venerdì 31 ottobre 2025

Sciopero

 


Tiè!

 



Voglia di vivere

 Dostoevskij, Fëdor Michajlovič. I fratelli Karamazov 

Sedevo qui poco fa e pensavo di me stesso: anche se non credessi nella vita, anche se avessi perso la fiducia nella donna che amo, se avessi perso la fiducia nell’ordine delle cose e mi fossi invece convinto che tutto è disordine, dannazione e, addirittura, diabolico caos, se fossi rimasto colpito da tutti gli orrori della delusione umana, tuttavia continuerei a desiderare di vivere e, dal momento che ho assaporato questo calice, non mi staccherò da esso fino a quando non avrò bevuto fino all’ultima goccia! Del resto, all’età di trent’anni potrei pure gettare questo calice, decidere di non bere fino all’ultima goccia e andare via... dove, non so. Ma fino ai trent’anni, questo lo so per certo, la mia giovinezza sconfiggerà tutto il resto: tutte le delusioni, tutta la repulsione per la vita. Mi sono domandato molte volte: esiste sulla terra una disperazione che possa sopraffare in me questa frenetica e, forse, sconveniente sete di vivere? E ho concluso che, a quanto pare, non esiste, cioè, torno a ripeterlo, almeno fino all’età di trent’anni; allora forse sarò io stesso a perdere la voglia, almeno così credo. Alcuni moralisti tisici e mocciosi – i poeti soprattutto – spesso definiscono gretta questa voglia di vivere. Questa sete di vivere è, in parte, una caratteristica dei Karamazov, questo lo so, e, nonostante tutto, essa esiste anche in te, sono sicuro, ma perché poi dovrebbe essere gretta? La forza centripeta sul nostro pianeta è ancora terribilmente forte, Alëša. Ho voglia di vivere e vivo, anche a dispetto della logica. 

Sebbene io possa non credere nell’ordine delle cose, tuttavia amo le foglioline vischiose che si dischiudono in primavera, amo il cielo azzurro, amo alcune persone che a volte si amano senza sapere esattamente il perché – ci crederesti? –amo alcune grandi imprese umane, sebbene da un pezzo abbia cessato di credere in esse, eppure per una vecchia abitudine le ammiro con tutto il cuore. Ecco, ti hanno portato la zuppa, mangiala, ti farà bene. È ottima, qui la sanno fare bene. Voglio girare l’Europa, Alëša, una volta partito di qui; eppure mi rendo conto di recarmi soltanto in un cimitero, nel più prezioso dei cimiteri, ecco cos’è! Valorosi sono i defunti ivi sepolti, ogni pietra sopra di essi parla di una vita così fervida in passato, di una fede così appassionata nelle proprie azioni, nella propria verità, nella propria lotta e nella propria scienza che io, lo so già, cadrò per terra e bacerò quelle pietre e piangerò su di esse – sebbene, in cuor mio, io sia convinto che quello, da molto tempo ormai, non è altro che un cimitero, niente di più. E non piangerò di disperazione, ma solo perché sarò felice di versare le mie lacrime. Mi inebrierò della mia stessa commozione. Io amo le vischiose foglioline primaverili, il cielo azzurro, ecco cosa ti dico! Qui non c’entrano l’intelligenza, la logica, questo è amare dal proprio intimo, dalle viscere, amare la forza della propria giovinezza...


Mi chiamo Bond

 


Dovrebbe essere la nuova Bond Girl, per la gioia di tutti gli oftalmici…

Jens-Christian Wagner apre la botola

 

Jean - Christian Wagner è colui che oggi apre la botola dell'inverosimile, della disfatta completa di chiunque abbia tentato in passato, di non perdere memoria e dignità del genere umano. 

Wagner è il direttore del memoriale del lager di Buchenwald ed assiste a quello che nessun normodotato vorrebbe mai credere: l'imbarbarimento dei cosiddetti visitatori del memoriale, per di più giovani. 

Già la ministra - ciao core - Roccella aveva definito queste visite ai luoghi terribili della vergogna umana dei campi di concentramento, come delle gite, confermando appieno la sua immensa idiozia. 

Ora il direttore ci dice che alcuni ragazzi appiccicano adesivi con la svastica, all'ingresso urlano "Heil Hitler" e "Sieg Heil" e la cosa più incredibile e che qualcuno di loro si infilano nei forni crematori fotografandosi a vicenda! 

E l'Afd, il partito pseudo nazista tedesco che sta mietendo consensi, appoggia queste bravate e anch'esso definisce gite le visite dei giovani al mausoleo della vergogna, come la cretina nostrana. 

Siamo quindi al capolinea. Se i giovani denigrano e irridono luoghi che dovrebbero invece far riflettere, vuol dire che nessuno, né famiglie né scuola, li sta formando decentemente. 

Questa umanità, questi giovani che scherzano sul baratro di tutti noi, è segno che qualcosa non ha funzionato come avrebbe dovuto, che il tempo odierno è un mix micidiale di ignoranza e demenza sociale. 

Han voglia di sbraitare alla luna! Chi doveva vigilare si è lascito intorpidire come un fesso. Chi doveva combattere la stupidità comune si è lasciato avvinghiare da questo rigurgito mondiale bramante la violenza, il razzismo, la superiorità della razza. 

I morti dei forni attoniti e basiti guarderanno increduli a questa recrudescenza del Male!  

Apache salvo!

 


Di che meravigliarsi se Apache è salvo e il suo processo sarà archiviato? 

Di nulla: fermo restando la fiducia nella magistratura, il cognome di Apache è La Russa e quindi... e quindi nulla. 

Emerge il silenzio attorno alla vicenda, rotto solo dalle parole della giovine accalappiata da Apache ed amico. La poveretta ha dichiarato che "archiviare La Russa è contro la mia dignità di donna." Ma che ci vuoi fare cara amica? 

Il giudice per le indagini preliminari Rossana Mongiardo nella motivazione dice che “nel caso di specie, non vi è la prova che gli indagati avessero effettivamente percepito la presunta invalidità del consenso agli atti sessuali prestato dalla persona offesa”

Ah ecco! 

