domenica 7 ottobre 2018

Nel dedalo


Sanità, malasanità, improvvisazione, inesperienza, incapacità, incomunicabilità: tutto s'incontra in un ospedale, soprattutto allorché un paziente, come mio padre, viene trasferito in un altro reparto, che appare, rispetto a quello che l'ha dimesso, come un altro pianeta parlante un'altra lingua. Non si parlano, non comunicano, non leggono la cartella clinica. Se uno entra per un problema e nel corso della degenza gl'accorre un'altra malattia, come è giusto la più grave diviene il principale motivo d'attenzione. Fin qui ci siamo. 
Ma nel caso in cui anche il primitivo motivo di ricovero riveste gravità, ecco arrivare, percepita, l'incomunicabilità, che si rende palpabile attraverso la richiesta di esami già fatti. 
S'avverte un senso di negativa percezione, quasi d'impotenza, nel vedere girare una ruota martoriata da sbalzi, da risacche, da lentezze. E dire che i reparti nella fattispecie distano tra loro si e no una trentina di metri. 
Quello che però colpisce maggiormente è il dedalo organizzativo proteso alla costruzione del nuovo nosocomio spezzino, che personalmente valuto avverrà attorno al 2045. 
Attualmente ci sono due ospedali: quello vetusto del S.Andrea e quello ripieno di scale di Sarzana. 
In tutti questi anni si è corso ad un ammodernamento dettato dall'attesa: reparti nuovi, luccicanti e costosi sono sorti come funghi, altri sono stati spostati, in una maleodorante corsa verso il nulla. 
La domanda che ho incisa sul mio corpo, frutto di una criticità è la seguente: può l'ospedale cittadino spezzino privarsi dell'urologia? 
Se nasce un problema urologico a La Spezia, occorre chiamare lo specialista da Sarzana, un intervento stimabile in una, due ore. 
Siamo nel 2018 e in queste lande siamo ridotti a questo. Lo trovo incredibile e, soprattuto, vergognoso. 

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