mercoledì 14 febbraio 2024

L'Amaca

 

Non chiamiamolo più primario
DI MICHELE SERRA
Ci sono numeri che colpiscono molto. Per esempio questo: la percentuale del Pil europeo del settore agricoltura e allevamento è l’1,5 per cento del totale. Poiché il Pil conteggia il valore economico dei prodotti e dei servizi, questo significa che, nella nostra economia, il valore economico del cibo è l’1,5 per cento del valore complessivo di tutti i beni e di tutti i servizi. Voi lo sapevate? Io no. E scommetto che una percentuale così irrisoria, 1,5 per cento, quasi nessuno di voi lettori poteva metterla nel conto.
Ovviamente questo può voler dire tante cose, anche positive. Per esempio, che la fame non è più il primo dei problemi, come fu per secoli e per masse enormi di persone. Ma può voler dire, anche, che un sistema nel quale produrre patate, nella scala dei valori, è assai più trascurabile e meno remunerativo che produrre (per fare un esempio stupido) una app di incontri, è un sistema “snaturato”, che ha perduto quasi ogni rapporto con il valore materiale delle cose.
Perché senza patate si muore; senza le app di incontri, con qualche sforzo, ci si incontra lo stesso.
Il solo aspetto univocamente importante e indiscutibile della “questione agricola” è dunque questo: che la questione agricola, al di là di ogni furbizia corporativa, ci costringe a una riflessione sulla nostra scala dei valori. I valori economici non dicono tutto sui valori morali, e questo già lo sapevamo; ma neppure sui valori materiali, ovvero sulla sostanza biologica del nostro esistere. Temo di averlo già scritto: ma chiamare “primario” un settore che, nella nostra prassi, arriva per ultimo, è una specie di ipocrisia. Dei contadini incazzati, la metà è una consorteria di assistiti furbastri. L’altra metà è quella che cerca di spiegarci che senza patate non possiamo più permetterci nemmeno mezza app.

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