Dai buonasera ai vaffanculo
di Michele Serra
Al termine di una impeccabile carriera democristiana, priva di spigoli, rotonda come il potere, neutrale come la Rai (quella che fu), trascorsa invitando tutti e presentando i libri di tutti, così poi tutti presentavano i suoi libri, Bruno Vespa rischia di macchiare il suo impareggiabile curriculum consociativo, di stretta osservanza romana, proprio quando è in dirittura d’arrivo (ha passato gli ottanta).
Negli ultimi tempi gli capita di sbottare. Gli stanno sull’anima quelli di sinistra, e si sapeva. Ma era capace di essere cerimonioso anche con loro, magistralmente ipocrita, e pareva, quella sua maschera bronzea, una garanzia di quieto vivere. In un certo senso ammirevole: uno che trasforma i vaffanculo in buonasera, di questi tempi, può essere quasi considerato un bene pubblico.
Ora non più: Vespa parla con l’attivista della Flotilla e pare, per qualche istante, che riesca a mantenere anche con lui il tradizionale aplomb. Ma inopinatamente sbraca, comincia a inveire come un influencer Maga, sibila al malcapitato che «di aiutare i palestinesi non ve ne fotte niente»; e l’altro, che è scamiciato e barbuto, prova a fronteggiare l’incravattato e ceronato, ma non c’è varco. L’incravattato lo stronca, in sintonia con la grande revanche mondiale degli incravattati sugli scamiciati (si chiama: Restaurazione).
Beh, un poco ci dispiace. Preferivamo il Vespa mellifluo, pretesco, ora ci sembra di vedere il parroco che, senza preavviso, prende a sberle i fedeli che non gli garbano mentre somministra l’eucaristia. Non ci sono più i democristiani, e forse nemmeno più i cristiani di una volta.
Nessun commento:
Posta un commento