domenica 31 maggio 2020

Palinsesto




Da non credere!



E quindi Sora Cicoria avrebbe voluto andare a deporre una corona al Milite Ignoto nel giorno della festa della Repubblica, dopo il Presidente Mattarella che, da quando è sorta la Repubblica, come Presidente della Repubblica il due giugno in nome e per conto del popolo italiano rende omaggio a tutti i caduti delle guerre rappresentati dal soldato sconosciuto all'altare della Patria?!! Ma saprà di che sta parlando Sora Cicoria? Ne dubito.

Sogno



sabato 30 maggio 2020

Sano rimedio


A vedere alzarsi in cielo un grattacielo di 110 metri non c’era quasi nessuno. È l’effetto mitridatizzazione, assuefazione ad un evento, nello specifico il lancio dell’ultima missione lunare Apollo 17 avvenuta nel 1972, con media e share disinteressati. La mitridatizzazione la riscontriamo oggi nei bollettini del Coronavirus, l’abitudine ai decessi, il sollievo nell’apprendere che solo un centinaio di nostri concittadini non ce l’hanno fatta. Solo. Ci mitridatizzammo nell’Era del Puttanesimo al fatto che un pregiudicato, pagatore  seriale di tangenti alla mafia e possedente la metà dei media nazionali, orchestrasse  ai nostri danni una politica personale per salvarsi dalla bancarotta, aumentando a dismisura i propri possedimenti. 
Ci mitridatizziamo quotidianamente sul fatto che molti attorno a noi non paghino le tasse, piangendo miseria assieme a coloro che sono effettivamente in difficoltà. 
Ci mitridatizziamo davanti all’assassinio del giovane Regeni ad opera di un tiranno ancora in sella e al quale vendiamo navi, elicotteri e armi.
Ci mitridatizziamo da quasi quattro anni al fatto di avere come uomo più potente del pianeta un Biondone psicopatico, un pericolo sensibile per tutta l’umanità. 
Siamo quindi sensibili alla mitridatizzazione e l’unico modo per combatterla è quella di dedicare almeno un’ora al giorno all’informazione. Informazione non transumanza belante mediante media peripatetici al servizio di lorsignori. Leggere, leggere, leggere bene e sano: il vaccino contro la mitridatizzazione.

Travaglio!


sabato 30/05/2020
Di chi è l’argenteria

di Marco Travaglio

La prima volta che conobbi Piercamillo Davigo era il 1997: presentavamo a Milano il mio libro-intervista al procuratore aggiunto di Torino Marcello Maddalena Meno grazia, più giustizia, a cui aveva scritto la prefazione. Era ancora pm del pool Mani Pulite. Il suo intervento fu uno show di battute taglienti e aforismi fulminanti, come quelli a cui poi assistetti negli anni successivi in tanti convegni e dibattiti insieme. La frase che più mi colpì illuminava la differenza fra responsabilità penale e responsabilità politico-morale: la prima la appura la magistratura, nei modi, nei tempi (biblici) e nei limiti previsti dalla legge; la seconda la accerta chiunque legga le carte giudiziarie, quando emergono fatti incontrovertibili (confessioni, intercettazioni, filmati, documenti, testimonianze oculari) che dimostrano una condotta sconveniente e consentono di farsi subito un’idea sulla correttezza o meno dell’autore. Che, se è un pubblico ufficiale, deve adempiere le sue funzioni “con disciplina e onore” (art. 54 della Costituzione), può essere tranquillamente dimissionato su due piedi, senza attendere la sentenza definitiva. Per spiegare questa fondamentale differenza, Davigo se ne uscì con uno dei suoi cavalli di battaglia: “Se vedo il mio vicino uscire da casa mia con la mia argenteria in tasca, non aspetto la condanna in Cassazione per smettere di invitarlo a cena. E non lo invito più nemmeno se poi lo assolvono. Non è giustizialismo: è prudenza”.

