Lo schiavismo del maschio
di Michele Serra
Pochi delitti come il femminicidio riescono a incarnare il sopruso in purezza. L’assoggettamento di una persona (di solito meno forte fisicamente), la cancellazione della sua volontà e della sua autonomia, la violenza fisica e psicologica come metodo costante di sottomissione, lo stato di schiavitù economica come garanzia di dipendenza anche sociale dal maschio: che cosa di più ripugnante, di più cupo e di più vile? Quale di questi maschi torturatori e assassini accetterebbe di concepire per se stesso un decimo, un centesimo di quello che considerano naturale imporre a una donna, a cominciare dalla rinuncia alla libertà — il primo dei diritti?
L’alibi “culturale” che ancora capita, purtroppo, di sentire accennare, e cioè che le convenzioni dei precedenti millenni, fondate sul predominio patriarcale, rendono difficile da reggere la libertà delle donne (poveri maschi traumatizzati…) è in realtà un’aggravante: la messa in chiaro di un sopruso lo rende più insopportabile che mai. Lo rende peggiore di prima, di quando non lo si valutava tale. Puoi provare a capire la psicologia di uno schiavista di duecento anni fa. Ma quanto odioso può essere chi oggi pratichi la schiavitù? Tale è il femminicida.
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