoprire che una città proverbialmente sporca può essere più pulita — o meno sporca, a seconda dei punti di vista.
Ciò che è rovesciato a terra può essere raccolto, ciò che marcisce e ristagna può essere riciclato, esistono tecnologie e mezzi per governare le deiezioni di una metropoli, così che per contagio, per imitazione, anche il più zozzone dei cittadini si senta incline a comportamenti virtuosi. “Si può fare” potrebbe essere un buon pensiero per entrare nell’anno che verrà.
Che ha una virtù oggettiva: deve ancora cominciare. È una pagina bianca.
Appallottolarla e buttarla per terra, non va bene.
sabato 28 dicembre 2024
D'accordo con Elena
L’Europa contro Trump: ma chi governa la Nato?
DI ELENA BASILE
Viviamo una anomalia che non viene sottolineata nei media occidentali. La Nato, come recitava Zbigniew Brzezinski, consigliere per la sicurezza nazionale di Jimmy Carter, uno dei massimi strateghi statunitensi, di origini polacche e russofobo, è una alleanza di vassalli europei sottomessi alla potenza egemone, gli Stati Uniti. Il Presidente degli Stati Uniti, nella contraddittoria e inquietante dialettica tra istituzioni esistente a Washington, costituirebbe la sintesi tra le varie lobby e poteri e rappresenterebbe costituzionalmente il Paese sulla scena internazionale. In ambito Nato, tuttavia, oggi l’Europa persegue una politica opposta alle direttive di Trump. Quanto più quest’ultimo parla di mediazione necessaria con la Russia, tanto più Ursula von der Leyen e Kaja Kallas, all’unisono con Mark Rutte, perorano la continuazione della guerra adducendo gli usuali alibi menzogneri che dovrebbero rendere le madri fiere come per il Vietnam di sacrificare i loro figli in nome della libertà del democratico occidente. Quali sono dunque i vertici che contro il Presidente USA hanno preso piede nella Nato? L’Europa continua da sola una guerra per procura contro la Russia fortemente voluta dai Dem Usa anche quando si è democraticamente cambiato l’inquilino della Casa Bianca? Si tratta di una contraddizione lacerante del mondo euro-atlantico supinamente accettata dai nostri analisti. Immaginate possibile che il braccio europeo armato della Nato si intromettesse nella mediazione con Kruscev del pur isolato Kennedy nel 1962, liquidato dopo poco dai non tanto oscuri contropoteri americani a cui oggi Trump si riferisce con l’appellativo Deep state? I cittadini europei che vedono il proprio Stato sociale smantellato dall’attuale classe dirigente e i valori di pace e prosperità rinnegati, dovrebbero innanzitutto chiedere a quali poteri l’Europa obbedisce. Quante volte i diplomatici hanno criticato i pacifisti ricordando realisticamente i necessari vincoli euro-atlantici, l’obbedienza all’egemone che garantisce l’ombrello nucleare? Eppure per la politica basata su architetture internazionali note, gli Usa oggi sostengono la mediazione non i rifornimenti di armamenti all’Ucraina.
Le tante violazioni del diritto internazionale passano ormai sotto silenzio. I capi di Stato e di governo europei plaudono agli atti terroristici, l’assassinio di un generale russo con un attentato davanti alla sua abitazione, l’esplosione dei telefonini che tante vittime civili ha realizzato in Libano, l’attacco a uno Stato sovrano, la Siria, perpetrato da milizie jhadiste, sono accettati supinamente dai governi occidentali. Finalmente abbiamo un Isis come si deve, afferma una cinica battuta oggi in voga. In effetti se poteri non dichiarati nell’architettura costituzionale euroatlantica guidano le marionette europee al sostegno illimitato alla guerra in Europa, non possiamo dormire sonni tranquilli. Dopo il popolo ucraino, chi saranno i nuovi agnelli da inviare al macello? Non credo Trump possa pervenire a una mediazione che Mosca accetterebbe solo con condizioni terribilmente gravose: neutralità dell’Ucraina, riconoscimento dei territori occupati dalla Russia, architettura di sicurezza che renda impossibile un nuovo scoppio del conflitto. Trump avrebbe il suo tornaconto isolazionista scaricando i costi sull’Europa. Noi pagheremo le armi da inviare in Ucraina. I neo conservatori, la burocrazia del Deep state avranno la loro mezza vittoria. Le oligarchie delle armi brinderanno alla continuazione dei loro profitti. Intanto in Medio Oriente l’orrore di Gaza continua di fronte a spettatori assuefatti al male. La Russia ha fatto buon viso a cattivo gioco in Siria e un accordo tra Turchia, Iran e Russia ha reso possibile il trionfo delle milizie terroriste quasi senza spargimento di sangue. Mosca , a conferma che i doppi standard non sono patrimonio unico dell’Occidente, ha condannato le brutali azioni di forza israeliane in Siria (come in Libano e in Plaestina) ma non le manovre turche. La fine degli Assad coinciderà con una spartizione di risorse e terre tra americani, turchi e israeliani, in virtù della forza militare bruta delegata agli ex tagliagole. I russi non perderanno l’alleanza turca e degli arabi sunniti, conserveranno le basi militari sul mar Nero. L’Iran risulta perdente insieme alla resistenza palestinese. Avrà piegato la testa nella speranza di evitare il colpo che Netanyahu e la lobby di Israele da tempo promettono e che con Trump sarebbe divenuto certo? Purtroppo gli elementi a disposizione nel liberalismo autoritario in cui ci assopiamo ignari, non permettono di poter fare analisi fondate. La sola cosa certa è che il popolo siriano sarà sottoposto a un nuovo esperimento geopolitico e il terrorismo di stato in Palestina continuerà indisturbato e impunito. Le vittime ucraine non avranno ancora l’agognata tregua.
