venerdì 28 settembre 2018

Travaglio incazzato


venerdì 28/09/2018
Il Consiglio supino della magistratura

di Marco Travaglio

“Vorrei capire come sia possibile che tanti uomini… talvolta sopportino un tiranno solo, che non ha altro potere se non quello che essi stessi gli accordano, che ha la capacità di nuocere loro solo finché sono disposti a tollerarlo, e che non potrebbe fare loro alcun male se essi non preferissero sopportarlo anziché opporglisi… Sono i popoli stessi che si lasciano incatenare, perché se smettessero di servire, sarebbero liberi. È il popolo che si fa servo, che si taglia la gola da solo, che potendo scegliere tra servitù e libertà, rifiuta la sua indipendenza e si sottomette al giogo… Il padrone che vi domina ha solo due occhi, due mani, un corpo, niente di diverso dall’ultimo dei cittadini… salvo i mezzi per distruggervi che voi stessi gli fornite… Decidete una volta per tutte di non servire più, e sarete liberi”. Così scriveva nel ’500 il filosofo francese Étienne de La Boétie, nel Discorso sulla servitù volontaria. E chissà cosa scriverebbe oggi se avesse assistito all’ultimo ripugnante spettacolo andato in scena nel cosiddetto Consiglio superiore della magistratura. Lì un manipolo di magistrati delle correnti “di destra” MI e Unicost, in preda a una nuova Sindrome di Stoccolma detta Sindrome del Nazareno, si sono consegnati mani e piedi a quel che resta dell’Ancien Régime che ha sgovernato e rapinato l’Italia, devastando la legalità e soggiogando la magistratura e ogni altro potere di controllo e garanzia: Pd e FI.

Infatti hanno eletto vicepresidente del fu “organo di autogoverno” l’unico parlamentare presente fra i 27 membri, cioè l’ultimo che potesse garantire un barlume di autonomia: il turborenziano David Ermini. Questi ha raccolto 13 voti: quello del Pd (il suo), i 10 di MI e Unicost, più i capi della Cassazione (Mammone di MI e Fuzio di Unicost) che, anziché astenersi o votare un candidato apolitico, si sono accodati ai diktat delle correnti in barba all’ultimo monito di Mattarella (“I togati non devono decidere secondo logiche di pura appartenenza”). Dietro le quinte tirava i fili Cosimo Ferri, l’ex leader di MI che entrò nei governi Letta e Renzi in quota FI e ora è deputato Pd. L’altro candidato, Alberto Maria Benedetti, docente indipendente indicato dal M5S, ha avuto 11 preferenze: i 3 laici M5S e i 2 leghisti, i 4 togati di Area (corrente di sinistra) e i 2 di Autonomia e Indipendenza (Davigo e Ardita). Grazie ai voti decisivi dei vertici di Cassazione, i 2 laici berlusconiani si sono concessi il lusso di astenersi, nel tentativo di nascondere l’inciucio. Sono lontani i tempi in cui la peggior minaccia all’indipendenza delle toghe era la politica.

Ora è chiaro a tutti che sono gli stessi magistrati, o una bella fetta di essi, in preda alla servitù volontaria o – per dirla con Paolo Sylos Labini – alla “cupidigia di servilismo”. Ormai l’indipendenza della magistratura è affare troppo serio per lasciarlo nelle mani dei magistrati: solo una riforma costituzionale che abolisca i membri laici e designi i togati col sorteggio può restituirci l’autogoverno perduto. Del resto, senza la complicità di ampi settori togati, negli ultimi anni il Csm non avrebbe potuto trascinare alla gogna i pm più invisi al potere: Di Matteo, Woodcock, Robledo ecc. Né promuovere plotoni di toghe provenienti dal Parlamento, dai ministeri o da altre poltrone di nomina politica. Così, nei prossimi quattro anni, a guidare (per conto del capo dello Stato) il Csm che dovrebbe tutelare l’indipendenza dei magistrati sarà uno dei più ringhiosi portaordini di Renzi, che nell’ultima legislatura si è distinto per gli attacchi a chiunque osasse indagare sul suo capetto e i suoi compari e in proposte di legge per mettere il guinzaglio alle Procure e il bavaglio a quel che resta della libera stampa (oltre all’ideona della licenza di sparare ai ladri, ma solo di notte). “Escono notizie di una gravità inaudita. Prima si prende di mira Renzi e poi si lavora sulle indagini? Ci sono mandanti?”, sparava Ermini nei giorni del caso Consip, strillando al complotto (poi smentito dalla Cassazione) del capitano Scafarto e del pm Woodcock: “Scafarto non può aver fatto tutto da solo… vogliamo i mandanti”. E giù botte sull’“inchiesta inquietante” che vuol “colpire l’allora Presidente del Consiglio Matteo Renzi” (in realtà sono indagati Lotti, papà Tiziano e altri renziani sfusi), “un atto gravissimo, una caccia all’uomo” per “attaccare un organo dello Stato”.

E poi la cena a Firenze di un’associazione anti-giudici con 300 invitati, fra cui lui, l’indagato Lotti, Carrai e il resto del Giglio Magico, per denunciare “la giustizia politicizzata” e la “gigantesca questione democratica” rappresentata non dai traffici per truccare il più grande appalto d’Europa, ma da chi osava indagare. Nel 2016 il Foglio scrisse (falsamente) che il giudice Morosini, membro del precedente Csm, aderiva ai comitati del No al referendum. Ermini prese subito la mira come un berlusconiano qualunque, e come se un giudice non potesse difendere la Costituzione su cui ha giurato: “Vedo che ci sono prese di posizione di membri della magistratura su scelte della politica. E io un domani dovrei farmi giudicare da uno così?”. Già che c’era, voleva pure tappare la bocca al Csm che aveva osato dare parere negativo (come previsto dalla legge) sul ddl anticorruzione di Renzi: “Giudizio incomprensibile e sconcertante”. A suo dire, i giudici non potevano parlare neppure di corruzione. Infatti, quando Davigo lo fece, Ermini lo fulminò all’istante: “Davigo cerca la rissa, ma non la trova. I giudici parlino con le sentenze”. Ora ben 12 magistrati del Csm chiamano questo bel tomo a difendere l’indipendenza della magistratura. La classica volpe a guardia del pollaio, con l’aggravante che ce l’hanno messa le galline. E soprattutto i polli.

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