Non so quante volte, in questi 23 anni, gliel’ho sentito ripetere: la gente sorrideva, rifletteva, capiva e conveniva con lui. Tranne, ovviamente, i ladri e gli amici dei ladri, che con l’argenteria altrui ci campano. L’altra sera l’ha ridetto a Piazzapulita ed è scoppiato il putiferio. Politici e commentatori, anche incensurati, hanno cominciato a stracciarsi le vesti, come se la traduzione in italiano dell’art. 54 della Costituzione fosse diventata una bestemmia. E non solo per i ladri e i loro compari. La vera notizia è proprio questa: non la (stravecchia) battuta di Davigo, ma le reazioni, che cambiano a seconda dei tempi. Una volta facevano incazzare B. e i suoi numerosi pali, ora fanno incazzare anche la cosiddetta sinistra. Infatti, a menare scandalo, ha cominciato Repubblica, che fino all’altroieri ospitava fior di interviste a Davigo con risposte come quella e non batteva ciglio perché condivideva con lui il massimo rigore sulla questione morale (ben diversa e più ampia di quella penale). Ora invece le trova improvvisamente scandalose, al punto di squalificarle come “giustizialiste” e addirittura di pubblicare una sfilza di insulti al giudice scagliati sui social dai soliti conigli da tastiera.

Seguono le fesserie dei politici, a partire dal capogruppo Pd al Senato Andrea Marcucci: “Per Davigo la civiltà giuridica sancita dalla nostra Costituzione è carta straccia. Quanto ha detto ieri sera in tv il magistrato, fa tremare le vene dei polsi”. A parte la virgola sbagliata e la citazione sbagliata dell’incolpevole Dante Alighieri (“… ella mi fa tremar le vene e i polsi…”: Divina Commedia, Inferno), il giureconsulto della Garfagnana non capisce o finge di non capire che la Costituzione non dice da nessuna parte che il giudizio politico-morale su un pubblico ufficiale sia riservato alle sentenze. Dice soltanto che nessuno, per la legge, è penalmente colpevole fino a condanna definitiva. Dopodiché, per fare un altro esempio, nessuno sarebbe così incosciente da affidare i propri bambini a un vicino di casa imputato per pedofilia perché non ha condanne: nel dubbio, chiunque abbia un minimo di prudenza li affida a qualcun altro. Poteva mancare, nel festival della scemenza, il contributo dell’Innominabile? Non poteva: “Per i giustizialisti basta la condanna mediatica. Aspettare le sentenze non è un errore: si chiama civiltà. E Davigo fa paura”. Quindi, per dire, sospendere dall’insegnamento un professore imputato di stupro o levare dalla cassa di una banca un impiegato indagato per rapina sarebbe giustizialismo e condanna mediatica, mentre lasciarli al loro posto (per dar loro un’altra chance) sarebbe civiltà. Basta domandare in giro al primo che passa: “Le fa più paura Davigo che consiglia di cacciare quelli che vengono fotografati o intercettati a rubare, o chi li lascia al loro posto?”. E godersi la risposta, casomai non bastassero i sondaggi che danno l’Innominabile all’1,5% (mentre, quando diceva le stesse cose di Davigo chiedendo le dimissioni di ministri “solo” indagati come Idem e De Girolamo, o neppure inquisiti tipo Alfano e Cancellieri, prima che finissero nei guai i suoi fidi e agli arresti i suoi genitori, era giunto al 40,8%).

Il bello è che questi fresconi cianciano di “primato della politica” e poi delegano ai magistrati le decisioni politiche che potrebbero assumere in proprio, e in anticipo. Ma è proprio questo che i vecchi politici non sopportano in Davigo: che smascheri davanti a tutti, con esempi di vita quotidiana, le loro pretese impunitarie classiste e castali. Lorsignori non inviterebbero mai a cena chi li ha derubati, né affiderebbero i loro bambini a un indagato per pedofilia e strillerebbero come aquile se il prof delle loro figlie fosse imputato per stupro. Ma per mazzette, intrallazzi, mafierie e altre specialità della casa, le regole di quotidiana prudenza e precauzione diventano orrore: perché lì l’argenteria non è la loro, ma la nostra.

Sul far del giorno



Come un taccuino ecco alcuni spunti per questa giornata vicina alla riapertura (Dio ce la mandi buona) globale del nostro paese. 
Dopo gli sfiati di quasi tutti i politicanti, le flatulenze rassicuranti la rigidità nei riguardi del despota Al Sisi per ottenere chiarimenti e responsabilità in merito all'assassinio di Giulio Regeni, ecco arrivare la consegna di due navi militari per qualche miliardino e i futuri elicotteri, perché l'Egitto è uno dei nostri migliori clienti e, prima favola per i sogni d'oro di noi babbani, l'industria bellica nostrana non può fermarsi, pena il licenziamento di migliaia di persone, e ed è per questo che continuiamo ad armare il mefitico riccastro Simsalabim impegnato ad assassinare nello Yemen, ma noi non abbiamo le mani sporche di sangue in merito perché, vai con la favola, business is business! 