Ed aggiunge: E questo nonostante “la condotta degli indagati” sia risultata “censurabile, superficiale e volgare sotto diversi profili”. 

Ed infine riguardo ai 4 video: “Pur non potendo concludere con la medesima certezza mostrata dal pm che la persona offesa abbia preso parte agli atti sessuali con piena cognizione di causa, deve tuttavia osservare, anche nell’ottica del principio del favor rei, come tali video non rappresentino in maniera inequivoca una coercizione da parte degli indagati nello svolgimento dei rapporti sessuali con i medesimi”

E così nessun processo per Apache e l'amico, per Leonardo Apache La Russa. 

La Russa 

La Russa 

Prosit! 

Quindi

 


Pino e Superciuk!

 

L’occhio di Nordio per i “cold case”
DI PINO CORRIAS
A Carlo Nordio, ministro di Giustizia, non fa difetto la grazia del tempismo. Aveva appena finito di spararla grossa sui Cold Case da lasciare andare al loro indistinto destino, che gliene hanno risolto uno sotto al naso, nel suo Veneto dove crebbero lui e la sua carriera di magistrato d’alto profilo.
Un delitto doppio e da prima pagina, madre e figlia uccise a martellate sulla spiaggia libera di Rosolina Mare, provincia di Rovigo, il 29 giugno 1998, dentro al loro chiosco, probabilmente per rapina.
“Ogni tanto bisogna avere il coraggio di arrendersi e lasciare la verità agli storici”, aveva appena finito di dire il signor ministro, riferendosi all’omicidio di Garlasco che dopo 18 anni è finito nel labirinto delle impronte vere, finte, presunte e delle chiacchiere a vanvera. Intendendo per estensione i tanti “Casi Freddi” che galleggiano talmente a lungo senza verità che dopo un po’ vengono a noia.
Peccato che a Rovigo ne abbiano appena risolto uno più antico ancora, grazie alla corrispondenza tra il Dna repertato allora su un mozzicone di sigaretta trovato nell’auto abbandonata dai rapinatori e una tale Karel Dusek che soggiornava fino a ieri in un carcere della Repubblica Ceca. “Risolto dopo 27 anni il delitto dei Casoni”, titolavano i giornali locali, raccontando che il presunto colpevole, in quei giorni d’altro secolo, lavorava come lavapiatti nel chiosco delle vittime. Non c’erano abbastanza prove allora. Ce ne sono oggi, confermate dalla banca dati nazionale del Dna nata in Italia nel 2016.
I delitti di sangue non vanno mai in prescrizione, prescrivono i manuali del primo anno di Giurisprudenza e l’ex magistrato dovrebbe non averlo dimenticato a dispetto del cinismo ministeriale che considera i principi e le norme del Diritto sottomesse alla Ragion di Stato, come nel fangoso caso Almasri. Ma sì, chiudiamo, pazienza per le vittime, i familiari, le carte, il dovere, la giustizia, la memoria: versamene un altro, Sam, e poi andiamocene a dormire.

La Cattiveria

 



Lo fate felice!

 



Già, a che serve?

 

Che cosa separano
DI MARCO TRAVAGLIO
Oggi il Fatto riprende la battaglia in difesa della Costituzione contro l’ennesima schiforma che la stravolge in peggio: la separazione delle carriere e dei Csm fra giudici e pm e l’esproprio del potere disciplinare affidato a una ridicola Alta Corte (unica per giudici e pm). È una battaglia, quella per il No al referendum, cruciale e sacrosanta, che va combattuta a prescindere dalle chance di vittoria. Peraltro anche il No alla schiforma B.-Calderoli del 2006 e alla Renzi-Boschi-Verdini del 2016 era dato perdente in partenza, e poi stravinse. Speriamo di portare fortuna anche contro la Gelli-Craxi-B.-Nordio-Meloni.
Oggi, grazie ai Padri Costituenti (quelli veri del 1946), l’assetto costituzionale della magistratura è un modello per il mondo intero. Pm e giudice fanno parte della stessa carriera, con la stessa formazione e lo stesso concorso, perché devono perseguire entrambi la verità processuale: il pm la cerca, il giudice la accerta. Perciò devono essere entrambi imparziali e quindi indipendenti da ogni altro potere. Il pm non è l’accusatore, cioè l’avvocato delle forze di polizia: ricevuta una denuncia o una notizia di reato, è obbligato a esaminarla per accertare se ha ragione l’indiziato o il denunciante. Deve cercare tutti gli indizi senza nasconderne nessuno, altrimenti commette reato (rifiuto di atti d’ufficio) e illecito disciplinare. Nulla a che vedere con l’avvocato, che tira l’acqua al mulino del cliente che lo sceglie e lo paga: il difensore deve far assolvere il cliente e mai gli verrà in mente di rivelare fatti a suo carico, altrimenti commette reato (infedele patrocinio) e illecito disciplinare. Il pm persegue la verità per conto della collettività, il difensore l’interesse del suo assistito. Due figure fondamentali in uno Stato di diritto, ma impossibili da paragonare. Perciò il Consiglio d’Europa dal 2000 raccomanda agli Stati di “consentire a una stessa persona di svolgere successivamente le funzioni di pubblico ministero e quelle di giudice”: è il modello italiano che l’Italia getta a mare. È ovvio a tutti che un pm e un giudice con la stesa cultura della verità e dell’imparzialità sono la miglior garanzia per tutti: sia per le vittime dei reati sia per gli indagati. Purtroppo quel passaggio è già oggi ostacolato dalle leggi Castelli-Mastella del 2006 e Cartabia del 2021: infatti ogni anno solo lo 0,2% dei magistrati cambia funzione. Quindi non è per questo scopo inutile che le destre investono tante energie. Né per lasciare indipendente una casta di 2.250 pm sganciati dalla cultura del giudice, cioè di accusatori assatanati e “giustizialisti”. È per poterli mettere al guinzaglio del governo. Che deciderà contro chi scatenarli e chi salvare. Le vittime della schiforma non saranno i magistrati, ma noi cittadini.

