sabato 29 ottobre 2022

Interessante Watson!

 

Federico Rampini per www.corriere.it
L’ultima follia del prezzo del gas è questa: in Texas tre giorni fa valeva meno di zero, te lo regalavano, anzi ti pagavano se facevi il favore di andarlo a ritirare. Non scherzo. È un caso estremo, un’anomalia momentanea, ma serve a illustrare i paradossi di un mercato impazzito. Comunque anche in Europa i prezzi del gas sono crollati del 70% rispetto ai massimi. Sono tornati ai livelli di giugno, prima che Putin cominciasse a tagliare le forniture. Gli intermediari del gas parlano di «ingorgo», per non subire perdite sui prezzi di vendita parcheggiano navi-cisterna piene di gas liquido al largo delle coste inglesi e spagnole. La situazione si è capovolta in men che non si dica. Ma potrebbe capovolgersi di nuovo, in senso opposto. Anzi, quasi sicuramente accadrà.
Per almeno un anno, le bollette dell’energia ci faranno disperare: in un certo senso, anche quando scenderanno. Ci attende un periodo di fluttuazioni, a volte incomprensibili. Bisognerà tenere i nervi saldi per fare le scelte giuste ed evitare gli errori del passato. Cominciamo dalla situazione attuale: schizofrenia pura. Gli italiani e molti altri cittadini europei in questo preciso momento subiscono l’impatto di bollette pesantissime, che per alcuni significano sacrifici insopportabili o il fallimento. Nello stesso tempo i prezzi all’ingrosso del gas stanno precipitando, sia pure senza arrivare all’incidente estremo del Texas (un controsenso che spiego più avanti).
Che cosa sta succedendo? In un videocommento apparso sul sito del «Corriere» due giorni fa, ho spiegato le cause fondamentali del calo dei prezzi del gas all’ingrosso. Il clima insolitamente tiepido di questo autunno in tutta l’Europa consente di rinviare l’accensione dei riscaldamenti e quindi modera la domanda di energia. Anche i segnali di recessione mondiale, o quantomeno il rallentamento della crescita, riducono i consumi: col paradosso che la Cina rivende all’Europa del gas che aveva comprato ma di cui non ha bisogno perché la sua crescita è fiacca.
Le scorte per l’inverno sono state completate, le capacità di immagazzinamento del gas sono piene al 95%, quindi è cessata per adesso quella «campagna acquisti» (follemente condotta da ciascun Paese europeo per conto proprio) che aveva innescato la terribile spirale dei rialzi nei mesi scorsi. Ma le bollette che gli italiani stanno pagando riflettono ancora i prezzi all’ingrosso che erano impazziti durante quella «campagna acquisti». Ecco perché sulle famiglie e sulle imprese si abbatte, in ritardo, uno shock energetico che sui mercati all’ingrosso è già in ritirata.
Ma quanto durerà questa caduta dei prezzi? Non mi azzardo a fare previsioni, naturalmente, perché troppe incognite incidono sulla volatilità dei mercati energetici. Però il mercato dei futures già prevede un ritorno di aumenti dei prezzi quest’inverno. Un dato di fondo lo conosciamo, sulla dinamica della domanda e dell’offerta. Se continua la guerra e la Russia resta sotto sanzioni (cioè di fatto è lei che sanziona noi chiudendo i rubinetti di Nord Stream), è stata tolta dal mercato del gas una fetta consistente dell’offerta mondiale.
Per il petrolio è diverso, perché tanto petrolio viaggia su mare e quindi i flussi si adattano: il greggio che la Russia non vende più a noi, lo vende alla Cina e all’India; queste due hanno meno bisogno di petrolio saudita e di conseguenza l’Arabia può venderne di più a noi. È una partita di giro ma l’offerta complessiva di petrolio rimane abbastanza stabile (salvo qualche taglio deciso dall’Opec). Gli equilibri della domanda e dell’offerta di petrolio per adesso tendono ad aggiustarsi senza tensioni eccessive sui prezzi. Poi se arriva davvero una recessione il calo della domanda farà il resto, e i prezzi scenderanno.
Il gas segue altre regole, perché tanta parte delle forniture viaggiavano attraverso gasdotti. Quello che la Russia non vende più all’Europa non riesce a venderlo altrove. C’è quindi una componente sostanziale dell’offerta mondiale che è proprio sparita. Gli altri produttori – Olanda e Norvegia in Europa; Qatar Stati Uniti Canada Australia nel resto del mondo – non possono aumentare così tanto la propria produzione da compensare tutto l’ammanco russo.
