venerdì 08/03/2019
Giocondo e Pantalone
di Marco Travaglio
Ieri, durante la conferenza stampa di Giuseppe Conte sul Tav, ho capito Lorella Cuccarini. Detta così, lo ammetto, è da perizia psichiatrica. Ma cerco di spiegare questo ennesimo pensiero che non condivido. La Cuccarini ha fatto una gaffe a Otto e mezzo, dicendo che in Italia non si votava da 10 anni. E tutti l’hanno sottolineata, con quel surplus di perfidia che è riservato a chiunque passi per “sovranista” (anche Landini e Zingaretti sbagliano qualche congiuntivo, ma non sono sovranisti e dunque vengono risparmiati). Ora, è indubitabile che in Italia si voti al massimo ogni cinque anni. Ma l’impressione che ha causato la gaffe della showgirl l’abbiamo avuta in tanti: che, cioè, dopo le elezioni del 2008 vinte per la terza e ultima volta da B., i governi Monti, Letta, Renzi e Gentiloni prescindessero dal nostro voto. O lo ribaltassero. O se ne fregassero proprio di noi elettori: non tanto per i premier “non eletti” (l’elezione diretta del premier qui non esiste), ma perché rappresentavano la minoranza degli italiani (estrogenata dal premio incostituzionale del Porcellum); e perché seguivano programmi opposti a quelli che i cittadini avevano votato. Per questo, fra l’altro, il governo Conte continua a godere di tanto consenso, malgrado i tanti errori, carenze, divisioni e qualche vergogna: perché rappresenta, dopo tanti anni, la maggioranza degli italiani. E perché dà mostra di non infischiarsene degli elettori.
Salvini è il cazzaro troglodita che è: ma passa le giornate a rivolgersi direttamente alla gente, col linguaggio della gente, sui problemi della gente (anche se le sue soluzioni sono xenofobe e/o propagandistiche). I 5Stelle sono l’armata Brancaleone che sono: ma parlano a persone vere e tentano, a volte con successo altre volte con pasticci, di risolverne i problemi. Anche se il governo cadesse domani e non ci tornassero mai più, i “grillini” dovranno vergognarsi di tante cose (dal voto sulla Diciotti a quello sull’illegittima difesa). Ma potranno andare orgogliosi di averle tentate tutte per fermare il Tav e ancor di più di aver avviato il più forte investimento contro la povertà, che nel primo giorno ha portato 60 mila cittadini in difficoltà a fare compostamente domanda alle Poste e ai Caf, sperando in un futuro finalmente dignitoso (tra le risate di una “sinistra” indecente, le previsioni di assalti ai forni di una stampa manigolda e le scomuniche di una Cei vergognosa). Dall’altra parte, basta leggere l’ultima intervista del figlio di babbo Tiziano al Corriere per capire l’abisso scavato da questa jattura ambulante fra la sinistra e il popolo.
Non contento dei danni fatti all’Italia e al suo partito, ora si congratula con se stesso per aver detto no a Di Maio e – parole sue – “distrutto i 5Stelle”. Veramente, al momento, ha distrutto il Pd. Ma, a voler seguire il suo delirio, i punti persi dal M5S nei sondaggi sono finiti tutti a Salvini, mentre i dem sono fermi al 18%: dunque il suo no ha raddoppiato la Lega. Se questo era il suo nuovo, mortifero obiettivo, chapeau: missione compiuta. Cercare nell’intervista un solo accenno all’interesse nazionale, al bene dell’Italia o almeno della sinistra, è sforzo vano: la gente non è un problema suo (è lui che è un problema per la gente).
A chi parlava, invece, Conte? Appena nominato premier, suscitò l’ilarità dei fini dicitori perché si definì “avvocato del popolo”. Ieri s’è capito cosa intendeva dire: anziché rifugiarsi nei meandri tecnici dell’analisi costi-benefici sul Tav, l’ha sminuzzata in parole semplici perché tutti capissero l’“interesse nazionale” e il “bene dei cittadini”. Non si rivolgeva ai giornalisti presenti in sala (fatica sprecata), ma ai cittadini che da trent’anni sentono parlare di questa nuova Grande Muraglia o Piramide di Cheope e non hanno idea di cosa sia, a che serva, quanto costi e chi la paghi. Parlava soprattutto agli elettori leghisti e pidini, che in buona fede han creduto alle imposture dei loro leader sulla grande occasione di sviluppo dell’immondo buco. E spiegava le ragioni per cui l’enorme spreco di denaro pubblico va fermato finché si è in tempo: l’opera è vecchia e superata; non c’è traffico merci sufficiente a giustificarla; non basta scavare buchi e stendere binari per trasferire le merci da gomma a rotaia, essendo più conveniente caricare i container sui Tir anziché fare su e giù fra Tir e treni; Italia, Francia e Ue butterebbero 15-20 miliardi (con le solite lievitazioni) per perderne 7-8. Poi – parlando ai “sovranisti”, se così vogliamo chiamare chi non ha scritto “Giocondo” in fronte – Conte ha ricordato che la Francia non ha stanziato un euro per il buco; e, anche se lo stanziasse, pagherebbe la metà dell’Italia per un tunnel che insiste per i due terzi in territorio francese. Un regalino a Parigi che dobbiamo a B.&Lunardi e ai successori fino a Renzi&Delrio, giustificato col fatto che la tratta di collegamento al buco costa più ai francesi che a noi: peccato che quelli non l’abbiano né iniziata, né finanziata, né progettata. E noi chi siamo? Pantalone che paga per tutti? Al posto di Salvini, ci preoccuperemmo più del linguaggio “populista” e “sovranista” di Conte, concorrenziale al suo e diretto alla sua base, e meno dell’eventuale blocco delle gare: per la prima volta un presidente del Consiglio ha fatto capire all’inclita e al colto (categoria, quest’ultima, che esclude il salviniano medio) che a bloccare il Tav ci guadagniamo tutti, tranne una piccola cricca di affaristi. In un Paese serio, gli autori dell’analisi costi-benefici verrebbero ringraziati per averci fatto risparmiare un sacco di soldi. Invece vengono sputacchiati da giornali e politici prezzolati che, non contenti di averci portati alla bancarotta, ora la vogliono pure fraudolenta.
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