L'Amaca

 

Berlusconi non è Enzo Tortora
di Michele Serra
Festeggiare la riforma della giustizia con una festicciola in piazza, e la faccia lieta di Silvio Berlusconi che sovrasta la scena, è il modo migliore per rendere molto sospettabile la riforma stessa. Se non l’intelligenza, almeno il buon gusto avrebbe dovuto suggerire ai governanti di non consacrare la loro riforma al leader politico che più di ogni altro ha anteposto il proprio potere personale ai limiti di legge, proclamandosi “unto del popolo” e come tale intoccabile — esattamente come Trump pretende di essere, trent’anni dopo.
Berlusconi non è Enzo Tortora. Il suo nome non evoca uno dei tanti e gravi errori giudiziari che macchiano la storia italiana. Non è uno dei caduti nella tragica torsione inquisitoria di Mani Pulite: semmai — storia italiana alla mano — è il leader che se ne è avvantaggiato più di chiunque altro, vedendo sbaragliati i partiti della Prima Repubblica e trovando la strada per Roma libera e agevole.
Sono tra i tanti italiani che non giustificano i modi spicci che alcune Procure hanno messo e mettono in campo; e ancora meno l’entusiasmo mediatico che ha portato, negli anni, a scempiare l’immagine di persone innocenti e a infierire sui colpevoli come se fossero spazzatura. Ma non riesco a vedere in questa riforma niente che, in questo senso, mi rassicuri: solo una specie di frantumazione punitiva del potere giudiziario che non ne affronta i problemi strutturali e non indica neppure mezzo appiglio culturale e giuridico ai tanti magistrati che vorrebbero migliorare la qualità e soprattutto i tempi, di inaudita lunghezza, del loro lavoro.
La sobria, misurata intervista di Gherardo Colombo a Repubblica fornisce anche elementi tecnico-giuridici di critica della riforma, ai quali non credo che i governanti risponderanno. Perché non è migliorare la magistratura, il loro scopo, ma metterla in riga.

giovedì 30 ottobre 2025

Citazione

 


 “Ahi serva Italia, di dolore ostello, / nave sanza nocchiere in gran tempesta”

(Dante Alighieri - La Divina Commedia - Purgatorio Canto VI)

Mi ricorda...

 



La Cattiveria

 



Natangelo

 



A proposito di potentati

 

I giornali del “Padrone” su Elly, Marina e Meloni
DI DANIELA RANIERI
Nella scorsa settimana i giornali del padronato italiano ci hanno tenuto la mente impegnata in un avvincente ping pong: il biasimo nei confronti di Elly Schlein, segretaria del partito che ogni tanto si ricorda di fare opposizione, cosa che scandalizza sempre i benpensanti; e il disaccordo in seno alla maggioranza sul trattamento da riservare alle banche nella legge di Bilancio firmata dal ministro Giorgetti. Si tratta di due temi solo apparentemente scollegati.
Cominciamo dal secondo: perché Meloni, che non le manda a dire a nessuno e anzi è tutti i giorni inferocita con qualcheduno, è così permissiva, per non dire remissiva, con Marina Berlusconi, di fatto trattata, anche dai media, come fosse una componente del governo? La risposta più immediata è: perché Forza Italia, il partito governato da Tajani (nel senso che Tajani ha le chiavi e ogni giorno si reca sul posto per rigovernare le cucine e tagliare le erbacce), è di fatto una delle proprietà della famiglia Berlusconi, un patrimonio che comprende anche banca Mediolanum. Già l’anno scorso il governo (composto da gente che ha preso i voti strillando contro i poteri forti) si era rimangiato la legge sugli extraprofitti delle banche, che comprensibilmente non piaceva a Piersilvio e congiunti; quest’anno, per non urtare gli orfani, si sta pure prodigando per estendere la garanzia, pensata sotto Covid, sui crediti che le banche concedono alle imprese e che queste non ripagano. Così gli ammanchi li ripagherebbe lo Stato, cioè noi. Un bel lavoretto a favore del Capitale, non c’è che dire: mica siamo in Spagna, dove il governo Sanchez ha non solo tassato gli extraprofitti, ma ha anche rifiutato di dare il 5% del Pil alla Nato come ci ha ordinato Trump, cosa che per il nostro governo va invece benissimo, anzi, se occorre diamo anche il 6.
E veniamo al primo punto: da Amsterdam la Schlein aveva detto: “Con l’estrema destra al governo la democrazia è a rischio”, riferendosi all’attentato contro Sigfrido Ranucci, la cui trasmissione Report è costantemente minacciata nella sua libertà da gente di governo (in passato anche dal Pd renziano, va detto). Una frase all’acqua di rose che in bocca a qualsiasi altro leader della sinistra mondiale sarebbe stata un’ovvietà, pronunciata da una che presumibilmente lavora per costruire un’alternativa al governo. Da noi è uno scandalo. Sul Corriere un editoriale di Antonio Polito rimette Schlein al suo posto: “Se ad Amsterdam ci fosse un Rubicone, Elly Schlein l’avrebbe varcato… Dire ai compagni socialisti europei che l’attentato a Ranucci dimostra che ‘la democrazia e la libertà di parola sono a rischio quando l’estrema destra è al governo’, equivale infatti a negare la patente di legittimità democratica all’avversaria”. Non sia mai. Meloni è molto meno pericolosa di Berlusconi: “Non era una donna potente e ricca quando arrivò a Palazzo Chigi; anzi, ha trascorso la gioventù alla Garbatella e in un partito ai margini. Come mobilitare la paura del regime contro una tale biografia? Un manipolo di reduci di Colle Oppio può spaventare quanto un impero televisivo e il suo relativo conflitto di interessi?”. Meloni è stata solo ministra di Berlusconi a 31 anni, e adesso sta al governo con e grazie agli eredi di quell’impero e del suo relativo conflitto di interessi: che vuoi che sia.
Anche Galli della Loggia bacchetta la tiepidissima Schlein: “Dopo l’accostamento fatto da Schlein tra l’attentato a Ranucci e ‘l’estrema destra’, (tra virgolette, ndr) al governo, con conseguente proclamazione della ‘democrazia a rischio’, è forse giunto il momento che la sinistra (senza virgolette, ndr) italiana, i suoi politici e i suoi elettori, i suoi intellettuali e i suoi giornalisti, decidano una buona volta in che Paese pensano di abitare”. Perbacco. “Dipende cioè se la sinistra si considera essenzialmente come la sola speranza rimasta della democrazia italiana… o se invece… pensa di doversi dotare di un programma elettorale, diciamo così normale”. E cosa c’è di anomalo nel fatto che uno dei tre partiti al governo, che possiede il 10% dei voti degli elettori, sia in palese conflitto di interessi con l’intera politica economica del governo stesso e detti legge in tema di Giustizia e sui palinsesti della tv pubblica, specie quando tratta la biografia del già finanziatore di Cosa Nostra? Più normale e democratico di così! Quindi la vera risposta alla domanda “perché la fumantina Giorgia è così remissiva nei confronti di FI e della famiglia Berlusconi” è: per essere gradita al sistema, lo stesso che striglia Schlein per aver detto l’ovvio. Per lo stesso motivo Meloni è atlantista, trumpiana già bideniana, e prona all’Europa dell’isterismo russofobo e guerrafondaio che dispone un colossale riarmo per 800 miliardi da sottrarre ai cittadini di 27 Paesi per investirli in missili e carri armati, cioè in morte. Esattamente ciò che avrebbe fatto un governo Draghi, per dire, quindi tutto a posto.

