martedì 31 agosto 2021

Desiderio

 


Riposti i sentimenti canonici del buon cittadino, ho in core un desiderio che spero, per decenza, di mai realizzare: quanto mi piacerebbe prendere a calci in culo tutti questi idioti che manifestano, rigurgitano cagate, idiozie, stupidate senza alcun senso, in virtù di quella libertà edulcorata e distorta a cui mirano miseramente! 

Quanto mi piacerebbe stanarli nelle fogne dove si sollazzano, attendendo alla don Abbondio che altri coglioni si vaccinino al posto loro! 

Vorrei vedere da vicino la cronica stupidità di questi fannulloni del pensiero, gretti, lontani da una qualsiasi forma d'architettura neuronale come i loro pavidi rappresentanti politici, costantemente sul dorso della montagna per difenderli timidamente in modo da non irritar eccessivamente i normodotati, solo ed esclusivamente perché anche codesti zotici rappresentano il loro serbatoio elettorale. 

Spero, e mi auguro, per loro, di non incontrar mai sul mio cammino questi imbecilli, terrapiattisti del ragionamento, buffoni del pensiero, clown della sinapsi. 

Rigonfi di aria, di nefandezze estreme, s'aggirano per le città gracchiando stronzate per cercar di rendersi la vita meno amara, visto il loro status di nullità e sterco sociale. 

Ve lo dico senza alcuna remora: no vax! Andate a fare in culo asinacci della malora!

Ohhh! come sto meglio!  

Scuse ... dovute...

 


Interessante

 

Ridiamo vita al povero latino
Periodicamente accusato di essere inutile, l’insegnamento della lingua dei classici dovrebbe trasmettere più passione che regole grammaticali

di Corrado Augias

Ma a che serve il latino? Posta in termini brutali, la domanda chiama una risposta altrettanto brutale: serve a poco, il latino – si potrebbe addirittura dire che non serva a niente. Se si deve giudicare dalla conoscenza media del latino di un ex liceale, quella è la risposta. Poche e vaghe reminiscenze insignificanti. Per molto tempo si è difeso il latino sostenendo che la sua costruzione della frase, così diversa da quella dell’italiano, impegni nella comprensione logica di un periodo, cioè di un concetto. Studiare il latino, s’è detto, è un ottimo esercizio, una ginnastica per la mente. Lavorare sul latino stimola le capacità deduttive/ induttive. Umberto Eco, tirando in ballo anni fa questo luogo comune, cioè che studiare le "lingue morte" aiuti a ragionare, commentava sornione: «È una balla. O meglio: anche lo swahili aiuta a ragionare. Se lo scopo è quello, andiamo direttamente al nocciolo e insegniamo logica formale. Semmai s’impara a ragionare comparando le lingue: magari inglese e latino, perché no». Dunque, è vero che il latino non serve? Sì, è vero. Forse però sarebbe più corretto dire: non serve se lo si studia nel modo suggerito dalla didattica attuale. La fatica, in certi casi la pena, della traduzione rischia infatti di far prevalere la noia sui benefici. La percentuale di studenti del liceo classico in grado di leggere una frase latina e di tradurla in un italiano accettabile è così bassa che viene da chiedersi se sia davvero di qualche utilità spendere una così grande fatica, sia nell’insegnare sia nell’apprendere, per ottenere risultati tanto modesti. Un professore di liceo, qualche anno fa, mi descrisse la situazione in questi termini: «Nei licei si è rassegnati al fatto che gli studenti, dopo aver fruito nel quinquennio di quasi seicento ore di lezione di greco (e più di settecento di latino), siano in grado (nella proporzione, se va bene, di due o tre per classe) di tradurre con l’aiuto del dizionario, in quattro ore, in una forma italiana di solito stentata, una ventina di righe di un testo in genere non complicato. I nostri studenti non sono né stupidi né infingardi; è la didattica delle lingue classiche, immobile da lungo tempo, che andrebbe rinnovata. L’alternativa è o la rinuncia alle nostre radici culturali (folle, in tempo di globalizzazione) o il perpetuarsi di uno spreco di risorse e di energie con relativa tragicommedia finale». Ritengo che con queste ultime parole alludesse al povero esame pomposamente detto «di maturità».

Il ricorrente dibattito sull’utilità del latino, sulla sua necessità, si accende ormai sempre più raramente, dando evidenti segnali di stanchezza, quasi fosse una formalità da compiere, un campo nel quale prima o poi è doveroso schierarsi: i conservatori per il suo mantenimento nei curricula, i progressisti per la sua abolizione.
Con ogni evidenza una lingua, ridotta a questo livello, è solo una bandiera da sventolare sulle mura di una fortezza che in realtà è già stata espugnata e demolita. Il rischio è di finire come nel famoso, irridente apologo di Leo Longanesi: un professore di lingue morte che si uccide per poterle finalmente parlare. In realtà ci sarebbero parecchi altri modi di avvicinarsi alle lingue classiche. Senza ovviamente prescindere da alcuni elementi di grammatica e di sintassi, si potrebbe spostare il cuore dell’insegnamento del latino dalla sua «traduzione » al suo godimento. Accenno a un metodo che hanno adottato parecchie persone amiche – e, confesso, anch’io. Leggere un testo latino con l’italiano a fronte. Sbarazzarsi cioè della lunga e faticosa ricerca sul vocabolario, andare subito al significato del testo, e guadagnare così tempo prezioso per approfondire altri aspetti: quando e perché quel testo è stato scritto, chi era l’autore, quale fase della vita stava attraversando, a che cosa, a chi, miravano le sue allusioni. Tolta di mezzo la fatica preliminare di ricercare il significato di ogni vocabolo, resta il godimento non solo del contenuto dello scritto, ma della stessa lingua, del suo suono. Con un po’ di studio supplementare si può assaporare la musica dei suoi versi.

Conosco le obiezioni di chi è contrario a questo metodo, perché ne abbiamo discusso più volte: primo, così facendo si trascurerebbe tutta la parte che riguarda la struttura della lingua, tra cui le finezze che una scelta lessicale o sintattica può rivelare a chi è in grado di decifrarla. Secondo, la semplice lettura rischia di diventare un rimedio molto superficiale rispetto alla complessità che ogni lingua racchiude. Il pericolo sarebbe quello di sostituire un’inutilità con un’altra. Sono obiezioni ragionevoli, inutile negare che una perdita ci sarebbe. La scelta infatti è tra perdere una parte o perdere praticamente tutto, come dimostra l’attuale condizione di gran parte degli studenti. Riprendiamo allora l’incipit della prima Bucolica di Virgilio. Vediamo come si sviluppa la strofa, facendo attenzione soprattutto a quale scena, e a quali domande, rimandano quei versi: 

«Tityre, tu patulae recubans sub tegmine fagi / silvestrem tenui Musam meditaris avena; / nos patriae finis et dulcia linquimus arva. / Nos patriam fugimus; tu, Tityre, lentus in umbra / formosam resonare doces Amaryllida silvas». 

«Titiro, tu, reclino all’ombra di un ampio faggio intoni sull’esile flauto un’aria silvestre; noi [invece] lasciamo la patria e gli amati campi; fuggiamo la patria, noi. [Mentre] tu, Titiro, pigramente all’ombra, fai echeggiare nei boschi il nome della bella Amarillide». 