Il governatore della Banca d'Italia Visco ci ha relazionato in merito alla debacle in arrivo nel vicino post pandemico con il Pil in caduta libera. L'alto vigilante delle nefaste tonnare borsistiche, non gli sfugge mai nulla a parte quando saporosamente riposa tra i marmi dorati dei suoi uffici, ha evidenziato tra i tanti problemi, uno in particolare, novizio, vergine, infante: l'evasione fiscale! Ma dai? Questa mi è nuova! E' dai tempi del Gobbaccio mafioso che sento parlare i pagliacci di turno di combattere una metastasi inaudita, un colpo basso che si ripete ad ogni stramaledetto anno. Visco post sogni d'oro evidenzia questa discrepanza? Che grande il governatore! Pensa che durante l'Era del Puttanesimo avevamo in tolda un delinquente evasore e nella successiva Era del Ballismo un guitto che innalzò le soglie permissive, spandendo praticamente ovunque la voglia di evitar balzelli tranne che per i soliti coglioni il cui prelievo viene fatto alla fonte. 
E quindi l'evasione è un problema? E cosa ha detto il grande risvegliato? Che siccome le tasse sono alte, occorrerà ridurle per incentivare i malfattori a pagarle. Quindi la soluzione è andar incontro alla sterminata Banda Bassotti di nostri connazionali e non garantire pene certe, tipo la galera, per coloro che la fanno da furbi e da padroni? 

Altro spunto: Uber Italia commissariata per evidente caporalato dei suoi poveri dipendenti, pagati 3 euro e qualcosa lordi a consegna, in sintesi la nuova forma di schiavismo dei negrieri 2.0, leggasi startup. 
Un castale ed incontrollato divaricamento sociale questa modaiola necessità di far galoppare inferiori per gustare nel salotto di casa delle prelibatezze culinarie, che non ho mai usato per evidente soggezione nei loro confronti, non tanto per quello che fanno ma per le canaglie che operano dietro loro, sfruttandoli come fossimo tornati al tempo delle raccolte di cotone. Spero che Uber commissariata riconosca finalmente il dovuto ai propri dipendenti, si fa per dire visto che era una modalità neroxnero, e che vengano sbattuti in galera i responsabili di cotanto inferno, tra l'altro ad uno gli hanno sequestrato 500mila euro in contanti! 

Ed infine lui, il Biondone Pazzo, degno del cast di "Qualcuno volò sul nido del cuculo" 
E' un pericolo incredibile per tutta l'umanità, va incamiciato e spedito nello spazio, tra l'altro credo che il bottone per il lancio lo schiaccerebbe molto volentieri la sua Miss Silente e consorte. 
Buona giornata.  

venerdì 29 maggio 2020

Dialoghi



Paroline


Frugali, riaperture, movida, distanziamenti, positivi, tamponi, lockdown. 
Alcune parole entrate prepotentemente nel nostro vocabolario, già scarno ed ora pure tecnico-trainer. Alzi la mano chi non si è fatto un'idea sul pandemico, sul diluvio di commenti di virologi cultori della visibilità, altro virus da combattere sotto certi aspetti, chi ritiene errati certi comportamenti, chi vorrebbe che la si suonasse mazurca, chi tanghista. 
Effluvi di parole, concetti estrapolati, ragionamenti soffusi. Si nasconde quella labile verità occlusa da sintassi azzardate. Certo, è scomodo dirlo, ammetterlo: siamo stati in balia dell'occulto, abbiamo operato con le stesse modalità di centinaia di anni fa. Non siamo, meglio sono, riusciti ad applicare la tecnica, il progresso all'aspetto più naturale del nostro status di respiranti a tempo, la salute. Dovremmo ammetterlo all'unisono: Covid ha spodestato le nostre certezze, l'agiatezza, la convinzione di essere in vetta. Tutto ciò irrita oltremodo le nostre coscienze incuneando la vaga idea di non essere assolutamente ciò che ritenevamo oramai un diritto acquisito. Pare infatti che molti, non tutti ancora, gracili in mente e corpo, siano a tempo su questo strano pianeta, che le settimane internazionali di moda non abbiano in nessun caso prolungato la temporalità mediante l'accorciamento spasmodico del divenire, sinonimo d'importanza e successo. 
E' bastato l'invisibile a far soccombere percezioni sfasate della presunta onnipotenza collettiva. 
Fetecchie fummo, fetecchie saremo.  