Ah la democrazia!

 

Le interferenze buone
DI MARCO TRAVAGLIO
La democrazia 2.0 avanza così spedita che non si riesce a starle dietro. Sugli house organ dei famosi “valori occidentali” sono in corso i baccanali per il trionfo di quella motosega di Javier Milei in Argentina. E a sinistra ci si interroga pensosi su come sia possibile che un Paese fallito e rifallito preferisca uno che fa danni da 2 anni ai peronisti che ne fanno da 80. Manca solo il frescone di turno a spiegarci che “si vince al centro”, ma prima o poi arriva. Mentre sono tutti impegnati in polemicuzze da ballatoio sul tasso di liberismo, riformismo e sovranismo di un presidente salvato da uno Stato estero con fondi pubblici, nessuno si occupa della probabile concausa del successo di Milei: il fattore Usa. Un mese fa Milei perde le Amministrative e pare spacciato. Ma Trump gli allunga un assegno di 20 miliardi, lo riceve alla Casa Bianca e ne promette altri 40, ma a una condizione: che le Legislative di medio termine le vinca largamente Milei. Gli argentini imparano la lezione e votano bene.
Provate a immaginare se a comprare i loro voti con una rata prima delle urne e una dopo (come le due scarpe di Achille Lauro) non fosse stato Trump, ma Putin. I nostri atlantisti strillerebbero al voto truccato, agli hacker russi, al complotto putiniano, alla guerra ibrida. Avvisterebbero droni prêt-à-porter dalle parti di Buenos Aires. E chiederebbero ai governi occidentali di non riconoscere le elezioni per farle annullare. Cosa che alle Von der Leyen e alle Kallas non c’è bisogno di chiederla: procedono di default ogni volta che vince il candidato sbagliato. Come in Ucraina nel 2004 e nel 2014, poi in Georgia, Romania (lì, non contenti di annullare le elezioni vinte da Georgescu, hanno pure arrestato il vincitore), in Cechia e Slovacchia. Voi direte: ma da noi non si usa promettere soldi a un Paese in difficoltà se vince Tizio o Caio. Magari: è appena accaduto in Moldova. Un mese fa l’Ue teme che la coalizione della presidente filo-Ue Maia Sandu perda le elezioni per le solite interferenze di Putin. Per non interferire, Macron, Merz, Tusk e Zelensky si uniscono alla Sandu per ammonire i moldavi a votare come dice lei perché “un governo amico di Mosca sarebbe un trampolino di lancio per attacchi ibridi contro l’Ue”. E, sempre per non interferire, la commissaria Ue Marta Kos intima ai moldavi di “scegliere fra democrazia e regime”: se voteranno male, perderanno gli “investimenti dell’Ue” che “sta dando un sostegno senza precedenti alla democrazia”. Intanto la “democrazia” moldava mette fuorilegge due partiti di opposizione perché “filorussi” (cosa piuttosto strana in un Paese pieno di russi della Transnistria). Alla fine, sorpresona: rivincono gli europeisti, i fondi Ue continuano ad arrivare, la democrazia è salva.

L'Amaca

 

Amare Putin gratuitamente
di Michele Serra
Chi ha memoria della grottesca vicenda Mitrokhin, con tanto di commissione parlamentare incaricata di incastrare fantomatiche spie russe infastidendo un sacco di persone rispettabili, è portato a giudicare con una certa prudenza la chiacchierata con il ministro Crosetto che Bruno Vespa ha inserito nella sua consueta strenna natalizia, trasformando in “rivelazioni” un paio di frasi.
Che ci sia qualche italiano nel libro paga di Putin è probabile, la politica mondiale si fa anche con i quattrini e la corruzione. Vedi l’opera complessiva di quasi tutte le amministrazioni americane in Sud America e le iniezioni di rubli con le quali la Russia ha cercato di influenzare le elezioni nei Paesi suoi confinanti a Ovest. Ma la lettura complottista della politica è sempre, nel fondo, meschina e per giunta fuorviante.
Il putinismo di molti italiani, che siano esponenti politici o semplici trafficanti di opinioni sul web, è sicuramente onesto, nonché gratuito. Non ha nulla di losco o di opaco. È schietto disprezzo per la democrazia e per i diritti delle persone. È sincera devozione all’autoritarismo e al nazionalismo come soluzione dei mali del mondo.
I nove decimi degli articoli di giornale o degli interventi nei talk show favorevoli alla Russia di Putin, quelli che “l’Ucraina se l’è cercata”, sono l’espressione di una battaglia ideologica alla luce del sole. Che poi ci sia qualche prezzolato è probabile, ma è un problema collaterale: il problema vero è che la libertà, per molti, è un valore da strapazzo, da sacrificare senz’altro all’ordine dei despoti.

Ero presente!

 


Confermo, passavo di lì per caso: stavano discutendo dei decibel dello starnazzo delle oche!

mercoledì 29 ottobre 2025

Venite!