Chi parla è un pastore, Melibeo, che si rivolge a un altro pastore: Titiro. Da dove vengono amarezza e rimpianto? Perché Melibeo deve fuggire, mentre Titiro se ne sta sdraiato all’ombra a zufolare? Che cosa racconta Virgilio in questa scena che sotto una placida apparenza campestre allude chiaramente a eventi drammatici? Porsi in classe domande come queste – discutere insieme le relative risposte, che qui ometto – non sarebbe molto più appassionante che spendere qualche ora in un’affannosa e stentata traduzione?

L'Amaca

 

Il drone dei Pink Floyd
di Michele Serra
La tecnologia non manca, i costi sarebbero sicuramente inferiori, e di molto, a qualunque operazione militare. Si fa così: si prendono centinaia di migliaia di droni che diffondono musica e si rioccupa l’Afghanistan con quelli. Si sorvolano le città e le valli, e per ogni drone sonoro abbattuto dalla contraerea talebana se me mandano altri due. Si trasforma quel Paese in un immenso auditorium, solo alcune remote pietraie potrebbero essere escluse dalla mappa per garantire anche le macchie di silenzio (senza il silenzio non c’è musica).
Per la playlist c’è solo l’imbarazzo della scelta. Ovviamente tutto il repertorio di Fawad Andarabi, il folk singer (cantante popolare) afghano ucciso pochi giorni fa dai talebani perché la smettesse di cantare.
Musica cinese, mongola, persiana, indiana, africana, perché non si dica che l’Occidente vuole imporre se stesso, cosa tra l’altro abbastanza vera. Poi Beethoven, Vivaldi e Mozart a tonnellate, la lirica, il jazz, il rock, il punk, la dodecafonia (in piccolissime dosi), perfino — ma in località minori — il liscio.
Vedo bene, sopra il comando generale dei talebani, i Pink Floyd (" We don’t need no education "). Uscirebbero pazzi per la rabbia.
Nirvana e Clash ovunque, Brel e Brassens, De André, Joni Mitchell, Pavarotti, Mercedes Sosa, il fado, il samba, il tango, la milonga.
La cosa più simile alla voce di Dio — la musica — che scende e libera le anime, seduce perfino gli omacci con il mitra a tracolla.
È una cosa che non si farà mai. La lobby delle note, di fronte a quella delle armi, conta meno di zero. Si provvederà a ben altre spese, e i droni, tutti quanti, sono in altre faccende affaccendati. Era solo un sogno.
Anche gli afghani, del resto, la musica potranno solo sognarla.

Però!

 

La Cina stacca la spina "Videogiochi solo per 3 ore a settimana"
Inasprite le regole per i minorenni: online dalle 20 alle 21 venerdì, sabato e domenica

Gianluca Modolo

PECHINO — Un’ora al giorno. Tre alla settimana. Soltanto il venerdì, il sabato, la domenica e durante le feste comandate. E in una fascia oraria ben precisa, che ora sarà vietatissimo sforare: dalle 20 alle 21. Poi stop, fine dei giochi, spegnere il pc o lo smartphone e via a nanna. Da oggi i piccoli cinesi non potranno più fare i furbi: basta nottate insonni con gli occhi incollati allo schermo. Il Partito decide quando e quanto si può giocare. Pechino prosegue così nella sua serie a puntate di regole e divieti e il nuovo bersaglio ora sono i videogiochi.
Nuovo, in realtà, fino a un certo punto. Che il prossimo sulla lista fosse il settore dei videogame lo si era capito già agli inizi di agosto quando l’Economic Information Daily, giornale affiliato all’agenzia di stampa ufficiale Xinhua, li aveva definiti «oppio dello spirito, droghe elettroniche. Nessuno continuava l’editoriale - può essere autorizzato a svilupparsi in modo tale da distruggere una generazione ». Chiaro messaggio a colossi come Tencent, regina incontrastata del settore: un terzo degli introiti della società di Pony Ma (6 miliardi di dollari) arriva dai videogame. E a NetEase, che infatti ieri poco dopo l’annuncio ha visto le sue azioni scendere del 9,3% nelle quotazioni pre-mercato al Nasdaq.
La Nppa, l’amministrazione della stampa e delle pubblicazioni, ha pubblicato ieri le nuove regole che d’ora in poi valgono per tutti i minori di 18 anni. Obbligando le piattaforme a far rispettare severamente i nuovi divieti: agli utenti non registrati e non verificati dovrà essere negato l’accesso ai giochi online. E chiedendo una partecipazione "attiva" alle famiglie e alle scuole. Un modo per «proteggere la salute mentale e fisica e la crescita sana dei minori», si legge nel documento.
La dipendenza da videogiochi è, in effetti, un problema serio nel Paese ed è per questo che già dal 2019 ai minorenni era permesso giocare solamente un’ora e mezzo al giorno (tre nei weekend) con un vero e proprio coprifuoco dalle 22 alle 8. Ma, si sa, fatta la legge trovato l’inganno. E così a molti bastava usare l’account e i documenti di un adulto per fare il login al proprio videogame preferito. E il gioco - è il caso di dirlo - era fatto.
La Cina è il primo mercato al mondo per i videogiochi (36 miliardi di dollari nel 2020) e oggi i "gamer" ai quattro angoli del Dragone sono 740 milioni: ossia la popolazione di Usa, Giappone, Germania, Francia e Regno Unito messa assieme.
Tencent, in un comunicato, si è detta ieri favorevole alle nuove regole e che lavorerà fin da subito per metterle in pratica. Del resto fu lo stesso colosso di Shenzhen annusando forse che c’era qualcosa in arrivo - che a giugno aveva lanciato la "pattuglia di mezzanotte": un sistema di riconoscimento facciale al momento del login in grado di identificare i minorenni e rispedirli sotto le coperte se "beccati" a giocare fuori dagli orari consentiti.
Come spesso accade l’intento è nobile, ma duplice. Sempre ieri, infatti, Pechino ha fatto capire che gli sforzi per tenere a bada le Big Tech non si fermeranno.
E la lotta del Partito per frenare «l’espansione disordinata del capitale » sta dando i primi frutti: questa l’analisi emersa dalla riunione della Commissione sull’approfondimento delle riforme, presieduta da Xi Jinping. Durante la quale sono state approvate anche una serie di nuove linee guida per intensificare le misure antitrust e promuovere la concorrenza leale.

domenica 29 agosto 2021

Allocco!



Quando per qualche spicciolo in più e per obbedire ad un ignobile panzone decidi che sia meglio far panca in un’accozzaglia di mercenari, invece di divenire un simbolo eterno di un fantasmagorico squadrone già in odore di scudo. Allocco!

Decadenza




Ca va sans dire


di Andrea Scanzi

«Ricordo ancora la domanda che fece il professore di filosofia il primo giorno di liceo: 'A che serve studiare? Chi sa rispondere?".

Qualcuno osò rispostine educate: "a crescer bene", "a diventare brave persone". Niente, scuoteva la testa. Finché disse: "Ad evadere dal carcere".

Ci guardammo stupiti. "L’ignoranza è un carcere. Perché là dentro non capisci e non sai che fare.
In questi cinque anni dobbiamo organizzare la più grande evasione del secolo. Non sarà facile, vi vogliono stupidi, ma se scavalcate il muro dell’ignoranza poi capirete senza dover chiedere aiuto. E sarà difficile ingannarvi. Chi ci sta?".

