mercoledì 22 ottobre 2025

Robecchi

 

Italia-Usa. Quei cattivoni dei “woke” attaccano persino il Columbus Day
DI ALESSANDRO ROBECCHI
Aun certo punto della settimana, colto da masochismo, mi sono letto il messaggio che Giorgia Meloni ha inviato (in video) per i cinquant’anni della Niaf (National Italian American Foundation), nel corso di una toccante cerimonia per duemila invitati a Washington, all’augusta presenza della sorella Arianna Meloni e di altri italiani illustri, soprattutto lobbisti, manager e uomini d’affari, più la Santanchè. È un interessante scambio di corrispondenza tra Donald e Giorgia, che merita di essere studiato.
Lui pubblica un video di Meloni (quello famoso in cui lei – evidentemente posseduta – urla di essere donna, italiana e cristiana) e la ringrazia di cercare accordi commerciali diretti con gli Usa; lei risponde con un altro video in cui dice che “la cultura woke cerca di dividerci” (intende: noi e l’America), e se ne duole un bel po’. “Gli Stati Uniti e l’Italia condividono un legame speciale radicato nei valori senza tempo della fede, della famiglia e della libertà”, dice Meloni, e almeno per quanto riguarda la famiglia non mente di certo, visto che ha mandato la sorella. Letto il discorsetto e visto il video, Meloni sembra il ragionier Fracchia davanti al megadirettore galattico e stupisce che lo abbia girato stando in piedi, anche se il video si conclude con “Grazie, presidente Trump” e non con il classico “Com’è umano lei”.
Possiamo naturalmente archiviare tutto questo come un banalissimo scambio di cortesie tra alleati, quei rapporti diplomatici fatti di cortesie, affari, gentilezze reciproche, affari, parole carine, affari (affari l’ho già detto? C’era anche Cingolani di Leonardo, a proposito). Insomma, tutto bene, se non fosse che ancora una volta, e nemmeno tanto tra le righe, è spuntato il noto vittimismo meloniano, ormai un marchio di fabbrica, senza il quale qualunque discorso della/del premier italiano sembrerebbe apocrifo. Vittimismo di importazione, tra l’altro, perché qui la minaccia woke è pura fantasia. Testuale passaggio: “Ci sono forze che cercano di dividerci, di ridefinire la nostra storia e di distruggere le nostre tradizioni condivise. La chiamano la cultura woke”. Porca miseria. Andava tutto bene, e invece no. Quei cattivoni dei woke attaccano nientemeno che Cristoforo Colombo, e quindi la sua festa, il Columbus Day, ma non passeranno, maledetti! Vorrebbero cancellare le celebrazioni e buttare giù statue, ’sti cafoni. Senza nemmeno considerare che Cristoforo Colombo non era italiano, ma genovese, dato che l’Italia non esisteva ancora, e per farsi finanziare le sue missioni dovette rivolgersi a capitali stranieri, spagnoli, dato che qui da noi non avevamo manco gli occhi per piangere (a proposito di tradizioni). Seguì quello che sappiamo: un genocidio di secoli in tutto il Sudamerica (per cui chiese scusa persino il Papa, un decennio fa). E quanto alla vecchissima amicizia e alla “voce singolare e potente della libertà”, be’, gli americani vennero qui a liberarci dal fascismo, cosa che Meloni e il suo nume tutelare ammiratissimo, Giorgio Almirante, avranno sicuramente apprezzato.
Naturalmente nessuno, qui, vuole sminuire il mirabolante apporto degli italoamericani alla grandezza dell’America, da Joe di Maggio che sposò Marilyn Monroe, ad Al Capone che ha ispirato tanti bei film. Però non si capisce perché, per farlo, si debba giocare la carta del vittimismo e del “ce l’hanno con noi”. “Il Columbus Day è qui per restare!”, ha tuonato Giorgia. Ma sì, certo, ovvio, per carità, speriamo solo che Santanchè e Cingolani si siano divertiti.

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