 


Quella…Quella… incommensurabile testa di kaxxo di Vance le ha definite “Scaramucce”…. Speriamo che 3I/Atlas non sia una cometa, e che ci invadano! E sopratutto che indossino scarponi immensi per dare galattici calci per il culo! Il primo a Vance!

Plusvalore

 



ElleKappa

 



Ma non ci credo!

 

Bombe in Palestina dagli F-15 con pezzi forniti da Leonardo
DI STEFANIA MAURIZI
“Noi non vendiamo un bullone a Israele”, ha dichiarato al Corriere della Sera l’Ad di Leonardo, Roberto Cingolani. Ma documenti a cui ha avuto accesso Il Fatto dimostrano che nel 2024 e nel 2025, quando ormai lo sterminio della popolazione civile di Gaza da parte di Israele era innegabile, la divisione elettronica di Leonardo, esattamente lo stabilimento di Montevarchi in provincia di Arezzo, ha fornito componenti del caccia F-15 a Israele. Si tratta di un velivolo datato, ma l’uso degli F-15 contro la popolazione di Gaza, prima e dopo il 7 ottobre 2023, è stato documentato da autorevoli media israeliani. L’esperto internazionale di armi, Andrew Feinstein, spiega al Fatto che l’F-15 è “uno dei caccia più usati nel bombardamento di Gaza, insieme con gli F-16 e gli F-35. È in grado di trasportare bombe da 2000 libbre, che sono state largamente usate”.
Leonardo è stata citata nel rapporto della Relatrice Speciale delle Nazioni Unite, Francesca Albanese, intitolato Dall’economia dell’occupazione all’economia del genocidio. I documenti in possesso del Fatto sono stati condivisi con il nostro giornale e con un gruppo di giornalisti internazionali dal media online irlandese The Ditch. Sono importanti perché contengono dati come la descrizione dei materiali e, soprattutto, permettono di capire se la fornitura è precedente o successiva all’inizio dello sterminio di Gaza. Informazioni spesso inaccessibili nei portali come quello Istat sulle esportazioni (o sono segretati o i dati sono aggregati e non permettono di avere informazioni puntuali su cosa e quando è stato spedito). Per esempio, nel caso di 4 cannoni Super Rapid 76 mm della Leonardo, l’istituto di ricerca italiano Archivio Disarmo ha concluso che sono stati consegnati per la prima volta nel 2022 e poi nel 2023. Tuttavia, come spiega al Fatto Matteo Taucci, ricercatore di Archivio Disarmo, “per il 2023, non c’è modo di sapere se la consegna è avvenuta dopo il 7 ottobre, in quanto il dato Istat è soggetto a procedura riservata (ossia secretata)”.
I documenti condivisi col Fatto permettono di rivelare che quelle fornite da Leonardo a Israele sono componenti del cosiddetto Head Up Display (Hud) dell’F-15. Il caccia, prodotto dalla Boeing, ha circa 250 pulsanti nella cabina di comando, ma tutto ciò di cui i piloti hanno bisogno si trova su uno schermo posizionato di fronte a loro: l’Head Up Display. La documentazione permette di stabilire che questa fornitura è stata caricata dallo stabilimento di Montevarchi e spedita in Israele almeno in due occasioni, nel dicembre del 2024 e nel marzo del 2025. Spedita attraverso un volo civile LY386 della compagnia israeliana El Al in partenza da Fiumicino. Al Fatto, Leonardo ha prima risposto di non voler commentare, poi ha confermato che lo stabilimento di Montevarchi aveva ricevuto “dalla società israeliana Elop, del gruppo Elbit ordini per lo sviluppo e la fornitura di n. 144 frontalini di controllo di un apparato denominato Head Up Display”. Elbit è la più grande azienda di armamenti di Israele. È una delle 15 aziende che Amnesty International ha identificato per il suo ruolo nell’occupazione illegale e nel genocidio.
Leonardo replica al Fatto che la Elop integra il frontalino di controllo nel sistema Head Up Display e lo fornisce a Elbit Usa, che a sua volta “realizza gli assiemi completi e li fornisce al costruttore di velivoli Boeing”. Aggiunge che i 144 frontalini commissionati a Leonardo sono stati richiesti dall’azienda israeliana tra agosto 2018 e novembre 2022 e “sono consegnati nel periodo febbraio 2019-aprile 2024 a fronte di regolari Autorizzazioni all’Esportazione”. Dal 2019 al 2024, però, la posizione di Israele è radicalmente cambiata e nell’aprile 2024 il massacro di Gaza era in corso da mesi. L’azienda sottolinea al Fatto “il totale rispetto da parte della Leonardo Spa delle leggi nazionali e internazionali relativamente alla vendita di armi a Israele”. Con una nota esplicativa precisa che le due spedizioni di dicembre 2024 e marzo 2025, documentate nei file in possesso del nostro giornale, riguardavano due frontalini di cui Elbit Israele aveva chiesto la riparazione in garanzia nell’ottobre e nel novembre 2024 e “il cliente ha provveduto a spedirli con mezzi propri”. Infine aggiunge: “Auspicando di aver contribuito a ristabilire la verità dei fatti, che in alcun modo legano Leonardo agli accadimenti Israelo-Palestinesi, sottolineiamo ancora una volta la nostra totale estraneità, per cui ogni eventuale ulteriore accostamento alle accuse di genocidio e di non rispetto delle leggi in vigore verrà considerato lesivo degli interessi e della reputazione del gruppo, che intenderà valere le sue ragioni tutelando i propri diritti nelle sedi competenti”.