È un aneddoto raccontato da Corrado Augias. Lo ha ricordato nelle ore scorse Leonardo Cecchi. Parole bellissime.

Ricordiamocene e mettiamole in atto, o sarà la fine. Una fine che peraltro è già cominciata. Di ignoranza si muore, e l’ignoranza è in carcere. Sveglia!

Nella festa gioiosa



Alla Gira con mammà tra resti di muscoli ripieni e vino dissolto contemplo la natura, convincendomi sempre più che né yacht, né milioni possono far raggiungere le alte vette agevolate da Bacco e dai miracoli culinari. Hic!

Corsi e ricorsi

 


Leggere oggi, proprio oggi nel 1533, la storia dell'ultimo imperatore Inca Atahualpa, fa rabbrividire soprattuto alla luce degli ultimi eventi che attanagliano il mondo in questi giorni. Colonialismo cristiano lo chiamavano, venerando tutt'oggi i grandi eroi messaggeri, a loro modo, dell'annuncio evangelico. Guidati da Francisco Pizzarro, un centinaio di cosiddetti devoti e ferventi cattolici, armati di archibugi simboli di pace e proiezione delle "missioni umanitarie" di oggi, incontrarono l'imperatore Inca Atahualpa; tal padre Valverde consegnò all'imperatore il vangelo quale fonte di verità rivelata, ma l'imperatore, una volta rimiratolo, scaraventò a terra il libro, dando inizio ad una lotta impari col popolo Inca che subì in breve la disfatta.
Temendo di essere ucciso, Atahualpa promise a Pizzarro due stanze ricolme di oro e argento; Pizzarro in attesa del bottino, pare oltre 24 tonnellate di preziosi, mise agli arresti l'imperatore. Passarono due anni e il 18 giugno 1533 ebbe luogo la spartizione del favoloso bottino. Il 26 luglio dello stesso anno l'imperatore fu fatto uscire dalla sua cella e gli fu promesso che, se avesse abbracciato la fede cristiana, non una goccia del suo sangue sarebbe stata versata. L'imperatore accettò e divenne cristiano.
Il grande uomo di fede e conquiste Pizzarro mantenne la promessa: Atahualpa infatti venne strozzato mediante la garrota.

Sensazioni

 


Grazie Bebe!

 


Notizie Scompiscio

 


Post Crì-Crì

 


sabato 28 agosto 2021

Constatazione



Impedendo l’istruzione a molti con soprusi e sfruttamenti, laggiù sul Sassolino abbiamo agevolato la convinzione che la felicità si possa raggiungere facendosi esplodere in mezzo a dei simili.

Ignoranza



Cento gol, manco una coppa con le orecchie, cento milioni slappati, la ricerca forsennata di un altro club (pare che se anche lo United gli avesse risposto picche avrebbe accettato pure lo Stoke piuttosto che rimanere dov’era) ma sopratutto: in tre anni non ti sei degnato neppure di imparare un minimo di lingua del paese che ti ha sollazzato mettendoti pure al riparo pure dai balzelli, e quindi in conclusione: va’ a ciapà i ratt!


L'Amaca

 

L’età dell’innocenza
di Michele Serra
Poiché i dettagli contano, bisognerà seguire con partecipazione la causa per pedopornografia intentata da uno studio legale di New York contro la copertina del celebre disco dei Nirvana Nevermind, che ritrae un neonato di quattro mesi, libero e giocondo, che nuota nell’acqua adescato da un dollaro appeso all’amo. In quell’immagine l’unico dettaglio sconcio è il dollaro. Quanto al neonato, solo il più inguaribile dei pervertiti può collegarlo al sesso.
Ma si vede il pisello, il pisellino che ogni essere maschile si porta appresso a partire dall’ecografia. E tanto basta all’avvocata Maggie Mabie per parlare di «consapevole sfruttamento della pornografia infantile», perché «i genitali sono il focus di quella fotografia» (non è vero: il focus di quella fotografia è il neonato intero, ma l’occhio del censore vede solo ciò che gli interessa vedere). Il neonato oggi ha trent’anni, come il disco, e altrettanti ne ha impiegati per abboccare a quell’amo: chiede soldi, come tutti gli adulti, sperando che qualche briciola postuma di quel grande successo arrivi anche a lui.
Ma se la molla — l’avidità — è antica come l’uomo, quello che fa paura, ma paura per davvero, è il nuovo contesto morale, culturale, legale che permette di mettere in piedi una causa per pedopornografia fondata su una visione semplicemente paranoica del corpo di un bambino di quattro mesi.
E forse del corpo umano in generale, vista l’onda neopuritana che tende a trasformare quasi ogni contatto fisico in violenza, quasi ogni desiderio in colpa. Questa onda è tanto più pericolosa in quanto si traveste, ipocritamente, da “difesa dei più deboli”.
Torce una giusta causa agli scopi iniqui, e liberticidi, della mortificazione della carne.

venerdì 27 agosto 2021

L'occulto idiota

 


Il povero e sonnolento Joe non ha tutte le colpe, checché non ne parlino molti, farabutti come sono: gli accordi di Doha ed il conseguente ripiegamento repentino di tutte le forze "iùesei" lo aveva firmato infatti il Biondastro Donald, confermando, se ve ne fosse stato ancora bisogno, la sua imbecillità. 

Joe non ha assolutamente gestito al meglio l'organizzazione del ritiro, questo è indubbio; ma l'artefice del calarsi le braghe è opera appunto del Fesso Trump, il quale, come da consuetudine, è riuscito pure ad attaccare il suo successore, ri-dimostrando di essere un eclatante imbecille. 

Chiarisco, sperando che sia già risaputo, che questa oramai famigerata e ventennale "missione umanitaria" non sarebbe dovuta neppure iniziare. 

Primo perché con le armi, e almeno che non siate allocchi, è oramai stranoto che non si possano raggiungere obbiettivi sociali in grado di migliorare la vita di un popolo; basta guardare quello che accade tutt'oggi nei martoriati ed affamati staterelli africani. 

Secondo perché ogni guerra arricchisce un modesto numero di balordi. 

Terzo con le decine di miliardi che ogni anno sperperiamo in armamenti si potrebbero fare tantissime iniziative atte a migliorare la vita di milioni di persone. 

Quarto perché non esiste un'entità sovrana tipo Onu, che in realtà è una fetecchia sperpera denari di inusitato squallore, in grado di proteggere i deboli e distribuire equamente risorse alimentari e di miglioramento sociale. 

Quinto perché abbiamo - pardon! - hanno eretto un sistema di capitalismo deviato attanagliante nazioni intere, con l'unico obiettivo di portare nuove ricchezze a chi ne ha già abbastanza per sollazzarsi nei secoli futuri. 

Detto questo, una volta che la mefitica guerra miliardaria gestita da molte nazioni compreso la nostra fu scatenata, il suo termine andava gestito in un altro modo, intelligente. E, visto il faccione del Biondastro e dell'Assopito, ci siamo resi conto che sia stato come chiedere ad un fagiano di recitare la Divina Commedia! 

Ri-sani sfottò!

 


Sani Sfottò!


 

Ritorno a Casa!

 




giovedì 26 agosto 2021

200.000!!!!

 Onorato, emozionato, estasiato, spaesato non so come ringraziarvi per il traguardo delle duecentomila visite a questo umile e scapestrato blog!!

Grazie, grazie e ancora grazie! 

