A leggere questo articolo tratto da L'Internazionale, c'è da chiedersi come possa la fondazione Nobel distribuire premi così sfacciatamente in modalità "ad minchiam".
di Giovanni De Mauro
Si avvicina la fine dell’anno ed è tempo di bilanci. Il 4 novembre 2020 il governo etiope del premier Abiy Ahmed (che nel 2019 ha ricevuto il Nobel per la pace, è bene ricordarlo) aveva inviato l’esercito nella regione del Tigrai in risposta a un attacco dei ribelli tigrini contro una base militare. Sperava di cavarsela in poche settimane, ma il conflitto si è diffuso al resto del paese. Un anno dopo, gli abitanti del Tigrai soffrono per la carestia e tutte le parti in conflitto sono accusate di gravi crimini di guerra. Le vittime potrebbero essere migliaia. Nel frattempo gli affari vanno a gonfie vele sul fronte del commercio di armi. Francesco Palmas racconta sul quotidiano Avvenire che “da inizio 2021 almeno un miliardo di dollari è stato bruciato da Abiy Ahmed per procurarsi sistemi sempre più mortiferi”, in una guerra che finora gli è costata tra i 2,5 e i 3 miliardi di dollari. Tra i principali fornitori militari del governo etiope c’è la Turchia di Recep Tayyip Erdoğan, che vuole allargare la sua influenza sulla regione: dal 2019 al 2021 l’interscambio commerciale turco-etiopico è salito da 200 a 650 milioni di dollari. La Turchia è il secondo investitore straniero nel paese, dopo la Cina. “Che la Cina armi l’Etiopia non deve stupire”, scrive Mirko Molteni su Analisi Difesa. Con prestiti per 6,5 miliardi di dollari, i cinesi detengono in pratica il 23 per cento del debito pubblico etiope, stimato in 27,8 miliardi di dollari, mentre il volume annuo di commercio bilaterale supera i 2,5 miliardi di dollari. Dove c’è da fare affari, però, non possono mancare gli Emirati Arabi Uniti. E infatti, scrive sempre Palmas, “nulla supera per copiosità gli aiuti che Abiy Ahmed sta ricevendo dagli emiri di Abu Dhabi e Dubai”. Dall’agosto 2021 sono stati tracciati più di cento voli cargo della FlySky che hanno trasportato armi dagli Emirati all’Etiopia, a cui si aggiungono altri voli dall’Iran, che ha un ruolo più defilato ma comunque rilevante. Un ponte aereo internazionale ininterrotto porta distruzione e sofferenza a una popolazione che invece avrebbe bisogno di essere difesa e aiutata.
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