Robecchi

 

Donald Real Estate. L’edilizia à gogo: la sala da ballo dorata del trumpismo
DI ALESSANDRO ROBECCHI
Chiedo scusa se mi occupo di edilizia, che è una cosa abbastanza importante e, in subordine di Donald Trump, il presidente più “edilizio” della storia, dato che ha fatto parecchi soldi proprio con le costruzioni, soldi che gli hanno permesso di arrivare alla Casa Bianca per due volte, un posto eccellente per occuparsi di edilizia. Non si contano gli interventi e i comizi del presidente in materia, il più famoso dei quali avvenne nel settembre scorso, all’Onu. Erano (e sono) momenti drammatici, con una guerra in corso alle porte dell’Europa – guerra che aveva promesso di far finire in ventiquattr’ore – e un genocidio in corso in Palestina, con la sua amministrazione che forniva (e fornisce) armi agli autori della carneficina. Insomma, ce n’erano cose da dire, ma lui cominciò il suo discorso in veste di geometra-capo, ricordando che molti anni prima le sue imprese avevano proposto un progetto da 500 milioni di dollari per rifare il palazzo, ma l’Onu, manigoldo, aveva rifiutato. “Vi darò marmo e pareti in mogano”, aveva promesso lui, e invece niente, maledizione: il suo discorso “storico” aveva così preso una piega offesa e vittimista, e disse più o meno le cose che dice l’idraulico quando lo chiamate: che l’idraulico prima era un fesso e che dovevate incaricare lui da subito. Un classico.
Altro giro, altra corsa per i progetti della famosa riviera di Gaza, quando Donald postò il famoso video sulla ricostruzione del luogo del genocidio: grattacieli, palazzi, casinò e tutto il campionario di ispirazione Las Vegas, compresa la statua d’oro con le sue sembianze e i dollari che piovevano dal cielo. Una terra martoriata, un cimitero, un mattatoio, trasformato in Real Estate, buoni affari e una Montecarlo mediorientale prossima ventura (spoiler: no, per i palestinesi non c’era posto, ma sarebbero serviti parecchi muratori). Il sogno passò per una pessima provocazione, ma non tutti ci hanno rinunciato definitivamente. Tramontata (molti anni fa) la ristrutturazione del Palazzo di vetro a New York e in stand-by la riviera di Gaza, Donald si concentra dunque sul giardino di casa, non in metafora (il Sudamerica), ma quello vero, quello della Casa Bianca, con pesanti lavori di ristrutturazione che prevedono la già ultimata demolizione dell’ala est per far posto a una magnifica sala da ballo, più di 8.300 metri quadrati, posti a sedere per 650 persone. Un progettino niente male i cui costi sono già lievitati (da 200 milioni, a 250, e ora stimati a 350). Lo stile, per quanto neoclassico in linea con il corpo principale dell’edificio storico, è decisamente San Siro-Babilonese, enorme e sproporzionato, e in più dotato di tutti quei fregi in marmo, stucchi vari e oro che piacciono tanto allo spirito sobrio e misurato di Trump: in confronto il salotto dei Casamonica era una faccenda minimal-chic. Qualcuno ha provato a sollevare questioni di lana caprina, come vincoli storici, permessi, sovrintendenze e altre piccolezze assurde “de sinistra”, ma il presidente e i suoi consiglieri hanno tirato dritto, più concentrati su come raccattare soldi per i lavori, che naturalmente sono arrivati a pioggia. Si fanno i nomi, come finanziatori, di Microsoft, Apple, Amazon e altri giganti, ben contenti di partecipare alle spese. Tutta gente che avrà poi, naturalmente, qualche ringraziamento speciale. Un po’ come quando la zia Pina vi regalò le tende per la casa nuova, e da allora, dite la verità, è la vostra zia preferita, anche se non siete – mannaggia – i padroni del mondo.

Garante del c...!

 

Notoria dipendenza
DI MARCO TRAVAGLIO
La sconcezza del “garante della privacy” Agostino Ghiglia a rapporto nella sede FdI poco prima di votare la multa da 150 mila euro a Report s’è chiusa, per ora, a tarallucci e vino. Ghiglia ha detto di aver fatto tutto nella massima trasparenza: doveva parlare di libri con Italo Bocchino (e con chi se no) e ha incrociato di sfuggita Arianna Meloni nella sede del suo partito. In effetti, in quale altra sede avrebbe dovuto recarsi: quella del Pd o dei 5S? Il piccolo problema è che la legge impone “figure di notoria indipendenza” per le autorità di garanzia, mentre lui – ex parlamentare e dirigente Msi, An e FdI – è di notoria dipendenza. Come quasi tutti i membri delle “authority”, ridotte a cronicario per politici trombati o in via di riciclo. Quindi lo scandalo non è Ghiglia nella sede di FdI, ma nell’ufficio del Garante della Privacy. Vengono le lacrime agli occhi a pensare chi ne fu il primo presidente: Stefano Rodotà, un giurista che si sarebbe fatto uccidere per non subire pressioni politiche. Dopo di lui, il diluvio. Gli subentrò Soro, ex capogruppo del Pd, e trovò già lì l’ex deputato verde Paissan. Intanto all’Antitrust era planato Guazzaloca, ex sindaco di destra a Bologna appena sconfitto, ma soprattutto macellaio. Alla Consob regnò il forzista Vegas, passato senza fare un plissé da viceministro di B. ad arbitro dei mercati finanziari. In Consob c’è pure Gabriella Alemanno: non omonima, ma sorella di Gianni. Poi c’è l’Agcom: B. ci piazzò il manager di Publitalia e deputato forzista Martusciello nonché il dirigente Mediaset e sottosegretario Innocenzi; la Lega il suo parlamentare Capitanio. Poi arrivò Monti e nominò presidente un suo ex collaboratore in Ue, Cardani, seguito dal dem Giacomelli, sottosegretario uscente di Gentiloni. Quanto all’Antitrust, è guidata da Roberto Rustichelli, ex consigliere del governo B. e magistrato (un ossimoro).
Ma il caso più strepitoso è quello di Giancarlo Innocenzi, detto “Inox”, all’Agcom. Nel 2009 la Procura di Trani lo intercetta mentre B. gli detta un nuovo editto bulgaro: “Chiudiamo tutto, non solo Santoro: aprite il fuoco su tutte le trasmissioni di questo tipo”. Inclusa la Dandini. Lo incalza, lo cazzia, lo stalkerizza. Inox è disperato: “Berlusconi mi fa uno shampoo dopo l’altro e mi manda a fare in culo due volte al giorno”. Mobilita altri commissari. Vuole che il presidente Calabrò minacci la Rai con una multa del 3% sul fatturato (90 milioni). Persino Mauro Masi, Ad berlusconiano della Rai, definisce la pretesa di B. “roba che nemmeno nello Zimbabwe”. Ma l’anno dopo sia Santoro sia Dandini spariscono dalla Rai. Questo sono le “authority”: un Var gestito da Juve, Milan, Inter, Roma e Napoli. O le aboliamo, o cacciamo i partiti, o la smettiamo di meravigliarci.