La filosofia di Prolasso alle Gonadi è oramai chiara e lampante a tutti: nessun lucro, nessuna pubblicità, niente di niente, solo l'insalubre desiderio di trasmettervi qualcosa che possa germinare in voi, come la speranza e la volontà di rimanere estranei all'Allocchismo dilagante ed imperante! 

Guardiamo assieme la Luna, lasciando il dito agli innumerevoli babbani che ci circondano. 

Infine, se posso permettermi, oserei darvi un consiglio: non fatevi mai trascinare da chicchessia, ragionate con la propria cervice, fatevi un'opinione leggendo varie sfaccettature di una notizia. 

E, naturalmente, evitate con dispregio i programmi di Al Tappone, la lettura di Libero, il Giornale, Minzolini, la Maglie, il Cazzaro e l'Ebetino! (a meno che non siate certi di affrontarli esclusivamente in modalità comica)   

Besos! 

Stronzo!

 


Non era affatto facile raffigurare il termine "stronzo", nel senso comportamentale, ma questo pusillanime mercenario c'è riuscito alla grande! Pensate che oltre ai 6500 dollari richiesti per il volo dall'inferno, nel caso ci fossero difficoltà per arrivare all'aereo, lo "stronzo" applica pure un sovrapprezzo!
Fondatore di Blackwater, amico personale dell'imbecille biondastro al momento decaduto, lo "stronzo" ha addirittura una società che lavora per il Pentagono, fornendo uomini valorosi - di 'sta minchia - esperti in sicurezza. La sorellina lavorava, eufemismo, nella becera amministrazione del balordo Trump.
Insomma da oggi quando darò dello "stronzo" a qualcuno mi apparirà subitaneamente in cabina la faccia di codesto ribaldo senza scrupoli. Stronzo!

Ottimo Daniè!

 

Salvini, Renzi e cielle: chi è povero è peccatore
di Daniela Ranieri
“È meglio un povero che un bugiardo”, sta scritto nella Bibbia. Avrebbero dovuto saperlo, e magari ricordarlo all’ospite, gli organizzatori del Meeting cristiano di Comunione e Liberazione, dove Salvini ha biasimato il Reddito di cittadinanza: “L’unico provvedimento che non rivoterei, crea solo un deserto economico e morale perché diseduca le persone alla fatica e alla sofferenza”. Accanto a lui c’era Letta – tocca ricordare che il Pd votò contro il Rdc, un provvedimento che c’è in tutta Europa – oltre a Lupi, Tajani, Rosato e Meloni in videocollegamento. La pochade della Restaurazione è tale che il Corriere ne fa un quadretto spiritosissimo: “Solo Conte ha difeso l’importanza dell’assegno per i più poveri, mentre per il resto si è levato un coro di critiche, condivise dalla platea ciellina… Conte ha cercato di manifestare il suo no con ampie bracciate di dissenso, ma non ha trovato alleati nei due rappresentanti di centrosinistra presenti” (al Corriere credono che Italia viva sia centrosinistra).
Quel povero illuso di Conte non s’è accorto che il Paese investito dai denari del Piano nazionale di ripresa e resilienza va spedito verso la crescita e chi resta indietro è una zavorra di cui liberarsi. Avrete notato che ultimamente i cultori del neo-liberismo (tale è Salvini, che ha provato per anni a vendersi come scardinatore delle élite per conto dei popoli e talpa che scava sotto il “sistema”, per rivelarsi vieppiù il ragazzo di bottega dell’establishment e dei banchieri) non si accontentano di fare in modo che i ricchi stiano sempre meglio. Onesta era in ciò la flat tax: una scostumata dichiarazione d’amore per i padroncini, su su fino ai finanzieri, a scapito di chi guadagna poco. Questi difensori della rendita e del capitale ormai millantano un fondamento etico per le loro posizioni.
Che uno come Salvini, capo di un partito che si è intascato 49 milioni di denari pubblici, parli di “deserto morale” è auto-parodico. Ma è suggestivo che tiri in ballo la “sofferenza”, l’insufficiente sofferenza a cui sarebbero sottoposti 5 milioni di poveri assoluti (più 1 dovuto alla pandemia), esattamente come quel Renzi che – spiaggiato su una poltrona, promuovendo il suo libro – ha detto: “Voglio riaffermare l’idea che la gente deve soffrire, rischiare, giocarsela. I nostri nonni hanno fatto l’Italia sudando e spaccandosi la schiena, non prendendo soldi dallo Stato”.
A chi parlano costoro? Cosa c’è dietro questo disprezzo per i poveri mascherato da elogio del duro lavoro da parte di due mestieranti della politica le cui biografie di bambagia sono sovrapponibili? C’è tutto il peggio delle moderne società inegualitarie: fatalismo, stigma sociale, mitologia del rischio e del farsi da sé, lode del lavoro usurante e sottopagato. Non si accontentano di indicare nei deboli il freno alla società dei benestanti: devono anche umiliarli. Come? Parlando di merito. Il merito è la giustificazione di ogni ingiustizia. In teoria non ci sarebbe bisogno: il governo dei Migliori fa già tutto quello che vogliono loro e Confindustria (del resto se infarcisci la cabina di regia del Pnrr di consulenti turbo-liberisti, si sa già dove andrai a parare). I poveri sono nullafacenti per indole. Anche quando lavorano, se continuano a essere poveri è per colpa loro, perché non hanno rischiato abbastanza. “I 5Stelle hanno cambiato idea su tutto. Gli è rimasta una cosa, e gliela smontiamo noi: il Reddito di cittadinanza”, ha detto quel miracolato di Renzi, uno che di lavoro fa il senatore della Repubblica e lo stipendiato di una monarchia teocratica islamica senza alcuno scrupolo. “Va rivisto il Reddito di cittadinanza – questo è Salvini – siamo pieni di imprenditori, ristoratori, albergatori in Calabria che non riescono a trovare personale. Molti rispondono che preferiscono stare a casa, con l’aria condizionata, piuttosto che andare a lavorare”. Gli scansafatiche che mangiano alle nostre spalle (523 euro in media al mese) non sono più “i migranti col tablet”: nel misero calcolo elettorale, questi politici (tutti tranne Conte) vogliono ingraziarsi gli imprenditori e nel contempo mettere operai, rider, precari che si spaccano la schiena per salari infami contro i poverissimi percettori del Rdc. Perciò ritengono una priorità eliminare il Rdc, non alzare il salario minimo: in sostanza il Rdc fa concorrenza sleale ai salari che le imprese elargiscono graziosamente ingrassando il loro intoccabile sacro profitto. Chi non produce non merita aiuti statali (“Sussidistan”, lo chiama Bonomi, che invece per le aziende i soldini li vuole). A parte che se i criteri sono la produttività e il merito loro sarebbero i primi a cadere, ci si accorge che costoro stanno minando il concetto di welfare? Va bene, se non si vogliono dare soldi pubblici ai poveracci, non resta che la vecchia soluzione: prendere i soldi privati a chi ne ha evidentemente troppi.

mercoledì 25 agosto 2021

Fantastico Osho!




Il Green Pass lede la libertà!


“Tutti i cittadini devono pregare cinque volte al giorno. Se durante l’ora della preghiera verrete sorpresi in altre attività, sarete bastonati. Tutti gli uomini devono portare la barba. La lunghezza prescritta è di almeno un palmo sotto il mento. Se non vi conformerete a questa disposizione, sarete bastonati. 