Carriere separate
I processi somari
di Marco Travaglio
L’8 gennaio la Camera inizierà a discutere la legge Nordio-Gelli per separare le carriere di giudici e pm e i rispettivi Csm. Noi non vediamo l’ora che entri in vigore malgrado siamo contrari, anzi proprio per questo. Solo la prova su strada farà capire ai somari del garantismo all’italiana di aver prodotto l’effetto opposto a quello che auspicavano. Oggi requirenti e giudicanti fanno parte dell’unico Ordinamento giudiziario. Ma i passaggi da una funzione all’altra, un tempo normali (Falcone e Borsellino furono prima giudici e poi pm), sono già così ostacolati da leggi infami di destra&sinistra da risultare statisticamente irrilevanti: nel 2023 hanno riguardato 34 magistrati su 9mila (lo 0,37%). Eppure il Consiglio d’Europa li raccomanda per l’arricchimento professionale dei giudici e dei pm accomunati dalla “cultura della giurisdizione”. E la nostra Costituzione affida a entrambi lo stesso obiettivo: cercare la verità con imparzialità. Se il pm si stacca dal giudice, sarà sempre meno imparziale: un avvocato della polizia, tutto teso a far condannare più gente possibile. La cultura dell’imparzialità cederà il passo a quella del risultato, la stessa del poliziotto che fa carriera a suon di statistiche: tot perquisizioni, tot sequestri, tot arresti…
I somari citano, a sostegno della separazione, il caso dei due pm milanesi condannati in primo grado per aver nascosto prove favorevoli agli imputati nel processo Eni. Ma è proprio perché le carriere sono unite che è stato possibile condannarli. Il pm non ha il cottimo sulle condanne: se si convince dell’innocenza dell’imputato, deve chiedere di assolverlo. Ma se diventa come l’avvocato, pagato per far assolvere il cliente anche se lo sa colpevole, ignorerà le prove a discarico. Se un avvocato porta al giudice una prova contro il suo assistito, viene punito per infedele patrocinio; il pm invece viene punito se non porta una prova a favore del suo imputato. Perciò pm e difensore non sono sullo stesso piano: l’uno mira alla verità (come il giudice), l’altro all’assoluzione. Due figure essenziali che meritano armi pari, ma una rappresenta la collettività, l’altra il privato. Separandoli dai giudici, i “garantisti” trasformeranno i pm in una casta di Torquemada molto popolari e “giustizialisti” che chiederanno condanne purchessia a furor di popolo: il “partito dei pm”, oggi inesistente, si materializzerà proprio grazie a questi somari. È già accaduto in Portogallo nel 1974 quando, caduto Salazar, la Rivoluzione dei Garofani separò i pm dai giudici, ma senza metterli sotto il governo: i pm divennero una falange di inquisitori assatanati, anche contro i potenti. Tant’è che lì i “garantisti” vorrebbero riunificare le carriere per riportare un po’ di equilibrio. Se hanno qualche amico in Italia, è il caso che lo avvisino per tempo.