L'Amaca

 

Nuove tecnologie, vecchia idiozia
di Michele Serra
Molti anni fa uno di quei cataloghi (cartacei) dove si vendeva qualunque patacca, a partire dalle mitiche “scimmie di mare”, proponeva per poche lire anche una specie di “binocolo magico” che prometteva di vedere, attraverso le pareti, le donne nude. Come nei baracconi ottocenteschi, la truffa e la credulità procedono sempre a braccetto.
Il nudo femminile, prima che la pornografia diventasse uno dei beni di consumo correnti, era mitizzato. Pierino che guarda dal buco della serratura la ragazza fiorente che si fa la doccia fu, qui da noi, l’icona cinematografica di quello spirito maschile misero e scemo che oggi su Telegram e analoghe fogne del web conosce il suo trionfo.
Ecco finalmente disponibile il vero “binocolo magico”: grazie all’IA qualcuno denuda, ovviamente senza il loro consenso, le donne vere, mettendo il falso nudo a disposizione del bavoso entusiasmo dei Pierini di ogni luogo e di ogni età.
La denuncia, sacrosanta, di Francesca Barra, vittima con molte altre di questo abuso disgustoso, contiene la più inappellabile delle frasi, e al tempo stesso la più grave delle denunce: «Non sono io». Prima rapita, poi falsificata, infine messa a disposizione del non spettabile pubblico.
Il fenomeno in sé non merita ulteriori parole: Barra e le altre denuncianti hanno stra-ragione e hanno orgoglio, chissà mai che almeno uno degli autori del loro rapimento e del loro abuso non venga individuato e, come merita, sputtanato. In aggiunta, viene da dire una cosa triste: niente come le nuove tecnologie può esaltare la vecchia idiozia degli uomini, centuplicandone la miseria e la capacità di offesa.

martedì 28 ottobre 2025

Va proprio così!

 



Tristezza

 



Salis, Salis!

 

Salis, finita la luna di miele della sindaca: il centrosinistra diviso sull’inceneritore
DI MARCO GRASSO
È la prima vera incognita per Silvia Salis, stella nascente di ciò che si muove al centro del centrosinistra: la rumenta, versione genovese della monnezza. La neosindaca si sarebbe convinta che Genova ha bisogno di un termovalorizzatore, nonostante la ritrosia di (quasi) tutti i partiti che la sostengono. Una soluzione al problema rifiuti che, oltre a sconfessare la linea del centrosinistra genovese degli ultimi 15 anni, è vista come fumo negli occhi da Avs e M5S (non costruirne faceva parte dei patti pre-elettorali), oltre che da un pezzo del Pd, preoccupato della ricaduta di consenso nei quartieri (popolari) più esposti ai fumi del nuovo impianto: Sestri Ponente, Voltri, Valpolcevera e, secondo uno studio delle correnti, anche la Valbisagno. Nei progetti della società municipalizzata Amiu e della multiutility Iren, il termovalorizzatore dovrebbe sorgere sulla collina di Scarpino, che ospita una discarica che nel 2030 arriverà a fine vita. Il centrodestra fiuta aria di implosione, e il capogruppo Pietro Piciocchi ha già offerto a Salis i voti della destra.
I cassonetti ricolmi di spazzatura da settimane testimoniano l’esistenza di una piccola emergenza rifiuti. I cittadini si lamentano, anche perché pagano una delle Tari più alte d’Italia, e Amiu è stata costretta a scusarsi pubblicamente. La causa immediata della crisi sono alcuni guasti negli impianti di separazione, tutti fuori regione. Quella più profonda, è la mancanza chiusura del ciclo dei rifiuti. La vecchia giunta guidata da Marco Bucci si era spesa per un progetto finito assai male: un impianto di separazione (Tmb) a Scarpino, mai partito perché le fondamenta affondavano nella spazzatura; doveva essere pronto per il 2020, ad oggi ci sono solo le palificazioni, costate oltre 10 milioni di euro, e un conto che non si sa bene chi dovrà pagare. Ma su quelle fondamenta, oggi, c’è chi pensa di costruire un termovalorizzatore, idea che non dispiace al tandem Amiu-Iren ma che i critici considerano antieconomico (perché troppo piccolo) e inquinante (perché in mezzo alla città). Bruciare la spazzatura è un tabù per una parte della maggioranza, perché va in direzione contraria all’implementazione della raccolta differenziata. Corsi e ricorsi della Storia. L’ultimo sindaco di Genova a teorizzare un progetto simile fu Beppe Pericu. Oggi il figlio è avvocato che assiste Iren nelle fusioni societarie, oltre che finanziatore della campagna di Salis. La sorella, architetta e docente universitaria di Design industriale, è assessora all’Ambiente della giunta Salis.

Natangelo

 



Un po' di chiarezza

 