Tutti i ragazzi devono portare il turbante. Gli scolari delle scuole elementari porteranno il turbante nero, quelli delle scuole superiori bianco. Tutti gli studenti devono indossare abiti islamici. Le camicie devono essere abbottonate sino al collo. 

È proibito cantare. È proibito danzare. È proibito giocare a carte, giocare a scacchi, giocare d’azzardo e far volare gli aquiloni. È proibito scrivere libri, guardare film e dipingere. Se tenete in casa dei parrocchetti, sarete bastonati e i vostri uccelli verranno uccisi. 

Se rubate, vi sarà tagliata la mano al polso. Se tornate a rubare vi sarà tagliato il piede. Se non siete musulmani, non dovete praticare la vostra religione in luoghi dove potete essere visti da musulmani. 

Se disubbidite, sarete bastonati e imprigionati. Se verrete sorpresi a convertire un musulmano alla vostra fede, sarete giustiziati.

Donne, attenzione: dovete stare dentro casa a qualsiasi ora del giorno. Non è decoroso per una donna vagare oziosamente per le strade. Se uscite, dovete essere accompagnate da un mahram, un parente di sesso maschile. 

La donna che verrà sorpresa da sola per la strada sarà bastonata e rispedita a casa. Non dovete mostrare il volto in nessuna circostanza. Quando uscite, dovete indossare il burqa. Altrimenti verrete duramente percosse. Sono proibiti i cosmetici. Sono proibiti i gioielli. 

Non dovete indossare abiti attraenti. Non dovete parlare se non per rispondere. Non dovete guardare negli occhi gli uomini. Non dovete ridere in pubblico. In caso contrario verrete bastonate.

I colori del giorno lentamente si sciolsero nel grigio e le cime delle montagne lontane divennero sagome confuse di giganti accovacciati.”

Per capire e aver dubbi

 

Kabul e il baco dell’Occidente
NEL “MEDIOEVO SOSTENIBILE” DEGLI “STUDENTI DEL CORANO” NON C’ERA CORRUZIONE E NESSUNO VOLEVA FUGGIRE, COME MI RACCONTÒ STRADA. IL MODERNISMO INTERNAZIONALE NON HA MAI ATTECCHITO
di Massimo Fini
“Un liberale che pretende che tutti siano liberali, non è un liberale: è un fascista.” (Il Ribelle dalla A alla Z)
Agli illustri colleghi che si occupano dell’Afghanistan descrivendo in coro i vincitori talebani come la feccia della Terra vorrei fare una domanda semplice semplice. Abbiamo visto tutti le scomposte fughe di massa di migliaia di afghani che accerchiano l’aeroporto di Kabul, disposti a calpestarsi l’un l’altro pur di raggiungere un qualsiasi luogo che non sia in Afghanistan. Bene. Quando nel 1996 dopo aver sconfitto i “signori della guerra” il Mullah Omar, che mi pare fosse un talebano, prese il potere a Kabul, non ci furono “fughe di massa” (né di frange della popolazione) né ci furono durante i 6 anni in cui governò il Paese. Allora che cos’è cambiato in questi 20 anni? Gli illustri colleghi dovrebbero porsi qualche domanda e darci una risposta.
La disfatta degli occidentali in Afghanistan non è vergognosa in sé – le guerre si possono anche perdere – ma per quello che abbiamo fatto, o non abbiamo fatto, nei 20 anni di occupazione. Sentivo l’altro giorno a Sky Tg24 Economia Cottarelli e altri pregevoli economisti affermare, senza porsi a loro volta qualche domanda, che l’Afghanistan, già povero, lo è più oggi di 20 anni fa. Ma com’è possibile, visto che gli Usa vi hanno riversato 2.300 miliardi di dollari? Dove è andato quel fiume di denaro? È finito nelle tasche di quanti hanno accettato di collaborare con noi, che magari ora sono proprio quelli che fuggono terrorizzati, è finito nella corruzione di governo, esercito, polizia, governatori provinciali, magistratura. I sovietici fecero grandi distruzioni materiali; noi, oltre a quelle, abbiamo devastato moralmente l’Afghanistan. Ashraf Ghani che ha conseguito un master alla Columbia University e non può essere minimamente sospettato di simpatie talebane, prima di diventare presidente al posto dell’ancor più corrotto Karzai, il cui fratello era uno dei massimi trafficanti di droga, disse: “Questo profluvio di dollari che ci è caduto addosso ha corrotto la nostra integrità”.
Il distico che precede questo articolo è dedicato a Mario Sechi, direttore dell’AGI, e a Emma Bonino, entrambi intervistati da Sky. Dopo aver sparato sui Talebani, si mettono sulla linea Bush-Fukuyama per cui ogni stato al mondo deve essere “democratico, basato sulla libera intrapresa e sul consumo”. Su Bonino c’è qualcosa da aggiungere. Nel 1997 era commissario Ue e chiese al governo talebano di poter visitare l’Afghanistan. I Talebani non avevano alcun dovere di accettare questa richiesta visto che la Ue non riconosceva il loro governo, invece le diedero il visto e la trattarono con gentilezza e cortesia come gli afghani, per tradizione, han sempre fatto con gli ospiti stranieri. Bonino poté visitare tutto ciò che voleva. Arrivata a Kabul entrò in un ospedale seguita da un codazzo di giornalisti, fotografi, cameramen e si diresse nel reparto femminile dove i fotografi cominciarono a fare i loro scatti e i cameramen a filmare. Arrivò il “Corpo per la promozione della virtù e la punizione del vizio”, acchiappò la Bonino e la portò al primo posto di polizia dove le spiegarono come andavano le cose da quelle parti. Del resto nemmeno in Italia è possibile fotografare o filmare i degenti senza il loro consenso oltre a quello della Direzione dell’ospedale. Per un reato di questo genere allora in Afghanistan era prevista la fustigazione con “le verghe sacre”, invece la rilasciarono dopo due ore. Avrebbero fatto meglio a fustigarla. Con “le verghe sacre”, naturalmente. Forse avrebbe capito ciò che, da buona radicale occidentale, non ha mai capito: che anche la sensibilità e i costumi degli altri meritano rispetto. Invece Bonino, rientrata a Bruxelles, ottenne che la Ue tagliasse i fondi umanitari per l’Afghanistan. Più o meno è quanto si sta facendo adesso congelando i beni afghani, oggi talebani, all’estero, il che non aiuterà certamente la popolazione e indurrà i talebani a indurirsi.
Adesso, dopo un lungo soggiorno in Gran Bretagna e a Parigi, spunta Ahmad Massoud, figlio del più celebre Ahmad Shah Massoud, il “Leone del Panshir”. E anche su questo personaggio, molto ammirato in Occidente, bisogna dire alcune cose chiare. È stato Massoud a dare inizio alla tragedia dell’Afghanistan post sovietico. Finito il regime sovietico occupò Kabul che fu immediatamente circondata dagli uomini di Hekmatyar, suo storico nemico. Fu l’inizio del conflitto civile fra i “signori della guerra”, cui si aggiunsero Dostum e Ismail Khan (forse il migliore del gruppo) che fecero dell’Afghanistan terra di stupri, violenze e ogni sorta di abusi sulla povera gente. Fu questo a dare la spinta al movimento talebano guidato dal Mullah Omar che sconfisse i “signori della guerra” ricacciando Massoud nel Panshir, Dostum in Uzbekistan, Hekmatyar e Ismail Khan in Iran, ponendo fine alla guerra civile e portando la pace e l’ordine. Mi ha raccontato Gino Strada, che ha un po’ più di autorità di me visto che nell’Afghanistan talebano ci ha vissuto: “Non c’era criminalità. Assolutamente. Si poteva girare tranquilli, anche di notte. Gli afghani dovevano rispettare certe regole. C’era la seccatura del ‘Corpo per la promozione della virtù e la punizione del vizio’ che li fermava se non avevano la barba della giusta misura, li ammoniva o gli gridava dietro. Qualche volta volavano anche delle botte. Ma era raro… Non grandi cose. Con l’ospedale ho avuto qualche problema all’inizio, quando lo stavamo costruendo. Venne da me il viceministro della Sanità, Stahikzai, che apparteneva a una delle migliori famiglie di Kandahar, un uomo colto, distinto, amabile. Perché gli afghani sono strana gente, possono essere molto signorili o invece rozzissimi, tipi che si scaccolano o si puliscono i piedi davanti a te, non per scortesia o disprezzo, perché sono abituati così. Beh Stahikzai mi dice: ‘Qui ci vuole un blocco solo per le donne e anche il personale deve essere tutto femminile, medici compresi’. ‘Ma come facciamo se medici donne non ce ne sono o sono pochissime?’. Dopo un po’ di tira e molla ci accordammo e da allora abbiamo potuto lavorare regolarmente. Il 40% del nostro personale femminile era afghano”. (Il Mullah Omar, p.35).
Sul Mullah Omar gli americani avevano messo una taglia di 25 milioni di dollari. Con una simile cifra da quelle parti si compra tutto l’Afghanistan e anche un po’ di Pakistan. Ma in quindici anni non si è trovato nessuno che abbia tradito Omar. Anche questo è l’Afghanistan, così diverso da noi. In Italia ci si vende per mille euro e anche meno.
Il Mullah Omar non era, prima che lo attaccassimo, antioccidentale, ma aoccidentale. Voleva conservare le tradizioni del suo Paese senza disdegnare però alcune conquiste della nostra cultura, soprattutto nel campo della medicina e dei trasporti, che in Afghanistan hanno molta importanza. Propugnava cioè un “medioevo sostenibile” in contrasto col nostro modernismo insostenibile che ci sta portando al fosso. Preferisco il Medioevo.