L'Amaca
Vitalità della confusione
DI MICHELE SERRA
La foto del calciatore egiziano del Liverpool Mohamed Salah con moglie e figli (bellissima famiglia) sotto l’albero di Natale parla di benessere e di contaminazione. Salah è musulmano osservante, ma nel Paese dove vive e prospera, l’Inghilterra, l’albero di Natale è quasi in ogni casa, compresa la sua. Niente di più normale, dunque, di quella immagine, e niente di più prevedibile delle minacce indignate che qualche musulmano poco intelligente ha rivolto a Salah. La con-fusione terrorizza i fanatici, perché i fanatici sono prima di tutto deboli: chi è saldo nella propria identità non ha paura di confondersi.
Di selfie simili a quello della famiglia Salah ce ne vorrebbero a bizzeffe, cattolici che frequentano moschee, atei entusiasti di essere a San Pietro, ebrei con lakefiah , russi e ucraini disarmati, leghisti in pellegrinaggio in una Ztl,radical chic che inaugurano il bilocale in periferia, milanisti distrattamente con il berretto dell’Inter (mi scuso per la lista promiscua, che mescola il pesante con il leggero, ma è appunto di contaminazione che si sta parlando): tutto ciò che confonde le carte parla di speranza, di energia, di novità.
Viviamo una pesante fase reazionaria (a tutti i livelli) perché è un momento storico nel quale la paura prevale, e spinge a rinchiudersi. I “bei tempi andati”, che belli non furono mai, sono l’altare sul quale troppi sacrificano la propria intelligenza.
Salah è un musulmano europeo come ce ne sono tanti, sempre di più. Non sappiamo se quelli come lui — i promiscui, i contaminati — vinceranno o perderanno, ma sappiamo per chi fare il tifo.
venerdì 27 dicembre 2024
L'Amaca
Fare caciara a casa propria
DI MICHELE SERRA
Va bene che la memoria è corta, ma sono passati meno di dieci anni da quando il Salvini, con un manipolo di ardimentosi, andò a fare caciara sotto la casa di Elsa Fornero. Un domicilio privato eletto a bersaglio pubblico; un gesto che faceva parte, a pieno titolo, del pacchetto di intimidazioni individuali e aggressioni verbali, in stile curva da stadio, che il futuro ministro dell’Interno eresse a metodo politico, anche grazie all’indimenticabile attività social della sedicente Bestia, di nome e di fatto.
Il pretesto, lo ricordiamo bene, erano le drastiche misure di contenimento della spesa pubblica che Fornero, ministro del Lavoro del governo Monti, aveva adottato, anche a costo di procrastinare, per alcune categorie, l’età della pensione. Ora che la destra, dopo anni di scomposta demagogia, ha imparato suo malgrado a far di conto, e di conseguenza ha confermato, protratto e se necessario aggravato le misure forneriane, ci si domanda sotto casa di chi il Salvini possa andare a manifestare tutta la sua iracondia. Sotto casa Meloni? Sotto casa Giorgetti? Sotto casa sua, citofonandosi e dandosi del pirla, come affettuosamente usa fare, a Milano, anche tra amici?
Si sa che la correttezza è rara, in politica, quanto il ciclismo tra le vongole; ma forse un paio di frasi di scusa, anche se non sentite, anche se ipocrite, per pura buona educazione, il Salvini potrebbe spenderle.
Sarebbe un breve interludio beneducato in un lungo percorso fatto di modi bruschi e di parole sgradevoli. Un’eccezione che non gli rovina la media.
giovedì 26 dicembre 2024
mercoledì 25 dicembre 2024
Fragili indomiti
Ecco la foto di questo scorcio del 2024 che più di ogni altra fotografa la nostra attuale condizione: Fragilità.
Appare fragile il Papa in carrozzina, in grado lo stesso però di compiere un gesto da scossone globale, l’apertura, domani, della Porta Santa nel carcere di Rebibbia! Apparentemente fragile, al pari del Bimbo nella mangiatoia, Francesco, inascoltato dai cosiddetti grandi del pianeta, è in grado di portare un raggio di luce in questa oscurità culturale pullulante di idioti gradassi, convinti che la pace si possa perseguire armando pedissequamente nazioni infarcite di ribaldi; l’elenco sarebbe infinito, pure il ministrone delle nostre forze armate e, naturalmente la ducetta ieri tra l’altro presente all’apertura della porta santa in San Pietro, ne fanno parte, e quel nuovo e pusillanime capo della Nato, l’olandese Rutto-Rutte, capace di sobillare chicchessia per una corsa scellerata verso un conflitto globale.
