venerdì 3 giugno 2022

Ohhh Woody!!!

 

Io, la mucca
assassina,
confesso
Woody Allen torna in libreria con nuovi racconti: eccone un assaggio E ci rilascia un’intervista esclusiva nel prossimo numero di Robinson
DI WOODY ALLEN
Chiedo venia se il mio racconto degli eventi di queste ultime settimane potrà sembrare confuso o addirittura isterico. Di solito sono di indole mansueta. Il fatto è che la natura di ciò che sto per riferire è tanto più inquietante in quanto ha per teatro un luogo così idilliaco. La fattoria dei Pudnick, nel New Jersey, non teme il confronto con qualunque paesaggio pastorale di Constable – se non per le dimensioni, certo per la pace bucolica. Si trova appena a due ore da Broadway, dove Il batterio mangiacarne, l’ultimo musical di Sy Pudnick, fa regolarmente il tutto esaurito; ed è qui che, fra verdi prati e dolci colline, l’acclamato paroliere viene a distendersi e a ricaricare la propria ispirazione. Appassionato contadino della domenica, Pudnick e sua moglie Wanda coltivano mais, carote, pomodori e altri ortaggi, mentre i loro figlioletti si occupano di una dozzina di galline, di un paio di cavalli, di un agnello e della vostra affezionata. Dire che per me la fattoria dei Pudnick è una sorta di Shangri-la non significa indulgere alla retorica. Posso brucare, ruminare e processare il mio bolo in armonia con la natura, e vengo munta a intervalli regolari da Wanda Pudnick con mani gentili e cosparse di crema idratante. In particolare apprezzo quando i Pudnick invitano ospiti per il fine settimana. Che gioia per una creatura intellettualmente sottovalutata come me godere di una prossimità con le star del mondo intellettuale newyorchese: origliare le conversazioni di attori, giornalisti, pittori e musicisti, che si scambiano idee e aneddoti spiritosi che magari possono risultare un po’ troppo criptici per il pollame – ma nessuno più di me apprezza un pettegolezzo di Anna Wintour o una canzone nuova di zecca di Stephen Sondheim, specialmente se è Steve a suonarla. Ecco perché, quando ho saputo che questa volta la lista comprendeva un regista- sceneggiatore con molti titoli all’attivo (anche se non ne ho mai visto uno), pregustavo un Labor Day particolarmente scoppiettante. E quando ho saputo che questo autore a volte era anche protagonista dei suoi film, già pregustavo un filmmaker carismatico come Orson Welles e aitante come Warren Beatty o John Cassavetes. Immaginate la mia sorpresa quando posai gli occhi sul suddetto genio e non vidi né un fascinoso sex symbol né un ombroso autore di cult movies, ma un personaggetto miope con gli occhiali dalla montatura nera, stucchevole nella sua idea di country chic: giacca di tweed, berretto e sciarpa, manco andasse a caccia di folletti.
Questo individuo si dimostrò una tassa fin dall’inizio, lamentandosi con tutti delle indicazioni poco chiare che avevano costretto il suo autista a vagare per oredescrivendo un nastro di Möbius, del costo di pedaggi e carburante, e dell’effetto imprevisto delle spore locali sulle sue delicate adenoidi. Alla fine lo sentii richiedere un’asse di legno da piazzare sotto il suo materasso, a suo dire troppo morbido per essere tollerato da una colonna vertebrale evidentemente destinata all’osteoporosi. Il signor Pudnick ricordò che una volta David Mamet aveva considerato di cambiare volo quando aveva saputo che questo individuo era sul suo stesso aereo. Posso aggiungere che tutte queste fisime venivano espresse con un tono nasale affine al kazoo, al pari delle sue incessanti facezie: un fiume di freddure disastrose, pensate per accattivarsi gli ascoltatori ma che creavano immancabilmente un silenzio di tomba.
Il pranzo venne servito sul prato e il nostro amico, imbaldanzitosi grazie a un certo signor Glenfiddich, cominciò a tenere banco su argomenti di cui non sapeva un accidente. Citò scorrettamente La Rochefoucauld, confuse Schubert e Schumann e attribuì a Shakespeare il versetto «non di solo pane vive l’uomo», che io stessa sapevo trovarsi nel Deuteronomio. Quando venne corretto, si stizzì e propose di sfidare la padrona a braccio di ferro per dimostrare non so cosa. A metà pranzo, l’insopportabile rompiscatole batté il coltello sul bicchiere per richiamare l’attenzione, e poi provò a sfilare la tovaglia senza far cadere i piatti. Inutile dire che il risultato fu un olocausto: rovinò almeno un abito J. Mendel e catapultò una patata nella scollatura di una bruna sciccosa. Dopo pranzo, lo beccai mentre muoveva con il piede la sua palla da croquet, pensando che non lo vedesse nessuno.
Mentre i suoi capillari cominciavano a pagare il pegno dei whisky single malt ingollati, biascicò invettive contro i critici newyorchesi, rei di non avere attribuito nessun premio alla sua ultima fatica, Louis Pasteur contro l’Uomo Lupo . Ormai lanciava sguardi lascivi alle ospiti più procaci, e afferrando la mano di un’attrice con la sua zampa da roditore, le sussurrò: «Con quegli zigomi così alti devi avere del sangue Cherokee nelle vene: vero, visoncina mia?». Con autocontrollo sovrumano, l’attrice in questione resistette all’impulso di afferrargli il naso e di girarlo in senso antiorario fino a produrre un rumore stridente.
Fu a quel punto che decisi di ucciderlo. Dopo tutto, il mondo avrebbe sentito la mancanza di quella piccola, fatua supposta, con la sua tronfia sicurezza e la sua vomitevolepiacioneria? All’inizio pensai di travolgere la piattola sotto i miei zoccoli, ma avrei avuto bisogno di un altro paio di centinaia di mie simili per farne davvero una polpetta. Non c’erano rupi verso cui avrei potuto spingere il miserabile, per poi precipitarlo nell’abisso. Ma poi ebbi un’illuminazione. Si era parlato di una passeggiata tra i boschi, e tutti erano ansiosi di parteciparvi. Tutti tranne un omuncolo imbarazzante, che faceva la principessa sul pisello all’idea di poter prendersi il morbo di Lyme o di incappare in una quercia velenosa. Così decise di rimanere nella sua stanza a fare telefonate per controllare gli incassi del suo ultimo film, a cui Variety aveva attribuito un potenziale limitato, consigliando una prima nel Belize. Il mio piano era entrare in casa, prendere quel foruncolo logorroico alle spalle e strangolarlo con un nastro. La polizia avrebbe creduto fosse stato un vagabondo.

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