Su Charlie

 

Charlie Watts il motore degli Stones
Suonava il rock e amava il jazz È morto a 80 anni il batterista con le “pietre rotolanti” dagli inizi
di Gino Castaldo
Addio caro, elegante, riservato batterista della band più scatenata del mondo, il signore compassato che sembrava già maturo per non dire anziano quando gli altri ancora sgambettavano come giovani monelli, che sembrava capitato quasi per caso in quella gabbia di matti, lui che ha generato una brillante contraddizione in un mondo di batteristi rock in genere considerati dei duri “picchiatori”, come li definiva Keith Richards, lui che veniva dal blues e dal jazz e ha mantenuto questa fede fino alla fine, lui che insieme al bassista Bill Wyman, finché è rimasto, manteneva l’aplomb della compostezza mentre Jagger, Richards e Ron Wood si scatenavano demoniaci, cattivi ragazzi per vocazione e maschera artistica.
Charlie Watts aveva da poco compiuto 80 anni, e aveva già annunciato che non avrebbe partecipato al prossimo tour del gruppo a causa, ha detto con somma ironia, di una erronea scelta di tempo per un intervento chirurgico, non stava bene, aveva bisogno di riposo, poi ieri la morte, “pacifica” secondo il comunicato ufficiale. Con la sua scomparsa si infrange quell’aura di highlander che circonda da sempre la band, sopravvissuta a decenni di stravizi e stravaganze, lui che c’era fin dall’inizio, dal 1963, nel nucleo originario con Wyman, Jagger, Richards e Brian Jones. Quest’ultimo l’unico dei fondatori che era già scomparso, atrocemente presto, nel 1969, quando il mondo stava appena imparando a celebrare la bellezza furiosa e irriverente di quella nuova gioventù, proprio quando gli altri Stones, o meglio i due veri boss, i glimmer twins Jagger/Richards, il loro ex amico Brian, come si è scoperto in seguito, l’avevano già fatto fuori, lasciando una sgradevole ombra su tutta la storia successiva. Watts dava sempre l’impressione di essere del tutto indifferente a quanto avveniva sul palco, faceva il suo dovere, benissimo, teneva il tempo, che non è poco, e lo faceva alla sua maniera, senza mai picchiare, per l’appunto, piuttosto mantenendo un suo lievissimo ritardo, alla maniera jazz, il che secondo molti analisti è in fin dei conti l’ingrediente segreto del sound degli Stones, quello che unito al battito più regolare del basso di Bill Wyman e alla chitarra ruggente di Richards determinava l’inconfondibile lieve slittamento sul tempo che ha fissato tanti pezzi del repertorio Stones. Una batteria che irrompeva quando era il momento di Let’s spend the night together , era il sostegno indispensabile alla voce di Mick
quando doveva cantare l’insoddisfazione di Satisfaction , era la rullata sfacciata e senza appello di Get off of my cloud , era la cupezza dei tamburi che fissavano di nero la porta di
Paint it, black , era quel sottile movimento tellurico di Brown sugar , la chiamata alle armi di Miss you e
Start me up . Lui c’era, c’è sempre stato, ma alla sua maniera, tutti lo sapevano, lo rispettavano per quello che era, col suo distacco, e nel suo tempo libero continuava a coltivare la sua passione per il jazz, incideva dischi, faceva tour per conto suo, ma alla bisogna serrava le fila coi vecchi compagni di strada creando quell’effetto di straniamento che era il marchio inconfondibile dei concerti Rolling Stones, come se ci fossero due piani scenici paralleli, un fronte avanzato con l’incontenibile Jagger e i due fiancheggiatori alla chitarra, Richards e Wood, e un secondo piano più arretrato e freddo, con basso e batteria più controllati, almeno nelle movenze, come se fossero gli operai della macchina, quelli che reggevano tutta la baracca, ma non sentivano alcun bisogno di mettersi in mostra, lasciando la scena ai più vanitosi ed esibizonisti compagni di band.
Questo era Charlie Watts, un batterista distinto ed elegante, per nulla vanaglorioso, anzi discreto, raffinato, capace di lasciare un segno fondamentale nel rock senza mai esagerare, senza un colpo di troppo, e lo ha fatto militando nella band che ha creato lo slogan più malizioso di sempre: sesso, droga e rock’n’roll. Forse lui avrebbe preferito qualcosa di più sobrio, guardava i suoi amici fare pazzie e sberleffi senza battere ciglio. Lui aveva una missione serissima da perseguire: doveva tenere il tempo, e il tempo nella vita è tutto.

Grande don Giulio....sull'Amaca!

