mercoledì 23/10/2019
Un po’ di rivoluzione
di Marco Travaglio
Se è vero, come diceva Flaiano, che “l’unica rivoluzione in Italia è la legge uguale per tutti”, la riforma anti-evasione annunciata dal governo Conte ha un che di rivoluzionario. Non s’era mai visto nulla di simile nella storia repubblicana. Infatti gli house organ di B. & Salvini, il Giornale e Libero, sono letteralmente impazziti: “Conte e il suocero rischiano la galera”, “Il suocero di Conte condannato per evasione”. Si tratta naturalmente di fake news, come da tradizione della casa: il padre della compagna di Conte, gestore dell’hotel Plaza di Roma, ha patteggiato per peculato per aver dichiarato le tasse di soggiorno incassate, ma senza versarle al Comune; e il premier, quand’era solo avvocato, ebbe un contenzioso con Equitalia per non aver saldato due cartelle esattoriali recapitate a un indirizzo in cui non risiedeva. Nulla a che vedere con le nuove norme sui reati tributari. Ma facciamo finta che, eccezionalmente, Giornale e Libero scrivano la verità: dovrebbero felicitarsi col premier che punisce più severamente i reati di famiglia. Invece il contagio del berlusalvinismo è tale che accusano Conte di non farsi leggi ad (suam) personam, ma contra (suam) personam. Nessuno sdegno, anzi applausi, quando B. condonava o depenalizzava i reati suoi e dei suoi compari. E silenzio assoluto su Renzi, figlio di due arrestati e condannati in primo grado per frodi fiscali e false fatture, che contesta il carcere per frode fiscale e false fatture. Manca solo che qualcuno chieda le dimissioni di Conte perché non ha condonato né depenalizzato i suoi eventuali reati e quelli del suocero.
Dato atto al governo di aver varato la norma più severa e coraggiosa mai vista in Italia contro frodi ed evasioni, va pure detto che l’obiettivo di una legge uguale per tutti resta un lontano miraggio. Le soglie di non punibilità rimangono, anche se vengono ridotte a una sola di 100 mila euro. Chi evade o froda meno di quella cifra è tutt’altro che un “piccolo evasore”: 100 mila euro l’anno d’imposta evasa corrispondono a 250-300 mila euro di imponibile occultato. Un’enormità. Ma, siccome in Italia gli evasori sono 11 milioni e non si possono aprire altrettante indagini (ma neanche un decimo) senza far collassare procure e tribunali, si ricorre alle soglie: sotto, l’evasore rischia solo il procedimento tributario in via amministrativa. Dal punto di vista dell’equità, è aberrante: salvo fissare analoghe soglie d’impunità per scippi, furti, rapine, truffe, peculati e altri reati predatori. Ma, con questa evasione di massa, bisogna scegliere. E le nuove soglie e le nuove pene sono un buon passo avanti rispetto alle attuali.
Cioè quelle introdotte nel 2016 da Renzi. I reati fiscali sono due: la frode (punita da 1 anno e mezzo a 6 anni) e l’evasione (da 1 a 4 anni). La frode, cioè la dichiarazione fraudolenta con artifizi e raggiri (fatture false, scritture contabili taroccate e altri trucchi), è reato quando ogni imposta evasa supera i 30 mila euro e i redditi non dichiarati superano quelli reali del 5% o comunque i 1,5 milioni (prima del 2016 era 1 milione). Sotto, non c’è reato, mentre se i passivi fittizi sono inferiori a 155 mila euro la pena scende a 6 mesi-2 anni. L’evasione si fa non presentando la dichiarazione dei redditi o dell’Iva ed è reato se l’imposta evasa supera i 50 mila euro (prima era 30 mila); o presentando una dichiarazione non veritiera e qui il reato scatta se l’imposta evasa supera i 150 mila euro (prima era 50 mila) e se i redditi non dichiarati superano il 10% del totale o comunque i 3 milioni (prima era 2 milioni); o ancora non dichiarando e non versando l’Iva oltre 250 mila euro (prima era 50 mila). Quindi non rischia nulla, se non una multa, chi froda il fisco occultando redditi fino a 1,5 milioni; e chi evade non pagando fino a 250 mila euro di Iva, o non dichiarando nulla mentre deve fino a 50 mila euro, o dichiarando meno mentre deve fino a 150 mila euro. Invece chi supera quei tetti commette reato, ma è quasi sempre graziato dalla prescrizione (5 anni per l’evasione e 7 e mezzo per la frode, che poi si riducono a 1 e a 3 e mezzo: gli accertamenti arrivano non prima di quattro anni dalla dichiarazione). E, se anche si fa in tempo a condannarlo, in carcere non va mai per l’evasione (la pena massima è 3 anni e in Italia le condanne fino a 4 si scontano fuori) e raramente per la frode (la pena massima di 6 anni, con le attenuanti, scende quasi sempre a 4, senza contare lo sconto di un altro terzo per patteggiamenti o riti abbreviati).
Nel 2017 i condannati per reati tributari sono stati 3.222, ma i detenuti sono appena 281 (0,5% della popolazione carceraria): 217 condannati e 64 in custodia cautelare, tutti per frode. Cosa cambia con la riforma Bonafede? Per l’evasione, il minimo di pena sale da 1 a 2 anni e il massimo da 4 a 5 anni: cioè sarà possibile la custodia cautelare, ma non le intercettazioni e, salvo rari casi di pena massima, niente carcere. Per la frode invece cambia tutto: la minima passa da 2 a 4 anni e la massima da 5 a 8, il che vuol dire galera assicurata anche con un giorno in più del minimo di pena. Sempreché si superino i fatidici 100 mila euro d’imposta evasa. E poi: anche le società risponderanno penalmente - in base alla legge 231 - per non aver adottato modelli organizzativi adatti a prevenire i reati tributari, come già avviene per quelli di mafia e di corruzione e per l’inosservanza delle norme di sicurezza sul lavoro. E chi verrà condannato, per frode o per evasione, non dovrà solo restituire il maltolto dell’anno incriminato, ma si vedrà confiscare “per sproporzione” tutti i beni che non riesce a giustificare con i redditi dichiarati in passato. Non è il massimo auspicabile, visto che resta fuori dal penale la gran parte degli evasori. Ma è il massimo possibile con questi politici. E questi elettori.
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