giovedì 28 maggio 2020

Insoddisfaction


La sorella di Platinette dalla Perpetua storce il naso su quanto l’Europa potrebbe concederci. La Perpetua insinua e ammorba paventando riforme imposte dall’alto, come se non avessimo bisogno di rifondare la sanità, il sistema fiscale che perde un centinaio di miliardi all’anno. Yoghi-Toti, l’unico convinto di aver reso free la Liguria dal Covid, sproloquia in investimenti, magari cementiferi, lamentando ritardi, soldi che non si vedono, insomma: il rosicamento destrorso omette di evidenziare il successo del Premier, impensabile fino a pochi giorni fa. E questo conferma il loro soffrire, la speranza che le cose vadano male, per poter riemergere dall’annichilimento generato dal buon operare della maggioranza. Se non fosse per la distruzione definitiva certa, quanto ci piacerebbe vedere il Cazzaro e Sora Cicoria dialogare politicamente con Bruxelles! Un must della comicità universale!

Una mortificante ma signora Inchiesta


Quella di oggi su Repubblica è una signora inchiesta, trattante un tema che dovrebbe far vergognare tutti coloro che possiedono un minimo di dignità e s'inerpicano su una via in qualche modo retta. 
La Strage Silenziosa s'intitola e tratta tematiche riguardanti il mondo degli anziani. 
Chiarisco subito il mio punto di vista, non per apparire migliore di qualcuno, ci mancherebbe! Premettendo che non ho figli, ho recentemente esaudito il desiderio di mio padre, scomparso a marzo: mi chiese infatti di non essere mandato, finché fosse restato lucido, dentro ad una casa di riposo. Non ho fatto fatica, in merito, ad esaudire le sue volontà, chiare e limpide. Ripeto, assolutamente non dico queste cose per vantarmene, solo per chiarire la mia posizione in materia. Ritengo infatti il mondo delle cosiddette Rsa un luogo a perdere, un'anticipo della certa fine naturale, comprendendo sia chiaro le necessità di famiglie dove entrambi i genitori lavorino e la presenza, meravigliosa, dei figli da crescere.
Altresì evidenzio, perché mi sono documentato al riguardo, la fretta di molti, la voracità dei soliti noti, ad immagazzinare archivi storici inauditi, la loro tenerezza, il loro ricordo, la saggezza, la gioia nel vedere la discendenza formarsi, dentro a quei coacervi di spegnimento psicologico che fruttano ai soliti noti, ricchezze inaudite. 
La penso così e lo scrivo per rispetto a voi che leggete, rispettando ogni diversa visione del mondo degli anziani. 

Detto questo la soluzione migliore sarebbe quella di postare l'intera inchiesta ma preferisco commentarne i momenti più intensi.

  “L’assurdità è che invece di proteggere i nostri anziani, li abbiamo tenuti chiusi in una scatola con dentro il virus. L’inefficienza e l’irresponsabilità di queste decisioni hanno portato alla morte di mia madre e di molti nostri cari, che erano i più deboli. Li dovevamo difendere e mi sento responsabile anche io”.

Lucio Viola racconta l’incubo vissuto da una moltitudine di italiani che hanno perso genitori e nonni: si sono spenti nel silenzio, isolati da tutti, sepolti nella solitudine prima ancora di morire. Il nostro Paese li ha semplicemente dimenticati. “Tutti questi luoghi completamente abbandonati e deserti. I figli fuggivano lasciando i cadaveri dei genitori”, scriveva Paolo Diacono quindici secoli fa, raccontando la peste che ha decimato l’impero bizantino. E anche noi siamo precipitati in quell’orrore. Un baratro così profondo da spingere a distogliere lo sguardo. “Io non ho più potuto parlare con mia mamma. Al telefono faceva fatica anche a riconoscerci, ci riusciva solo di persona: appena ci vedeva era contentissima e ci veniva incontro con la carrozzella. Perché mia mamma di testa non c’era più, ma poteva vivere ancora”, ricorda Carlo Butera: “L’ho incontrata per l’ultima volta il 27 febbraio, poi il 6 aprile ti vedi arrivare una bara e non sai neanche chi c’è dentro”.
Il nostro Paese li ha semplicemente dimenticati. Mai frase fece più male di questa. Dimenticare un patrimonio quali sono gli anziani è sinonimo di imbarbarimento, di inefficacia dei sentimenti per cui, in feste come il 2 giugno, andiamo fieri solamente e purtroppo a parole. 