 

L’amaca
Guardando il mare
di Michele Serra
Nessuno possiede verità assolute, le religioni sono solo «acquisizioni provvisorie», la spiritualità ha forme differenti e tutte rispettabili. Lo dice il parroco di Bonassola, don Giulio, e un parroco così, se lo avessi incontrato da ragazzino, forse mi avrebbe aiutato a fare più velocemente il lungo giro che mi ha reso attivamente ateo già a quindici anni (in opposizione alla pazzesca fola della “verità rivelata”), poi indifferente, infine devoto e grato a terra e cielo perché a qualcuno, o a qualcosa, bisognerà pure indirizzare la propria preghiera quotidiana.
Sono i don Giulio (ce ne sono, immagino, in ogni religione, in ogni cultura) il rimedio alla barbarie integralista, quella talebana che è agli onori della cronaca, le altre che sono solo “in sonno”, dopo secoli di oppressione attivamente esercitata, e comunque progettano muri, persecuzioni, guerre, anatemi. È così facile: ovunque nel mondo ci sono esseri umani che pregano, perché cercano un legame profondo con il mondo e con la vita.
Su questo bisogno antico qualcuno ha costruito potere, esclusione, punizione.
Ne verremo fuori lungo i millenni, diventeremo più pietosi e più intelligenti oppure spariremo, è l’evoluzione.
Nel frattempo, siccome ci nutriamo anche di dettagli, mi colpisce che a dirla giusta sia proprio il parroco di Bonassola.
Bonassola è un posto così bello (così semplice, così assorto, così ligure ante-turismo) che non aveva nessun bisogno di avere un parroco così bravo.
Oppure, viceversa: è proprio nei posti come Bonassola che può nascere, guardando il mare, l’idea che religione non vuole dire dogma, vuol dire guardare il mare.

martedì 24 agosto 2021

Addio al Tempo!




Che dire dinnanzi a questa dipartita? Charlie era il tempo, il tempo del Rock. Ora entra nel Tempio, del Rock. 
Grazie infinite Charlie!

Ottimo Scanzi!



Di Andrea Scanzi

Ah, i talebani no-vax. Che spettacolo impagabile.

Quasi sempre ignoranti come capre e verbalmente violenti come pochi, si sono laureati alla Sorbona della Fake News. Si rincoglioniscono da mane a sera in Rete, convinti che quel loro compulsare a caso significhi “informarsi”.

Non sanno nulla di scienza e medicina, eppure parlano. Anzi pontificano. E danno pure torto a virologi e scienziati, dall’alto di un verosimile stocazzo.

Usano una grammatica da galera, prendono le “h” dal fustino del Dixan e fanno il bagno con le maiuscole sparate in ogni dove per dare peso al loro niente.

Mangiano di tutto e non sanno le schifezze che ingurgitano. Bevono di tutto e non sanno le schifezze che ingurgitano. Però, sul vaccino anti Covid, fanno gli schizzinosi di questa fava.

Vedono complotti ovunque, quando l’unico complotto realmente esistente se lo son purtroppo fatti da solo: sabotandosi dalle fondamenta il cervello.

Si sentono limitati e minati nelle libertà quotidiane, e neanche si rendono conto che con le loro scelte scellerate intasano i centri di rianimazione, mettono a repentaglio la ripresa del sistema scolastico e più in generale mettono a rischio la vita intera della collettività di cui fanno parte. Orrendamente egoisti come nessuno.

Si intendono di politica come giletti di morale, per questo come punti di riferimento hanno cazzari verdi, fascisti veri, attori falliti, cantanti ipotetici e critici d’arte scorreggioni. Il meglio del meglio, proprio.

Sono tracciati dalla mattina alla sera (come tutti). Sono in mano alle multinazionali dalla mattina alla sera (come tutti). Non si ribellano mai di fronte a nulla: diseguaglianze sociali, evasione fiscale, politici impresentabili. Niente. Però, sul vaccino e sul green pass, scendono in piazza e frignano come viti tagliate, neanche gli avessero ordinato di depilarsi il glande con la falce fienaia.

Feroci sui social e Don Abbondio nella vita reale, spavaldi in branco e pavidissimi da soli, straparlano di libertà violate e “dittature” sanitarie, fingendo di non sapere che in una dittatura vera - molli e pavidi come sono - durerebbero meno di un gatto in tangenziale.

Di colpe e tragedie ne avevamo già tante, in Italia e non solo in Italia, ma beccarsi pure questa conventicola novax complottista negazionista fasciomelonista eccetera, mi pare un ulteriore atto di sadismo estremo che proprio non meritavamo.

Bono Bono Bonomi!

 


Già la location dell'esternazione dice tutto: il conclave ciellino, ovvero come testicolare la verità in ambito mangereccio come la Compagnia delle Opere insegna da lungo tempo; ma sopra di ogni altra pusillanimità resta agghiacciante che il conducator di lor signori si permetta di blaterare ed insegnare attraverso un ragionamento spudoratamente di parte. 

Nessuno si fosse alzato nella giara del cattoli-ciellinismo per domandare al sontuoso rappresentante della nobiltà industriale chi potrebbero essere, secondo lui, i maggiori evasori dell'attuale ed ignobile sistema fiscale italico. "Carletto dai, prima di proferir melense esternazioni, illuminaci: secondo te da quale spelonca della nostra vituperata economia provengono i ribaldi che non partecipano alle spese dello stato, costringendo i coglioni ai quali i balzelli si prelevano alla fonte, a pagare anche per loro? Carletto che dici se pensassimo che vi siano molti evasori tra i tuoi iscritti?" 

Invece nulla di nulla. E Carletto ha spocchiosamente attaccato il decreto ancora in grembo al Dragone che punirebbe, molto borotalcamente, i nostri gran visir industriali che pur di ammassare maggiori granaglie nei loro abnormi forzieri, delocalizzerebbero la produzione in paesi canaglia, provocando licenziamenti e sciagure economiche in una moltitudine di famiglie nostrane. 

Giammai ha sproloquiato Carletto! Non ci pensate neppure lontanamente ad attaccare gli eroici, secondo lui, imprenditori! 

Questa è l'Italia oggi e la location ne ha perfezionato il messaggio: "noi siam noi, e voi nun siete un cazzo!"  

    

Per tifosi doc

 


venerdì 20 agosto 2021

Compendio illuminato

 La guerra piace ai politici che non la conoscono. Che votano perché l’Italia invada l’Afghanistan, senza essere in grado di piazzare l’Afghanistan su una piantina muta del pianeta. La guerra piace a chi ha interessi economici, che se ne sta ben distante dai teatri di guerra. Chi invece la conosce si fa un’idea molto presto. Io che non sono tanto furbo ci ho messo qualche anno a capire che non importa perché c’è una guerra. Non importa se la si chiama guerra contro il terrorismo, guerra per la democrazia, per i diritti umani. Guerra per questo, per quello, per quello. Ogni guerra ha una costante: il 90% delle vittime sono civili, sono persone che non hanno mai imbracciato un fucile. Sono persone che molto spesso non sanno neanche perché gli scoppia una mina sotto i piedi o gli arriva in testa una bomba. Le guerre vengono dichiarate dai ricchi e dai potenti, che poi ci mandano a morire i figli dei poveri. Questa è la realtà. 

(Gino Strada, Festa della Scienza e filosofia, 2018)

Arieccolo!

