Ci sono momenti in cui mi pervade un disagio del tipo “forse sto esagerando, forse vedo malvagità ovunque perché qualcosa sta cambiando in me, tipo le credenze che nessuno parrebbe condividere. Vuoi vedere che in fondo in fondo la stampa infima, prona e pagliaccia, gli allocchi, gli evidenziatori di ramoscelli con la trave negli occhi, la convinzione che molti siano stati presi per lustri per il culo senza accorgersene, la manipolazione culturale, Ruby, i genitori ai domiciliari trasformati in vittime per presentare un libro, le tangenti alla mafia, i programmi tv stordenti per ammutolire le masse, vuoi vedere che sono tutte fregnacce e che tra non molto comincerò a parlare di strisce chimiche, di terra piatta e a non mangiare più uova?“
Poi per fortuna arriva lui...
sabato 23/03/2019
Un nemico del popolo
di Marco Travaglio
“Ache ti serve avere ragione se non hai il potere? A che ti serve la verità se il popolo non la vuole?”. “Il popolo non ha bisogno di idee nuove, semmai ha bisogno di idee che ha già”. “Siamo tutti d’accordo che, sulla faccia della terra, gli imbecilli costituiscono la maggioranza”. Sono i dialoghi paradossali e provocatori di Un nemico del popolo di Henrik Ibsen, portato in scena in questi giorni al teatro Argentina di Roma da Massimo Popolizio, nei panni del dottor Stockmann, con Maria Paiato in quelli maschili del di lui fratello, sindaco corrotto di un piccolo centro termale della Norvegia. La pièce è del 1882, ma potrebbe essere di stamane, se oggi esistessero drammaturghi di quel rango. Stockmann, medico delle terme che reggono l’economia locale, scopre che le acque “curative” sono un focolaio d’infezione, inquinato dai liquami delle concerie del suocero. E, analisi chimiche alla mano, informa il giornale cittadino, La Voce del Popolo, perché lanci l’allarme, e il fratello sindaco, perché chiuda l’impianto per tre anni e avvii i lavori per la bonifica e per le nuove condutture. Ma il sindaco mette tutto a tacere, per non perdere i soldi dei turisti. Con la complicità del giornale, edito dal capo dei costruttori e benpensanti (“mi agito per la temperanza”) e diretto da un suo degno servo, ovviamente cultore della “libera stampa”. I tre occultano le analisi, tappano la bocca al “nemico del popolo” e gli montano contro l’“opinione pubblica” con una campagna di stampa e propaganda di calunnie e slogan a presa rapida: lo “sviluppo”, il “lavoro”, il “ceto medio” e la riduzione delle tasse (“noi non mettiamo le mani nelle tasche dei cittadini”). E tanti saluti all’ambiente, alla salute e alla scienza.
Mancano soltanto il “Partito del Pil”, il “ce lo chiede l’Europa”, lo “Sblocca-cantieri”, la marcia delle “madamine”, le fantomatiche “controanalisi costi-benefici” per smentire i prof allarmisti alla Ponti, ed ecco servita con 137 anni d’anticipo la tragicomica campagna pro Tav degli ultimi mesi. Sulle terme inquinate di Ibsen come sul mega-buco inquinante in Val Susa, la “maggioranza” è assolutamente digiuna. Attende lumi dalla politica, dalla stampa e dalla scienza (“Perché dovrei votare anch’io che non so niente e non ci capisco niente?”). Ma, se la politica è corrotta, la stampa asservita e la scienza tacitata, l’opinione pubblica diventa “una massa di organismi in forma umana” pronti a tutto, anche a benedire chi li avvelena e a maledire chi vuole salvarli. Così vince l’omertà, opportunamente propiziata con amorevoli consigli (“sappiamo dove abiti”, “te la diamo noi la medicina…”).
l caso ha voluto che la prima nazionale di questa satira feroce sulle degenerazioni della democrazia andasse in scena proprio a Roma mercoledì, poco dopo l’arresto del presidente dell’Assemblea capitolina. Dunque, in sala, oltre a tutti i rimandi che il profeta Ibsen lancia a un’attualità che non può conoscere (la guerra delle opposte fake news, il caso Ilva, il Tav e le grandi opere dell’alta voracità), il pensiero correva spesso a quel che accade tra Campidoglio, Procura e redazioni dei giornali.
Abbiamo già segnalato l’immonda campagna contro la sindaca Raggi, sempre uscita pulita anzi estranea da ogni inchiesta e processo, e ritirata in ballo a sproposito dopo l’arresto del suo più acerrimo avversario; e contro l’assessore Daniele Frongia, mai accusato da nessuno di aver preso soldi o favorito chicchessia, prossimo all’archiviazione dopo che era stato iscritto mesi fa per “atto dovuto” in una vecchia indagine su storie di curricula chiesti da Parnasi, totalmente separata dal caso De Vito e dal caso stadio. Anche ieri si leggevano titoli falsi come Giuda che dovrebbero interessare l’Ordine dei giornalisti, se servisse a qualcosa. “Il cerchio si stringe sulla Raggi. Indagato pure il suo assessore”, “Anche Frongia indagato. Cade il teorema dell’unica mela marcia”, “Cade il sindaco-ombra sempre vicino a Virginia” (il Giornale dei pregiudicati Silvio e Paolo B.), “Stadio della Roma. Indagato Frongia, fedelissimo di Raggi, accusato di corruzione. L’inchiesta ha già portato in carcere De Vito” (La Stampa, che scambia la nuova inchiesta con una vecchia avviata all’archivio), “Di Maio chiama la sindaca: ‘Così danneggi il Movimento’” (ibidem: “così” come, visto che non è accusata di nulla?). “Indagato Frongia. E ora la Raggi balla davvero. Il fedelissimo della sindaca avrebbe accettato favori da Parnasi” (il manifesto: quali favori?). “Ciclone giudiziario su Raggi” (Corriere della Sera: un tale ciclone che la Raggi non deve rispondere di nulla, e lo stesso Corsera, in piccolo, precisa che per Frongia “si parla di archiviazione già lunedì”). “Frongia, fedelissimo di Raggi nella rete della corruzione”, “La giunta Raggi sotto accusa”, “La cricca grillina” (Repubblica: poi, in caratteri lillipuziani, “la Procura si appresta a chiedere l’archiviazione”), “Assessore indagato, Raggi trema”, “Ascesa e caduta di Daniele”, “Stadio, indagato Frongia” (Messaggero: non è per lo stadio, ma fa lo stesso).
Cioè: tutti sanno benissimo, e lo scrivono pure di straforo, che Frongia non ha fatto nulla, è stato iscritto mesi fa per essere sentito con la tutela dell’avvocato, nessuno lo accusa di aver preso uno spillo in soldi o favori, e i pm hanno già chiuso il suo caso, mandando altri 19 indagati al gip per il rinvio a giudizio. Ma per Frongia la regola è: i titoli separati dai fatti, ma persino dagli articoli. E alla svelta: se si attende un altro paio di giorni, poi arriva l’archiviazione e non si può più titolare sulla “caduta” dell’assessore “corrotto” e “mela marcia” della “cricca” Raggi. È così che la “libera stampa” forma ed educa la “maggioranza” e l’“opinione pubblica” contro i “nemici del popolo” nel 2019.
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