Guardando alla fragilità di Francesco e del Bambino verrebbe dunque da impregnarci di timore, paure, remissività. Se li si osserva invece sorretti da una pur flebile fede, ci trasmettono un afflato, una brezza di speranza, portatrice di quei doni che auguro a tutti di ricevere, per un mondo migliore. Buon Natale!
martedì 24 dicembre 2024
Intanto…
Nella Notte Santa
A Gaza niente doni, se i bimbi potessero scrivere a Babbo Natale chiederebbero solo di poter morire
di Rita Baroud
DEIR AL BALAH – Più di 444 Giorni di Vita Sospesa a Gaza. Qui, il tempo ha smesso di scorrere. Niente scuole, niente lavoro, niente speranza. Solo giorni che nel loro dolore si rispecchiano l'uno nell'altro, come infinite repliche della stessa catastrofe. Giorni sospesi nel vuoto, appesantiti dall’eco delle esplosioni e dal suono incessante dei proiettili, costante promemoria che la vita qui è diversa da qualsiasi altra vita, in qualsiasi altro luogo. A migliaia di chilometri di distanza dai mercati affollati, adornati di luci scintillanti e dal suono delle campane natalizie, esiste un altro mondo—un mondo che non conosce né il calore delle feste, né la benedizione della pace. Qui a Gaza, dove il rombo degli aerei e delle esplosioni non cessa mai, la gioia del Natale è assente, sostituita da una realtà cupa che sfugge a ogni umana descrizione.
In questi giorni, mentre il mondo accende alberi di Natale e innalza preghiere per la pace, noi alziamo le mani, non in segno di festa, ma in un disperato tentativo di proteggere i nostri figli dal terrore dei missili. Nelle strade della mia città, non ci sono decorazioni, né risate—solo resti di case distrutte e sogni infranti. In mezzo a questo inferno, l'inverno arriva come un ospite indesiderato, portando solo altra sofferenza.
Gaza non è estranea al dolore, ma a dicembre diventa ancora più insopportabile. Qui, i regali non si scambiano sotto gli alberi; invece, si distribuiscono razioni di cibo scarse in lunghe file, accompagnate dalla paura che le scorte finiscano prima di arrivare a tutti. Gaza esiste ai margini della vita, isolata da un mondo che sembra perso nelle sue celebrazioni, sommerso dal bagliore delle sue festività.
In inverno, la sofferenza del popolo di Gaza si raddoppia. Le famiglie si ritrovano intrappolate tra il freddo pungente dell'inverno e muri fatiscenti che non offrono protezione. I bambini dormono sul terreno ghiacciato, i loro volti pallidi raccontano storie di fame e freddo. L'inverno qui non è solo un'altra stagione; è un'ulteriore prova di resistenza contro l'insopportabile.
I vicoli stretti, ora inondati di fango dopo le piogge, costringono i bambini scalzi a percorrere sentieri mentre i loro piccoli corpi tremano. Le famiglie vivono in tende strappate circondate da pozze d'acqua dopo le tempeste, mentre i bambini cercano di accendere fuochi usando spazzatura solo per scaldarsi le mani.
Ieri sera, mentre camminavo tra i vicoli del quartiere, cercando di comprare del cibo dal costo esorbitante e scarso fino alla disperazione, ho chiesto ai bambini che ho incontrato: “Cosa desiderate?” I loro volti erano stanchi, le loro espressioni raccontavano storie di esaurimento che non dovrebbero appartenere all'infanzia. Le loro risposte andavano dal desiderare calore, al voler morire, al desiderare la fine di questo genocidio che soffoca Gaza.
Ma c'è stata una bambina, non più grande di cinque anni, che mi ha colpito più di ogni altra cosa. Portava sulla spalla una scatola di cartone in cui raccoglieva avanzi di cibo marcio che aveva recuperato da cumuli di immondizia. La sua immagine da sola sarebbe bastata a spezzare qualsiasi cuore. Le ho chiesto: “Cosa desideri?” Si è fermata per un momento, poi ha risposto con una voce dolce che portava il peso del mondo: “Vorrei trovare cibo per nutrire i miei fratellini. Mio padre ha perso gli arti, e mia madre è stata martirizzata. Sono io la responsabile di loro.”
Non ho potuto rispondere. Le parole mi sono mancate mentre la guardavo. In quel momento, la mia ricerca di cibo non aveva più importanza. Tutto sembrava insignificante rispetto al dolore in quegli occhi piccoli.