 


giovedì 19 agosto 2021

Checcèdinuovo

 Un gran parlare attorno all'Afghanistan, non c'è che dire: Santanché, Maglie, Chirico, il Minzo, OllioLudwag tenebroso, ma nessuno che ricordi le cifre, spaventose, da farci vergognare dinnanzi a tutto l'Universo: abbiamo buttato via, come umanità, qualcosa come duemila miliardi in vent'anni! Duemila miliardi di dollari per sterminare decine di migliaia di persone, di esseri umani uguali in tutto a noi, anche biologicamente parlando. Denari che hanno ingrassato i mefitici rivoli degli armaioli, i signori di noi stessi, capaci di influenzare e trasformare, addirittura, il significato di "PACE". 

Gino Strada nella sua fantastica vita lo ha sempre cercato di spiegare: non si può cercare la pace facendo la guerra, ops! le famigerate "missioni umanitarie" (di 'sta fava! perdonate il francesismo), ma annichiliti come siamo, alla mercé di lor ribaldi, intontiti e proseliti di quel "allocchismo" imperante nella società odierna, siamo portati a bere tutto, ad ingurgitare misture socialmente indegne. 

Certo, i talebani non sono profeti di civiltà, questo è indubbio! Ma ci sono domande, quesiti, senza alcuna risposta, apparente: chi li finanzia? come han fatto a riarmarsi? sapete che l'Afghanistan è terra ricchissima di materie prime? e i 6,6 miliardi del traffico di eroina? 

Comanda sempre più il denaro e conseguenzialmente il potere che scaturisce dall'averne tanto. In ogni circostanza, in ogni conflitto, in ogni barbarie il lucro, il denaro, il potere la fanno da padroni. 

Occorrerebbe che ognuno di noi si chiudesse nella propria camera, al buio e riflettesse su quante vite d'infanzia sono state distrutte dall'ignobile desiderio di guerreggiare per produrre costi immani che ritornano nei forzieri di "lor ribaldi".

Non ho figli, ma gioisco nel vedere un bimbo felice. Essere cosciente che nel mondo centinaia di fanciulli trascorrono la loro vita immersi nel dolore, nel dramma, nella sofferenza, rende questo tempo, simile ai tanti delle ere precedenti: motivo di vergogna infinita e corresponsabilità eclatante.   

Rinvigorito

 



Daniela e il Dragone

 

Sull’Afghanistan Draghi parla in stile Paolo Fox
di Daniela Ranieri
Nel giorno della prima conferenza stampa dei talebani dopo la presa del potere è passata un po’ sotto silenzio la prima intervista assoluta di Mario Draghi, rientrato da Città della Pieve a Palazzo Chigi per conferire in esclusiva col Tg1. Invidiamo chi non l’ha vista perché può vederla per la prima volta. Intervistatore: “Presidente, c’è apprensione per i nostri connazionali ancora in Afghanistan: che messaggio rivolge a loro?”.

Draghi, che risponde da una scrivania completamente vuota se non fosse per un telefono bianco tipo Sirio della Sip, non ha chiaramente niente da dire ai nostri connazionali, e infatti dice compassato: “L’Italia ha perso 54 soldati e ha circa 700 feriti: alle loro famiglie voglio dire che il loro sacrificio non è stato vano (ah, no?, ndr), hanno difeso i valori per cui erano stati inviati (i famosi nostri valori: la sudditanza agli Usa e la devozione mercatista, ndr), hanno fatto del bene (bilancio di 20 anni di guerra del Bene: più di 47 mila civili afghani morti, ndr), per me loro sono eroi”. Abbiamo un titolo: il giorno dopo i giornali avranno di che scrivere, oltre al fatto che Di Maio è al mare in Salento (ma in serata è rientrato, dopo aver disposto i rimpatri dei connazionali: mannaggia. Però si può sempre alludere al fatto che il Salento è meno chic dell’Umbria). L’eloquio di Draghi, in questa specie di intervista-comunicato plastificata e con domande telefonatissime, smarmella il contenuto del discorsetto. “La prima cosa da fare è riflettere”, dice. Non è chiaro chi debba riflettere, né quando. Forse noi, a cena. Intanto Palazzo Chigi di pomeriggio, col sole d’agosto che si riversa sulla scrivania desolata, è un non-luogo: pare il reparto truciolati di un Bricofer. “Cosa deve fare la comunità internazionale per scongiurare una nuova escalation terroristica?”, chiede l’inviato con deferenza; e qui si spera che il presidente risponda che la peggiore escalation terroristica l’abbiamo avuta a guerra in corso, e che quindi prima toglievamo le tende e meglio era, fermo restando che non siamo stati nemmeno capaci di farlo in modo strategico e dignitoso; invece: “A fine mese ci sarà un G20 dedicato alle donne a Santa Margherita Ligure”. Accipicchia, l’artiglieria pesante. Le domande si fanno sfidanti: “L’Europa sarà all’altezza?”. Risposta di Draghi, inaudita e dirompente: “Sì, lo sarà”. Capite? Non “no”, non “speriamo”, e nemmeno “così e così”: “Sì, lo sarà”. Aggiunge: “Abbiamo parlato con la cancelliera Merkel… Siamo d’accordo che la cooperazione è assolutamente necessaria”. Non “necessaria”: assolutamente necessaria. Come bere molta acqua con questa calura. 

Poi “accoglienza, sicurezza”, ma soprattutto “diritti delle donne”. (Gliel’hanno detto che nel suo esecutivo c’è uno che prende soldi da un fondo collegato alla famiglia reale saudita, il cui delfino è accusato dalla Cia di aver fatto ammazzare un giornalista? E che costui prendendo soldi è arrivato a definire la sistematica distruzione dei diritti sociali, civili e delle donne in Arabia Saudita un nuovo Rinascimento? A proposito: Matteo Renzi, che ogni giorno cerca di sopravviversi come può, dopo aver mobilitato le truppe socialare contro Di Maio che era in spiaggia, ci ha tenuto a informare il popolo di quanto segue: “Sono rientrato in ufficio, al #Senato, a Roma per sottolineare la gravità di questo momento”. In effetti, la sua presenza aggrava il momento. Chissà lo spavento dei leader talebani. A ogni modo un bel gesto, da parte di uno che in Senato ha normalmente il 41% di presenze. Postato il video, il tempo di risolvere il problema dei diritti delle donne afghane, si è teletrasportato in Versilia a presentare il suo libro).
Purtroppo l’intervista (ripetiamo: la prima di Draghi di sempre) nel finale assume toni escatologici, tipo previsioni di Paolo Fox: “È un piano complesso, che richiede una cooperazione tra i Paesi; dovremo prevenire infiltrazioni terroristiche”, e rivela che Draghi è certamente persona perbene (non è scontato: ci sono state al suo posto anche persone non perbene), ma oltre a ciò, in generale, tenendo conto anche degli altri fondamentali interventi sul tema (Carfagna e Zanda su Repubblica: mancano solo Tajani e Lollobrigida), non è detto che tacere non sia più onorevole. In certe congiunture storiche è chiarissimo come gli uomini e le donne di potere, gli apparati, le truppe, le diplomazie e gli osservatori non siano per niente all’altezza della situazione. La realtà è spesso tragica, violenta, complessa; chi comanda, e nel disbrigo degli affari correnti è moderatamente inadeguato, in questi momenti può apparire ridicolo, pomposo o inetto. Davanti ai fatti dell’Afghanistan che in grandissima parte l’Occidente ha storicamente contribuito a determinare, i nostri leader si mostrano fermi, circonfusi di democrazia, risoluti: sono o non sono i rappresentanti di una delle più belle colonie vacanziere e militari dell’Impero del Bene?