mercoledì 20 marzo 2019

Splendido Arminio!


mercoledì 20/03/2019

Incapaci di ribellioni, ci restano i funerali


di Franco Arminio


Al mio paese oggi c’è il vento che ti soffia pure nella testa, istiga i nervi, ti sbatte contro la tua carne, ti fa nemico di te stesso. Siamo qui per il funerale affollatissimo di un ex vigile urbano molto stimato.

Una bella occasione per guardare tutti assieme gli abitanti. Ho visto come sono, come siamo. Credo di aver capito. Non è più popolo, non sono poveri e non sono ricchi, non sono buoni e non sono cattivi. Non contano le caratteristiche singole. Parlo della pasta di cui siamo fatti. Non mi interessa pesare le differenze.

Oggi non vedo differenze, ma un corpo unico, il corpo dell’uomo intermedio. Non è un eroe, non si farebbe bruciare per difendere le sue verità. Non morirebbe per mettere una bomba. Non è terrorizzato dal riscaldamento globale. Ha una vaga idea di Dio, come di un vecchio mal di denti. Non contano tanto neppure gli anni passati. Sembrano tutti dentro un quarantesimo anno sterminato. Più che le facce, ho notato giubbini scadenti. Le nuvole erano grigie, erano fatte col grigio dei capelli che il vento portava in alto. Non c’era un’aria drammatica e neppure lieta. Ognuno tornava a casa, ognuno convinto che lo spazio esterno oggi era necessario attraversarlo per andare al funerale. Non ci sono molti motivi per uscire. Non sei convocato dagli angeli e neppure dai demoni.

I ragazzi che stasera si ubriacheranno non sono tanto diversi dai padri che faranno la cena con la televisione e la famiglia reumatica. Le facce hanno tutte lo stesso sapore di chi non ha mete collettive da perseguire. E quelle individuali vengono perseguite con poca convinzione, giusto perché non si sa che altro fare. Una nuova macchina la puoi pure prendere, oppure un nuovo telefonino, ma sono cose che non scintillano nella mente degli altri: tutti sanno che possono impressionare un poco gli altri solo con la propria morte. Tutti sono abbastanza affaticati e annoiati e tutti hanno il sapore della morte in fondo alla gola. Il cibo non serve a nutrire, ma a dimenticare la morte. In questi mesi al paese sono morti una decina di maschi che non erano vecchi. La morte ha fatto un’ispezione nella mezza età e ha deciso di punire chi non era in regola. Chi rimane non lo dice, ma si sente braccato. Il prossimo potrei essere io. Nei prossimi anni non si intravede nessuna rivoluzione, ma solo altri decessi.

Le persone che stamattina escono dalla chiesa non sono nemici da combattere, ma non sono neppure alleati. Li puoi trovare a cena, verranno volentieri al tuo funerale, ma non aspettarti molto di più. Non sono egoisti e neppure solidali. Non hanno Dio sotto le unghie, nessuno di loro studia da tiranno. Non sono persone da condannare, non sono pericoli. È gente che tira ad allungare la sua vita e non importa se è un poco ammaccata e non ha niente di luccicante. Non c’è vigliaccheria, diserzione dalla storia. Semplicemente la manutenzione della propria giornata è diventato un compito molto faticoso.

Invecchiare con lentezza, questo è il traguardo prevalente. L’uomo appenninico del terzo millennio somiglia all’uomo delle pianure tedesche o americane. È solo appena un poco più povero, ma la sostanza è la stessa, stesse le mete e i compiti. Non c’è più il contadino dei riti magici e non c’è il brigante.

Io stamattina vedevo nelle facce il sollievo di aver dato le condoglianze dopo una lunga fila. Il compito risolto è come stringere un bullone allentato. Il resto della giornata può proseguire con faccende comunque piccole. Ognuno le sue, nessuno che possa interferire, che possa richiederti coerenza e rigore: già c’è l’affanno a giustificare ogni vita. La rivoluzione qui nelle retrovie non si è mai fatta e ora non si fa neppure nelle grandi città: l’utopia ha perso i denti e non interessa neppure ai ragazzi. Basta consumare qualcosa contro la noia, giusto per avere qualcosa da fare. Neppure la merce è un mito. Bisogna aggiornare continuamente il giudizio: appena cogli un difetto, ecco che non lo trovi più, il difetto si è spostato da un’altra parte. E poi devi allenarti anche a cogliere una tiepida bontà, perfino qualche piccolo fervore provvisorio.

Le persone che stamattina escono dalla chiesa non hanno opportunismi feroci, hanno furbizie di piccola taglia, non godono di privilegi clamorosi. Non ci puoi fare la rivoluzione, ma meritano rispetto, non ha senso essere irriverenti con loro, non ha senso fustigarli. Prima o poi dovrai andare al loro funerale e loro verrano al tuo. Non è un mondo nuovo e neppure un mondo vecchio, è quello che diventiamo tutti ogni giorno semplicemente perché non riusciamo a diventare altro.

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