Vantarsi come terapia
DI MICHELE SERRA
Il famoso understatement (secondo la definizione di Oxford Languages: “atteggiamento volutamente alieno da enfasi e retorica”), al quale molti uomini delle istituzioni, vedi Mario Draghi, hanno cercato di attenersi, dev’essere considerato dai nuovi governanti un deprimente cascame del passato. Il vero capo, per galvanizzare le truppe, deve trasformare in fanfara ogni suo atto quotidiano. Nei nuovi governanti enfasi e retorica non solo non suscitano diffidenza: ma sono i due ingredienti insostituibili della propaganda patriottarda.
Il fatto che il ministro dell’Interno Piantedosi si sia munito di un “social manager”, grazie al quale ogni retata di malfattori, o espulsione di spacciatori, diventa una gloriosa pagina di rinascita nazionale da annunciare, sul sito ufficiale del ministero, con titoli cubitali (manca l’Inno di Mameli: provvedere subito, per piacere), è il contrario esatto dell’understatement. È un vantarsi, un gongolare del proprio potere e del proprio ruolo sociale, un “quanto sono bravo!” non richiesto e certamente controproducente tra chi apprezza i toni bassi: forse una valorosa minoranza.
Allo stesso identico modo il servizio del Tg1 sull’adunata governativa di Atreju, certo non l’unico servizio della nuova Rai a non avere alcun rapporto con ciò che normalmente si chiama “giornalismo”, conferma che la regola è non farsi il minimo scrupolo, quando si tratta di parlare bene di se stessi: semmai, al contrario, esagerare nell’elogio e nel compiacimento.
In sintesi, uno come Mario Draghi non ha alcun bisogno di vantarsi: ha già le sue sicurezze. Piantedosi e Atreju invece sì: ne hanno un gran bisogno. Poterlo fare a spese nostre dev’essere un grande comfort.
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