In tutto il mondo, i bambini scrivono lettere a Babbo Natale, chiedendo giocattoli e regali. Decorano alberi di Natale e riempiono le loro case di risate e gioia. Ma a Gaza, non ci sono lettere e non ci sono feste. Qui, se i bambini scrivessero qualcosa, non sarebbe per chiedere giocattoli o regali. Chiederebbero solo una cosa: la morte, come fuga da una vita che ha rubato loro l'infanzia e distrutto i loro sogni.
A Gaza, la vita non è vita. È una serie infinita di crisi che iniziano e non finiscono mai, mettendo alla prova anche i bambini più piccoli prima che possano capire il significato dell'innocenza. Sperano che oggi sia l'ultimo giorno, perché i giorni futuri non portano altro che più fame, paura e silenzio assordante. Migliaia di chilometri lontano, i bambini accendono candele e si riuniscono intorno a tavole piene di amore e cibo. Ma qui, le candele si accendono solo per vedere cosa rimane delle nostre case, e la tavola è vuota tranne che per un'attesa dolorosa.
Ogni volta che sento parlare delle lettere che i bambini inviano a Babbo Natale, mi chiedo: e se i bambini di Gaza scrivessero lettere? Chiederebbero qualcosa di diverso dalla morte? Chiederebbero un giocattolo per riportare una gioia che non hanno mai conosciuto? Gaza esiste ai margini della vita, isolata da un mondo che sembra averla completamente dimenticata, sommerso nel bagliore delle sue festività.
A Gaza, tutto è fermo: niente elettricità, niente acqua potabile, nessuna parvenza di vita normale. Persino sognare, un tempo un rifugio semplice, è diventato un lusso che nessuno osa concedersi. Ma lontano da questo angolo di mondo, la vita va avanti. Le città si illuminano con i colori del Natale, i mercati sono affollati e le persone si scambiano regali. Altrove, il tempo vola, e il mondo si occupa delle sue routine quotidiane, mentre qui a Gaza, ogni minuto porta un peso insopportabile.
Più di 444 giorni, e il mondo non si è fermato nemmeno per un momento a chiedersi: come sopravvivono due milioni di persone senza alcun orizzonte? Come continuano a vivere in mezzo alla completa assenza di tutto?
Più di 444 giorni, senza risposte.
Vigilia
La spesa della Vigilia, la sorte a volte la impone e anche se la lista, rigorosamente dettata, è a prova di light-normodotato, l’errore è sempre in agguato! Così, dotato del grande Louis e la sua divina tromba in coclea ho affrontato la prova Terrazze, con una preparazione psico fisica degna del miglior Jannik. Superate le semplici formalità di arance e farina, ecco presentarsi il primo ostacolo: il prosciutto crudo tagliato a fette larghe, che trasmesso alla signora ha avuto lo stesso effetto di chiedere “scusi c’è una fontana qui?” a Piazza di Trevi. Stava per dirmi “vado a far sgocciolare un maiale largo?” quando l’ho prevenuta con “sa è per una ricetta” ricevendo un etto di compassione; ma il clou è stata l’erba cipollina! Fingendomi Cracco non ho appositamente domandato allo chef “cosaminkiaèl’erbacipollina?” immaginandola come una verdura con attaccate delle biglie cipolline appunto, e scrutando il banco verdura meglio dell’addetto ai prezzi, ho trascorso un tempo immane nella sua ricerca, fino a quando, pietosamente, mi sono avvicinato ad una commessa con la faccia dei primi pellegrini verso Compostela dicendole “se vuole che passi delle buone feste mi indichi dove si trova l’erba cipollina!” e lei, quasi per mano mi ha indicato lo scaffale con quegli esili steli verdi che giammai avrei trovato! Infine la fesa di vitello che non compariva da nessuna parte, neppure dai conigli e dai polli! Anche qui il fato ha voluto che il macellaio, post minzione, m’indicasse il magatello, una parte simile del vitello, che io non avrei trovato neppure se fossi stato il compagno segreto di Cecchini di Panzano in Chianti! Tralascio il dubbio amletico di pasta frolla o sfoglia, risolto col lancio della monetina, vinto come da conferma telefonica della consorte, preoccupata, giustamente, per la buona riuscita degli acquisti, come la signora Armstrong il 21 luglio 1969!
Jingle Bells!
