mercoledì 29/11/2017
Il male minore è comunque un male
di Daniela Ranieri
Cosa spinge un ultra-novantenne autorevole intellettuale italiano ad auspicare per i nostri giovani un futuro in cui al governo d’Italia c’è per la quarta volta Berlusconi? Stringatamente: il cinismo dell’intellettuale di sinistra antiberlusconiano, già filo craxiano, prima monarchico e poi spinelliano che, non avendo più nulla da perdere, e non volendo ammettere di avere fallito tutte le proprie battaglie, si rifugia nell’estremo riparo del disilluso, il “tanto peggio tanto meglio”.
Ma Scalfari non è solo; trovandosi in quella fase della vita in cui i filtri cadono, ha semplicemente espresso quel che molti si augurano senza avere il coraggio di dirlo. La gran parte della comunità un tempo riunita attorno alle colonne di Repubblica, girotondista e ostile alla sottocultura retriva di B., oggi tace su Renzi, che ha realizzato alla lettera il programma di B., e spara a zero contro “i populisti”, facendo il gioco di B. e della sua corte di nullità dannose, oppure, e chissà se è meglio, di Renzi e della sua corte di dannose nullità. Quando l’unità d’intenti dei due – conservare il potere e spartirselo facendo finta di litigare – è icasticamente rappresentata dalla figura mozartiana di Verdini: incarnazione della Realpolitik più tracotante, Leporello di due spavaldi Don Giovanni della cosa pubblica. A parte gli intellettuali di Libertà e Giustizia, che si sono detti “sbalorditi” dalle parole di Scalfari, e Paolo Flores d’Arcais che su MicroMega le ha definite “indecenti”, nessuno ha fiatato. Non sia mai venire accusati di essere grillini, cioè di non saper usare i congiuntivi, di credere alle scie chimiche e di non voler vaccinare i figli (come ripete pateticamente Renzi, ostinandosi a non voler comprendere le ragioni di milioni di italiani).
Ma perché preferire un incartapecorito e recidivo pregiudicato, delinquente naturale secondo la Cassazione, a un giovane incensurato? O Scalfari sa su Di Maio qualcosa che noi non sappiamo (magari esiste qualcosa di peggio che essere indagati come mandanti delle stragi di mafia senza che nessuno se ne stupisca), o il suo pregiudizio è talmente forte da fargli preferire il gangster di Arcore a chiunque del movimento di Grillo. Ma scegliere il male minore (e B. lo sarebbe solo se competesse con un nazista) è pur sempre scegliere il male.
Il Fondatore non è uno sprovveduto: non ritiene affatto che un personaggio non forse colluso, ma certamente colluso con la mafia (attraverso il pr Dell’Utri, attualmente in carcere per questo) sia meno pericoloso e infangante per l’Italia di un 30enne con la fedina penale pulita. Semplicemente sa che da Di Maio e da chi lo vota lo separa una differenza antropologica incolmabile, un disprezzo tale da superare qualsiasi reticenza a farsela con un lestofante conclamato. Il “sistema” (contro cui lottano con alterne fortune i 5S), B. o Renzi, Franza o Spagna, è quella cosa capace di assicurare a Scalfari e quelli come lui il mantenimento dello status di autorità morale e contestualmente di interlocutore privilegiato dei grand commis e dei padroni delle ferriere d’Italia. Così una persona istruita come lui non ha pudore a propinare la incredibile panzana di B. “argine contro i populismi”, quando proprio B. è stato l’inventore di un populismo svergognato e policromo, dal “meno tasse per tutti” alle Tv regalate ai sudditi come il circo ai romani.
Scalfari ha poi spiegato che la domanda era “paradossale” (chissà perché) e richiedeva una risposta paradossale, tale fintanto non si immagini un tracollo del Pd e un’alleanza necessaria tra B. e Renzi. Allora, quel che prima appariva assurdo appare di colpo a Scalfari reale e dunque razionale, in linea con la sua coscienza, essendo prioritaria la conservazione del potere delle élite di immaginarsi eterne (Scalfari rappresenta quella aristocrazia democratica vicina al popolo fintanto che il popolo vota come dice lei).
Il progressista un tempo credeva nel cambiamento. Scalfari ha creduto nel finto “cambioversismo” di Renzi e nella smargiassata della rottamazione (una specie di Sindrome di Stoccolma che ha colto i più avveduti tra i vecchi saggi). Ha auspicato l’instaurarsi di un’oligarchia, ai cui vertici vede bene gente come Boschi, Lotti, Poletti, Fedeli. Ha votato Sì al referendum più demenziale e pericoloso della Storia (sic transit: da La sera andavamo in via Veneto a Ma anche Pontassieve va bene). Siamo seri: cambiamento sì, ma mica davvero.
Se B. vincerà come crediamo le prossime elezioni, passeremo anni a dare la colpa agli elettori e all’astensionismo. Cioè al popolo a cui sulla carta appartiene la sovranità. La colpa sarà invece di chi ha ideato una legge elettorale fraudolenta per derubare il popolo della sua volontà e di chi, con parole, opere e omissioni, ha concorso a creare un clima tale che B. è potuto sembrare, ai nostri occhi ormai stanchi e ciechi, il male minore.
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