30 anni e non sentirli
DI MARCO TRAVAGLIO
Da quando l’autorevole Foglio lo scrisse sette giorni fa, tutti parlano di una sentenza della Cassazione che avrebbe “assolto” B., alla memoria, da quelle brutte dicerie di rapporti con la mafia. C’è pure il virgolettato: “Nessun legame di Berlusconi e Dell’Utri con Cosa Nostra”. Essendo improbabile che il Foglio pubblichi una notizia vera, ma ancor più che la Cassazione processi e assolva un morto, ma ancor più che oggi la Cassazione smentisca la Cassazione che nel 2014 condannò Dell’Utri a 7 anni per concorso esterno in mafia per aver mediato per 18 anni l’“accordo concluso tra gli esponenti palermitani di Cosa nostra e Berlusconi”, ci siamo procurati l’ormai celebre documento. Lo trovate qui accanto: 5 parole (“Dichiara inammissibile il ricorso del Pg”) che non nominano mai B. e i suoi rapporti con la mafia. Né potrebbero farlo: la Cassazione si limita a confermare l’“inammissibilità totale” del ricorso del Pg di Palermo contro la decisione di Tribunale e Corte d’appello di negare la sorveglianza speciale e la confisca dei beni per Dell’Utri chieste dalla Procura. Per i giudici di primo e secondo grado, i pm non hanno provato che B. e Dell’Utri riciclassero capitali mafiosi e che B. riempisse di milioni Dell’Utri per comprarne il silenzio. E per la Corte d’appello, se già il pm impugna su misure di prevenzione, non può ricorrere pure il Pg. La Cassazione sembra condividere, ma le motivazioni non le ha ancora scritte: per ora c’è solo il dispositivo.
Una sola cosa è certa: la sentenza non potrà smentire quella irrevocabile del 2014 non su generici “rapporti”, ma sull’“accordo di reciproco interesse concluso nel 1974 tra Cosa Nostra, rappresentata dai boss Bontade e Teresi, e l’imprenditore Berlusconi” e durato fino all’anno di Capaci e via D’Amelio: “In cambio della protezione assicurata, Berlusconi aveva iniziato a corrispondere, a partire dal 1974, agli esponenti di Cosa nostra palermitana, per il tramite di Dell’Utri, cospicue somme di denaro”. Questo dice l’unica vera sentenza della Cassazione sul tema, infatti non la conosce nessuno. Così B. ha potuto continuare a far politica, anche dopo la condanna a 4 anni per frode fiscale, e perfino salire al Quirinale da Mattarella. Che non è un omonimo, ma il fratello di Piersanti assassinato dalla mafia di Bontate e Teresi finanziata da B.. Ora, rispondendo ai piagnucolii di Marina B., perfino il presidente Anm Cesare Parodi prende per buona la sentenza che non c’è e lamenta che il povero B. sia stato riabilitato in una “vicenda che dura da 30 anni”, indegna per “un Paese civile”. Ma il processo Dell’Utri è finito nel 2014 e il procedimento di prevenzione è durato appena quattro anni. L’unica vicenda indegna che dura da 30 anni è la leggenda del Santo Cavaliere.

L'Amaca

 

Nuove tecnologie, vecchia idiozia
di Michele Serra
Molti anni fa uno di quei cataloghi (cartacei) dove si vendeva qualunque patacca, a partire dalle mitiche “scimmie di mare”, proponeva per poche lire anche una specie di “binocolo magico” che prometteva di vedere, attraverso le pareti, le donne nude. Come nei baracconi ottocenteschi, la truffa e la credulità procedono sempre a braccetto.
Il nudo femminile, prima che la pornografia diventasse uno dei beni di consumo correnti, era mitizzato. Pierino che guarda dal buco della serratura la ragazza fiorente che si fa la doccia fu, qui da noi, l’icona cinematografica di quello spirito maschile misero e scemo che oggi su Telegram e analoghe fogne del web conosce il suo trionfo.
Ecco finalmente disponibile il vero “binocolo magico”: grazie all’IA qualcuno denuda, ovviamente senza il loro consenso, le donne vere, mettendo il falso nudo a disposizione del bavoso entusiasmo dei Pierini di ogni luogo e di ogni età.
La denuncia, sacrosanta, di Francesca Barra, vittima con molte altre di questo abuso disgustoso, contiene la più inappellabile delle frasi, e al tempo stesso la più grave delle denunce: «Non sono io». Prima rapita, poi falsificata, infine messa a disposizione del non spettabile pubblico.
Il fenomeno in sé non merita ulteriori parole: Barra e le altre denuncianti hanno stra-ragione e hanno orgoglio, chissà mai che almeno uno degli autori del loro rapimento e del loro abuso non venga individuato e, come merita, sputtanato. In aggiunta, viene da dire una cosa triste: niente come le nuove tecnologie può esaltare la vecchia idiozia degli uomini, centuplicandone la miseria e la capacità di offesa.

lunedì 27 ottobre 2025

Addio ad un celato grande!

 


Non sono a livelli così alti di sommelier musicale, magari! Sono uno che ascolta tanta musica, specie sul far del mattino, pur rimanendo lontano dagli Assante, dai Conte, dai Piacentino. Sono arrivato a Jack DeJohnette, oggi scomparso all'età di 83 anni, tramite l'abbeveramento alla fonte Miles Davis - vi prego non ditemi "e chi è?" - d'accordo che ci stiamo probabilmente estinguendoci, musicalmente siamo già nel baratro, ma non aver mai ascoltato Miles Davis equivale a non essere mai stato sul Monte Bianco, o a veder un tramonto a Tramonti, un'alba sulle Dolomiti, a non aver mai bevuto un Barolo, un Barbaresco, un Amarone, un Sassicaia! Dovrebbero imporlo per certe eccellenze musicali! Dovrebbe esistere una tessera tramite la quale i giovani dimostrassero di aver ascoltato Miles, Armostrong, i Rolling, i Beatles, Bruce, i Led, gli Who, Clapton, Pavarotti, Gary Moore e altri quale segno di buon apprendimento musicale: Jazz, Blues, Rock allampano la crosta del cervello, imbizzarriscono i neuroni, fan scalciare le sinapsi!  

Al mattino, a seconda di cosa ribolle in cervice ascolto anche Miles con gioia immensa ed è proprio da quell'ascolto che una volta mi sono ingalluzzito sentendo la batteria, splendida, corroborante, sfavillante, effervescente: erano le mani di Jack a permettere alle mie coclee di agguantare gli dei musicali, con quel ritmo agevolante il trasporto in un campo di grano affacciato sul mare, o dentro una tenda nella notte del deserto, abbacinante ostacoli e fregnacce che ti vorrebbero già prostrato sul far del mattino, recalcitrando tutto quello che si frappone tra te e te! 

Jack è stato un grandissimo, snocciolando nettare per adepti e non, il conducente del grande treno del ritmo, che non ferma mai, che non aspetta, che non ti fa adagiare su nessun scranno, se non quello della fragranza, di cui era portatore sano. 

Riposa in pace Jack e buon duetto eterno con Miles! Mai vi annoierete!