martedì 13 giugno 2017

Una semplice descrizione


Come guitto assetato ogniqualvolta m'inerpico e perdo nella Recherche, assaporo le facezie spirituali a volte tanto nascoste da rimanerne estasiato nell'assisterne al riaffioramento, alla loro scoperta. 
Talvolta il genio di Proust mi sconvolge, altre mi porta a formare pensieri alquanto ridanciani. 
Come ora che lo immagino febbrilmente assetato di beltà femminile e la cui caducità fisica lo porta, quasi leopardianamente ad ansimare spiritualmente della suddetta visione. Dove l'eruzione avviene può, a seconda della conformazione psicologica, sfogarsi in brividi materiali o, cosa oramai in estinzione, letterali.
Non differisce in alcun modo la reattività del colpito dal bello: sudorazioni, impulsi irrefrenabili, pagine memorabili portano allo stesso sfogo, materiale o spirituale, l'onanismo, a volte, e il diluvio di paragrafi in altri casi. Lo spirito viene colpito dal dardo della bellezza soggettiva e la reazione è personale, a seconda dell'immersione o meno nella caverna dorata ove ognuno ripone le cisterne ricolme di gioie da aprire nell'aere affinché possano trasmetterne sensazioni di quella positività costituente il sale, la colorazione del tutto. 
Prendete questo brano tratto dalla Recherche. Il Narratore sta andando a Balbec, dopo essere riuscito a disinnamorarsi di Gilberte; vede una ragazza che porta del caffellatte ai viaggiatori del treno. E descrive la scena in questo modo, fantasticamente unico ed emozionante: 