Pandori e dintorni
Ferragni-Pandoro: la legge è più uguale per chi paga
SI VA VERSO L’ACCORDO COL CODACONS - Truffa aggravata. Parte offesa è l’associazione consumatori: se ritira la querela, il reato non è perseguibile d’ufficio (grazie alla Cartabia)
DI SELVAGGIA LUCARELLI
Non si sa ancora se questa sarà la grande opportunità di Chiara Ferragni, visto che le indagini a suo carico per il caso Pandoro si sono chiuse a ottobre e non è dato sapere cosa ne sarà di lei da un punto di vista legale, ma l’ipotesi che potrebbe vedere Ferragni ‘saldare il conto’ e la procura richiedere un’archiviazione sembra concreta. Come ho scritto più volte, non mi stupirebbe, soprattutto perché i precedenti non mancano.
Tra il 2021 e il 2022, per esempio, mi sono occupata del caso che riguardava Paolo Palumbo, il ragazzo sardo malato di Sla, e di suo padre Marco. La storia di Paolo, amplificata dalla sua partecipazione come ospite all’edizione 2020 del festival di Sanremo, è quella di un giovanissimo malato di Sclerosi Laterale Amiotrofica e di un padre che apre una raccolta fondi per poter pagare al figlio le costose cure sperimentali di un luminare israeliano, il cui prezzo stimato è di quasi 1 milione di euro.
Marco Palumbo di euro ne raccoglie quasi 150.000 fregando pure vip e squadre di calcio, ma poi da più parti (principalmente grazie alla mia inchiesta e ai sospetti del neurologo che aveva in carico il figlio) cominciano a emergere discrepanze nel racconto. Si scopre alla fine che il luminare israeliano non esiste, ma che è un alter ego del padre di Paolo, e che pertanto la raccolta fondi non serve a ciò per cui era nata. Tre donatori denunciano e Marco Palumbo finisce a processo con due capi d’imputazione: sostituzione di persona (per aver finto di essere il medico israeliano Dimitrios Karoussis) e truffa continuata (per la raccolta fondi).
La sostituzione di persona è un reato che procede d’ufficio, senza bisogno di querela, e infatti per questo capo d’imputazione Marco Palumbo patteggia nel 2023, in primo grado, una condanna di otto mesi (convertiti poi in 7.000 euro). La truffa continuata, invece, può decadere se le parti offese ritirano la denuncia. E quindi avendo Palumbo risarcito i tre querelanti con una somma di denaro superiore a quella donata, il reato si è estinto. Il che non significa che non avesse truffato centinaia di generosi donatori, ma semplicemente che nessuno di questi desiderava più andare a processo.
E qui torniamo a Ferragni. Il suo caso è diverso, ma non troppo. Nei confronti dell’influencer la procura ha indagato per truffa aggravata, un reato che in caso di remissione della querela della parte offesa non è procedibile d’ufficio (grazie alla riforma Cartabia). E siccome la parte offesa è solo e soltanto il Codacons, la più ‘famosa’ associazione di tutela dei consumatori italiana, la palla è nelle sue mani. Tant’è che come riportano diverse testate tra cui Rai News (e in realtà si vocifera da un po’ di tempo), tra Ferragni e Codacons sarebbe in corso una trattativa che potrebbe portare, in cambio di una grossa cifra a titolo di risarcimento dei consumatori che il Codacons ‘rappresenta’, al ritiro delle querele. Una strategia do ut des: il Codacons riceve molti soldi (Ferragni ha versato 1 milione di euro all’Antitrust, 1 milione all’ospedale Regina Margherita per il pandoro e più o meno altrettanti all’associazione ‘Bambini delle Fate’ per le uova di Pasqua), e Ferragni vede scomparire la parte offesa dall’indagine a suo carico.
La palla passerebbe dunque alla Procura di Milano, che a quel punto prenderebbe atto della ‘disponibilità’ dell’indagato a transare con la benedizione della parte offesa e archivierebbe.
Quest’ultima ipotesi non cancellerebbe nulla della condotta di Ferragni, la cui scorrettezza nei confronti dei consumatori è stata sancita dalla multa dell’Antitrust per il pandoro e dall’accordo economico raggiunto per le uova di Pasqua, ma le risparmierebbe un lungo processo con l’inevitabile incognita del suo esito. In più, gioverebbe enormemente allo storytelling, specie con un’opinione pubblica ancora così accanita, con l’influencer che potrebbe dire: ‘Avete visto? Hanno archiviato, non avevo fatto niente!’.
A quel punto, tutta la stampa che per anni l’ha portata in palmo di mano (figuriamoci ora che potrebbe allargare la famiglia con un Tronchetti Provera) sarà pronta a stenderle di nuovo tappeti rossi, lavati a secco per l’occasione.
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