Un nome decente, almeno uno
di Michele Serra
Bisognerebbe che qualcuno mi spiegasse bene perché “tocca alla destra fare un nome per il Quirinale”, come disse Renzi all’adunata consociativa della Meloni. Meloni che tutti trattano da grande leader, una specie di Giovanna d’Arco trascinatrice di truppe invincibili, ma in questo Parlamento (me lo fa notare un amico del bar, io me n’ero dimenticato) conta meno del Gruppo Misto: ha avuto il 4 per cento dei voti. Il Salvini vale il 17 per cento e insieme arrivano al 21, poco più di un quinto del Parlamento. Per giunta non hanno uno straccio di candidato, a meno che si voglia considerare tale l’ottantacinquenne Berlusconi, uomo del Novecento e non di quello migliore. Possibile che, a sinistra, nessuno voglia far notare che il centrodestra, a questa partita, ci va debole, diviso, incapace di leadership? Ci vuole tutto l’inferiority complex della sinistra per concedere alla destra, nella corsa al Quirinale, tanto spazio, tanta voce. Né il tornaconto di Renzi, altra particola esageratamente valorizzata nel dibattito, basta a spiegare perché mai una parte politica clamorosamente deficitaria quanto a classe dirigente e a prestigio internazionale, costretta a subire Draghi fino al punto di appoggiarlo (la Lega), o ai margini di ogni processo di innovazione e di governo (Fratelli d’Italia), dovrebbe indirizzare la corsa al Colle. Fateci un nome decente, uno soltanto, e noi lo terremo presente, questa è la sola cosa che il centrosinistra dovrebbe dire alla destra italiana, facendo finta, generosamente, che sia una destra normale. Tutto il resto è masochismo: non è colpa della sinistra se la destra non ha un candidato presentabile. È la destra italiana che si è costruita negli anni, con tenacia, la sua estraneità ai valori repubblicani.
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