Inoltre il gas di quei fornitori deve viaggiare allo stato liquido su nave e noi europei ci metteremo molti anni per costruire tutti i rigassificatori di cui abbiamo bisogno. (Piccolo, sporco segreto: poiché il gas liquido non è soggetto a sanzioni, noi lo stiamo comprando anche dalla Russia).
Interviene un altro problema. Per aumentare l’offerta di gas in tutti quei paesi che non sono la Russia, bisogna investire: sia nell’estrazione da nuovi giacimenti, sia nelle infrastrutture di immagazzinaggio e di trasporto. Ma governi e opinioni pubbliche in Occidente hanno contribuito a decretare uno sciopero degli investimenti, «maledicendo» le energie fossili da qui all’eternità.
Ancora di recente delle ong ambientaliste hanno pubblicamente attaccato una grande banca, Bnp Paribas, intimandole di non finanziare con un solo euro gli investimenti nel settore del gas. Rieccoci, schizofrenia pura, o autolesionismo mostruoso. Abbiamo bisogno di gas, ma vogliamo vietare tutti quegli investimenti che sono essenziali per averlo.
Questo spiega anche l’anomalia della quotazione «sotto zero» in Texas. Per la precisione, il 25 ottobre in una seduta di scambi sul mercato «spot», il gas naturale del West Texas è sceso a meno 2,25 dollari per milioni di Btu (British Termal Unit, l’unità di misura del gas). La causa è questa: localmente, in Texas, di gas se ne produce anche troppo. Però non si riesce a trasportarlo verso i consumatori sotto forma liquida. Un terminal è fuori uso da giugno per un incendio. Un altro è stato chiuso per manutenzione. Per cui i produttori di gas non sanno che farsene, pagano chi riesce a portarglielo via.
Si tratta di un problema momentaneo, anch’esso però è legato allo sciopero degli investimenti di cui sopra. Anche in America un ambientalismo anti-scientifico, con complicità a Wall Street e alla Casa Bianca, ha penalizzato per anni tutte le infrastrutture del settore negando capitali essenziali. L’idea che la transizione alle energie pulite possa essere veloce, quasi istantanea, è una follia che sta facendo danni enormi: in particolare contribuisce alle rigidità nell’offerta di quelle energie fossili che resterano ancora indispensabili a lungo.
Torno alle montagne russe: le oscillazioni folli dei prezzi del gas nei prossimi mesi. Salvo ulteriori imprevisti, dopo aver pagato delle bollette allucinanti che riflettono la corsa agli acquisti dei mesi scorsi, i consumatori italiani dovrebbero vedere arrivare delle bollette più normali che rifletteranno i prezzi di oggi, in netta discesa. Ma poi? I mercati cominceranno ad anticipare la prossima «campagna acquisti»: quando tutti i paesi europei dovranno ricominciare a fare scorte in vista dell’inverno 2023-24.
L’estate prossima ci troveremo in una situazione non molto diversa da quella dell’estate scorsa. Avremo attivato pochi rigassificatori nuovi (noi italiani molto meno dei tedeschi). La produzione olandese e norvegese, o qatarina, canadese, statunitense, australiana, sarà aumentata ma non abbastanza per via di quello sciopero degli investimenti di cui sopra. La Russia, se continua a combattere, continuerà a non venderci il suo gas salvo quel poco che arriva via nave o sui gasdotti «minori» (che attraversano Ucraina e Turchia).
Le rinnovabili non sono un’alternativa, anche perché bloccate da vincoli «paesaggistici». Per compensare il gas russo mancante non basta qualche pannello fotovoltaico in più sui tetti delle case. Bisognerebbe tappezzare il Mezzogiorno di mega-centrali solari, sequestrando così gran parte del territorio del Sud per alimentare l’industria del Nord. Oppure affollando le nostre coste di pale eoliche. Sappiamo che non accadrà. Negli Stati Uniti, dove Biden ha promesso di moltiplicare per trenta il parco eolico entro l’anno 2030, i ritardi di attuazione sono spaventosi e quell’obiettivo appare del tutto irrealistico.

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