I patrioti ideologici. I neo eletti fingono aperture: parole e fatti li smentiscono.
di Alessandro Robecchi
Rimbalza come d’abitudine nel flipper del nuovo governo – tra lingue mulinanti di apprezzamenti, piaggerie da mantenimento del posto, riposizionamenti studiati da mesi – la pallina solita del “non siamo ideologici”, sbandierata qui e là da questo o quel membro del nuovo esecutivo. Ultimo a pronunciarla in un’intervista (“non abbiamo mai avuto preclusioni ideologiche”), il ministro cognato dell’agricoltura (e sovranità alimentare! Wow!) Francesco Lollobrigida, che lo dice a proposito della consulenza di Roberto Cingolani. Ministro prima, consulente oggi, un uomo per tutte le stagioni: non si capisce quale preclusione ideologica si possa avere con uno che si adatta così facilmente.
Ma sia: quella dell’allontanare da sé i sospetti è una preoccupazione molto in voga e la presidente del Consiglio ci sta molto attenta, non vuole passare per figlia della lupa, così come alcuni dei suoi giannizzeri indossano la maschera dei moderati, ragionevoli, neo-atlantisti, pacati, guarda che bravi. Magari giocando facile nel ridurre a macchietta i piccoli reducismi balilla di un La Russa e camerati: folklore, collezionismo, uffa che barba, mentre loro pensano al bene della Nazione.
Ed eccola lì. L’ideologia cacciata dalla porta a parole, rientra dalla finestra proprio con le parole. È un profluvio di “Nazione”, che sostituisce “Paese” (brutto, di sinistra), così come “patrioti” ha sostituito l’impresentabile “camerati”. Camouflage. Mimetismo.
Il cambio di nome di alcuni ministeri, di cui si è molto parlato, denuncia – sempre le parole, maledette! – una densa sostanza ideologica, proprio quella che si vuol negare. Si è detto della natalità, della sovranità alimentare, del ministero del mare (a cui manca colpevolmente “Nostrum”, ma serviva per fregare a Salvini i porti, cosa che non sembra riuscita, per ora). E potentemente si infila – ideologia canaglia – nella carta intestata del nuovo ministero dell’Istruzione, che diventa anche “del merito”, quel glorioso trucchetto delle classi dominanti e dei nati meritati per difendere all’infinito privilegi e diseguaglianze. Esattamente – in barba a tutti i “non saremo ideologici” di questo mondo – un manifesto ideologico di classismo (infatti piace tanto a Calenda). Anche il ministero “delle imprese e del made in Italy” gronda ideologia già nell’enunciato, e manifesta che l’economia del Paese (pardon, Nazione) sono le imprese. Non i lavoratori, le forze produttive, l’insieme di, no, le imprese. Bon. E quel che fa bene alle imprese fa bene alla Nazione, antico refrain oggi benedetto anche dal nome.
Ma se siete in cerca di ideologie a casa di quelli che “non saremo ideologici” (ahah), la lezione migliore viene da Guido Crosetto, tradizionalmente presentato come “moderato”, vezzeggiato e corteggiato dai media, dietro la cui maschera di buono si nasconde il vero tratto ideologico della destra vincente. Ed è un tratto minaccioso assai: Crosetto ammette che “C’è un rischio fortissimo di povertà e disoccupazione. Dunque, di rabbia…”. Ma poi, ecco la sostanza ideologica: “La rabbia cerca sempre colpevoli e le piazze arrabbiate non fanno male ai governi. Ma alle nazioni”. Et voilà, esplicitato per bene per chi ancora non lo vedesse: la piazza, la rabbia, la mobilitazione (eterodiretta, magari da Putin, lascia intendere Crosetto) non è antigovernativa, ma antinazionale. Governo e Stato, governo e Nazione, di fronte a un’eventuale opposizione di piazza, coincidono. La summa, spiegata bene, dell’ideologia sovranista, nazionalista (e un po’ fascista) che si tenta di negare a parole.
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