mercoledì 27 agosto 2025

L'Amaca

 

L’Europa non è europeista
di MICHELE SERRA
O l’Europa cambia o è destinata all’irrilevanza. Da quanti lo abbiamo sentito dire, con parole quasi identiche, nell’ultimo paio d’anni e forse prima ancora, diciamo dall’invasione russa dell’Ucraina in poi? Lo ha detto ieri Metsola a Rimini, lo ha detto un paio di volte Mario Draghi, lo ripete Prodi. E stiamo parlando di figure di primo piano dell’establishment continentale.
Lo pensavano e lo dicevano i cinquantamila cittadini in piazza a Roma il 15 marzo scorso, opinione pubblica allo stato puro, una selva di bandiere blu per chiedere all’Europa di esistere per davvero. Ma il mantra europeista, evidentemente, si infrange contro una realtà molto diversa dai desideri. Desideri di chi, intanto? Di una minoranza democratica e federalista che sovente soccombe, nei rispettivi Paesi, a governi nazionalisti; e anche a Strasburgo non ha i numeri per produrre quel salto di qualità politico che, attraverso una cessione di sovranità, darebbe all’Unione la forza politica e la potenza etica (quella di essere “più avanti”, più nuova di ciò che già conosciamo) che oggi non ha.
Il problema è che l’Europa, presa per intera, non è europeista. Lo è nelle sue avanguardie culturali e politiche, e nella vita quotidiana di quello che possiamo definire un “ceto forte”, la nuova, giovane borghesia sovranazionale che studia e lavora ovunque, in Europa, sentendosi sempre a casa. Va bene che la storia la fanno le avanguardie, ma in questo caso le retroguardie sono troppo numerose, e attrezzate, e ben finanziate, perché si possa sperare nella rivoluzione.

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