giovedì 28 maggio 2020

Sarà ma non ci credo


Nel delicato momento pandemico, emerge il grido di dolore di una delle più belle città del mondo, la culla della cultura umana, Firenze. Resto però perplesso sulla modalità della nuova rinascita, ossia diononvoglia che qualcuno mediti di ritornare al pre-Covid, con quel soffocamento da patatine fritte, da sudore, da grida sguaiate infangante il sacro ruolo del cardine toscano per eccellenza. La ripartenza non dovrebbe far scopa con i grandi numeri, con le affollate adunate di consumatori onnivori, senza che qualcuno s'inerpichi sul sano e gibboso sentiero del rispetto dei luoghi tanto caro agli avi. Già, onorare il luogo in devozione ed ammirazione comporta una serie di codicilli dal silenzio alla compostezza che non si confanno assolutamente con la concezione attuale di turismo, ovvero la mercificazione di ogni anfratto per incamerare euroni sfanculando terre dorate come Firenze, che solo all'idea che attorno al 1500 ospitò contemporaneamente Leonardo, Raffaello e Michelangelo, dovrebbe insinuare nelle teste cosiddette pensanti una nuova e sorgiva vaga idea organizzativa per migliorare l'attuale sconsiderata idea di far cassa. 
Quando si passeggia per Firenze si calpesta la storia, si tocca realmente la differenza tra l'uomo e le altre specie. Non dovrebbero essere castagne, Big da trangugiare, latrati, rutti e sfiatate d'ascella ad oscurarne la grandezza. Compreso Nardella.  

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