Se una creatura può essere il prodotto di un suolo di cui si assapora in lei il fascino particolare, ancor più della contadina che tanto avevo desiderato vedere apparire quando erravo, solo, dalla parte di Mèsèglise, nei boschi di Roussainville, tale doveva essere la robusta ragazza che vidi uscire da quella casa e, sul sentiero che il sole nascente illuminava di sbieco, venire verso la stazione con una giara di latte. Nella valle, a cui le alture nascondevano il resto del mondo, lei non doveva vedere mai nessuno fuorché in quei treni che si fermavano appena un istante. Passò accanto ai vagoni, offrendo caffellatte a qualche viaggiatore che si era svegliato. Imporporato dai riflessi del mattino, il suo viso era più rosa del cielo. Provai davanti a lei quel desiderio di vivere che rinasce in noi ogni volta che prendiamo di nuovo coscienza della bellezza e della felicità. Dimentichiamo sempre che esse sono individuali, e, sostituendo loro mentalmente un tipo convenzionale che formiamo facendo una specie di media fra i volti differenti che ci sono piaciuti, fra i piaceri che abbiamo conosciuto, finiamo per non avere che immagini astratte, che sono languide e insipide appunto perché prive di quel carattere di cosa nuova, diversa da ciò che abbiamo conosciuto, il carattere proprio della bellezza e della felicità. E formuliamo sulla vita un giudizio pessimistico che supponiamo giusto perché abbiamo creduto di far entrare nel calcolo la felicità e la bellezza, mentre le abbiamo omesse e sostituite con sintesi in cui di loro non c’è neanche un atomo. Così sbadiglia in anticipo di noia un letterato a cui si parli di un nuovo “bel libro”, perché immagina una specie di composto di tutti i bei libri che ha letto, mentre un libro è particolare, imprevedibile, e non è fatto della somma di tutti i capolavori precedenti, ma di qualcosa che l’avere perfettamente assimilato quella somma non basta davvero a far trovare perché è appunto fuori di essa. Appena viene a conoscenza di quella nuova opera, il letterato, scettico un momento prima, sente interesse per la realtà che essa dipinge. Allo stesso modo, estranea ai modelli di bellezza che il mio pensiero disegnava quando mi trovavo solo, la bella ragazza mi dette subito il gusto di una certa felicità (la sola forma, sempre particolare, in cui possiamo conoscere il gusto della felicità), d’una felicità che si sarebbe realizza vivendo vicino a lei. Ma anche in questo caso agiva in gran parte la cessazione momentanea dell’Abitudine. Facevo beneficiare la venditrice del latte del fatto che era il mio essere completo, capace di gustare i piaceri più vivi, a trovarsi di fronte a lei. Di solito viviamo con il nostro essere ridotto al minimo, e la maggior parte delle nostre facoltà restano addormentate, riposando sull'abitudine, che sa quel che c’è da fare e non ha bisogno di loro. Ma, in quel mattino di viaggio, l’interruzione della routine della mia esistenza, il cambiamento di luogo e d’ora, avevano reso indispensabile la loro presenza. La mia abitudine, che era sedentaria e non mattiniera, veniva meno, e tutte le mie facoltà erano accorse a sostituirla, rivaleggiando tra loro per zelo – innalzandosi tutte, come onde, a uno stesso livello inconsueto – dalla più bassa alla più nobile, dalla respirazione, dall'appetito e dalla circolazione sanguigna fino alla sensibilità e all'immaginazione. Non so se, facendomi credere che quella ragazza non era come le altre donne, il selvatico incanto di quei luoghi accrescesse il suo; lei, certo riverberava su di loro il proprio. La vita mi sarebbe sembrata deliziosa se solo avessi potuto, ora per ora, passarla con lei, accompagnarla fino al torrente, alla stalla, al treno, esserle sempre al fianco, sentirmi conosciuto da lei, con un posto nel suo pensiero. Lei mi avrebbe iniziato agli incanti della vita rustica e delle prime ore del giorno. Le feci segno di venirmi a dare del caffellatte. Avevo bisogno di essere notato da lei. Non mi vide, la chiamai. Sopra il suo gran corpo robusto, il viso era d’un colorito così dorato e roseo che pareva di vederla attraverso una vetrata illuminata. Tornò sui suoi passi, non potevo staccare gli occhi dal suo viso sempre più largo, simile a un sole che fosse possibile fissare e che si avvicinasse fino a un palmo da voi, lasciandosi guardare da vicino, abbagliandovi d’oro e di rosso. Posò su di me il suo sguardo penetrante, ma già gli addetti chiudevano gli sportelli, il treno si mise in moto; la vidi lasciare la stazione e riprendere il sentiero, ormai era pieno giorno: mi allontanavo dall'aurora. Sia che la mia esaltazione fosse suscitata dalla ragazza, o al contrario avesse in gran parte causato il piacere che avevo provato a trovarmi vicino a lei, la ragazza vi era unita così intimamente che il mio desiderio di rivederla era prima di tutto un desiderio morale di non lasciar perire interamente quello stato di eccitazione, di non venire separato per sempre dall'essere che vi aveva anche a sua insaputa partecipato. Perché non solo quello stato era gradevole: soprattutto (come la tensione più grande di una corda o la vibrazione più rapida di un nervo produce una sonorità o un colore diverso) dava un’altra tonalità a ciò che vedevo, mi introduceva come attore in un universo sconosciuto e infinitamente più interessante; quella bella ragazza, che ancora scorgevo mentre il treno accelerava l’andatura, era come una parte di una vita diversa da quella che conoscevo, da cui la separava un bordo, e in cui le sensazioni che gli oggetti destavano non erano più le medesime; e uscirne, ora, sarebbe stato come morire a me stesso. Per avere la dolcezza di sentirmi almeno legato a quella vita, sarebbe bastato abitare abbastanza vicino alla piccola stazione da poter venire ogni mattina a chiedere il caffellatte alla contadina. Ma, ahimè, lei sarebbe stata sempre assente da quell'altra via verso cui me ne andavo sempre più in fretta, e che mi rassegnavo ad accettare solo architettando piani che mi permettessero un giorno di riprendere lo stesso treno e di fermarmi alla stessa stazione, progetto che aveva pure il vantaggio di fornire alimento alla disposizione interessata, attiva, pratica, meccanica, pigra, centrifuga, propria del nostro spirito, il quale si distoglie volentieri dallo sforzo necessario per approfondire in se stesso, in modo generale e disinteressato, un’impressione piacevole che abbiamo avuto. E, poiché d’altra parte vogliamo continuare a pensarci, il nostro spirito preferisce immaginarla nel futuro, preparare abilmente le circostanze che potranno farla rinascere: il che non ci insegna nulla sulla sua assenza, ma ci evita la fatica di ricrearla in noi stessi e ci permette di sperare di riceverla di nuovo dall'esterno.    

(M.Proust - Alla ricerca del Tempo Perduto)   
      

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