venerdì 15 agosto 2025

PinoCinque

 

Il tic della truffa e l’arte dei legali
DI PINO CORRIAS
Siamo a New York City, primavera del 1983. C’è il sole, Donald Trump scende dalla sua Limousine Trump Executive, davanti ai cristalli della gioielleria Bulgari, al 730 di Fifth Avenue. Due commesse eccitate lo accolgono sulla soglia. In meno di 15 minuti il Tycoon sceglie una collana da 50 mila dollari e un paio di anelli da 15 mila. Le scatole vengono infiocchettate, sigillate e spedite all’indirizzo privato dell’avvocato Roy Cohn, nello Stato del Connecticut. La mattina dopo Roy Cohn riceve le due scatole, paga, apre la confezione, telefona subito a Donald, gli dice: “Sono arrivate e sono vuote!”. Ridono insieme, complimentandosi.
Non era una truffa. Era un piano. Anzi uno stratagemma. Lo scoprirono il mese dopo gli ispettori del fisco, in uno dei loro periodici controlli sugli incassi dei negozi. Non servì neppure ispezionare le fatture: tutti i nominativi con l’asterisco risultavano residenti fuori dallo Stato di New York e dunque autorizzati a non pagare la “sales tax”, la tassa di vendita, sugli acquisti fatti. L’elenco era di 202 nominativi. Per lo più milionari che dopo avere speso migliaia di dollari in gioielli non volevano rinunciare alla soddisfazione di risparmiare quelli delle tasse: spiccioli, per loro, ma che valevano il reato che stavano commettendo per dispetto, sentendosi furbi. Nell’elenco figuravano Frank Sinatra, Henry Kissinger, il trafficante d’armi Adnan Khashoggi, attrici, produttori, finanzieri. E naturalmente Donald Trump.
La storia venne rivelata dal settimanale newyorchese Village Voice. Deflagrò. Lo Stato istituì il Gran Giurì per l’inchiesta. Trump rischiava più di tutti. Se fosse stata provata l’accusa penale di evasione fiscale, Atlantic City gli avrebbe potuto revocare la licenza dei due Casinò. Schierò il solito Roy Cohn e Horward J. Rubenstein, re delle pubbliche relazioni, detto “il decano dei danni controllati”. Trump si preparò alla umiliante recita davanti al Giurì. Sostenne che aveva “agito in buona fede”. Le tasse per lui erano una cifra irrisoria, figuriamoci. Un centesimo di quello che ora gli costava la difesa. I tabloid ci andarono a nozze definendo i miliardari coinvolti: “avidi”, “goffi”, “stupidi”. Trump pagò l’ammenda e partì subito. Cosa c’era di meglio di un campo da golf per dimenticare?
(5 – Continua)

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