Padri e madri, nonne e nonni spariti, come fossero desaparecidos inghiottiti dal terrore. In tutte le regioni, ma particolarmente in Lombardia: la terra della sanità modello e del welfare più efficiente, incapace di tutelare i suoi vecchi dall’epidemia. “Il Covid ha messo tragicamente in luce le mostruose lacerazioni e le disuguaglianze intollerabili di una società che, già prima di questa pandemia, tendeva a trattare le persone ritenute anziane come, direbbe papa Francesco, “scarti””, sentenzia il filosofo Salvatore Veca: “La ghettizzazione della terza età come forma di esilio delle persone dalla comunità è un problema che condividiamo con tutto l’Occidente. Ma quello che è accaduto, in particolare nelle Rsa, è stato un rito sociale di decimazione”.

Una strage nell’oblio che ha falciato più di ventimila esseri umani. Tre mesi fa ci sarebbe sembrato uno scenario incredibile. Invece è avvenuto. E continua ad avvenire: la furia del massacro è rallentata solo a metà maggio, ma non si è fermata. Nelle case di cura e negli ospizi la Fase Uno non è ancora finita. Anzi l’emergenza diventa sempre più dura: il personale è dimezzato, le casse sono vuote, gli ospiti rimangono tagliati fuori dal mondo.

Per questo è necessario capire. Iniziare a ricostruire le dinamiche del massacro. Chiedere se l’eccidio poteva essere evitato e come. Rendersi conto di chi ha peccato; per parole, opere e soprattutto omissioni. Le indagini della magistratura accerteranno le responsabilità penali, ma è facile prevedere processi lunghissimi e esiti incerti. Ci sono però capitoli di questo dramma che si possono già scrivere. Raccontano del sacrificio di medici ed infermieri; di comunità che si sono mobilitate e di sindaci che si sono battuti; di manager che hanno affrontato a testa alta l’epidemia. Ma anche di amministratori pubblici e privati che hanno nascosto la verità, di dirigenti che hanno imposto divieti criminogeni; di giunte regionali che hanno fatto scelte drammaticamente scellerate; di una classe politica che non ha mosso un dito per tutelare i cittadini più fragili di tutti. Quando si parla di assistenza alla terza età, si usa sempre l’immagine di Enea che trasporta sulle spalle il padre Anchise durante l’incendio di Troia. In Italia, davanti alla crisi del millennio, è come se Enea avesse abbandonato Anchise e fosse fuggito a gambe levate.
Ci sono tanti spunti per meditare. Fermiamoci qui.

(1-Continua)
 










 

Sarà ma non ci credo


Nel delicato momento pandemico, emerge il grido di dolore di una delle più belle città del mondo, la culla della cultura umana, Firenze. Resto però perplesso sulla modalità della nuova rinascita, ossia diononvoglia che qualcuno mediti di ritornare al pre-Covid, con quel soffocamento da patatine fritte, da sudore, da grida sguaiate infangante il sacro ruolo del cardine toscano per eccellenza. La ripartenza non dovrebbe far scopa con i grandi numeri, con le affollate adunate di consumatori onnivori, senza che qualcuno s'inerpichi sul sano e gibboso sentiero del rispetto dei luoghi tanto caro agli avi. Già, onorare il luogo in devozione ed ammirazione comporta una serie di codicilli dal silenzio alla compostezza che non si confanno assolutamente con la concezione attuale di turismo, ovvero la mercificazione di ogni anfratto per incamerare euroni sfanculando terre dorate come Firenze, che solo all'idea che attorno al 1500 ospitò contemporaneamente Leonardo, Raffaello e Michelangelo, dovrebbe insinuare nelle teste cosiddette pensanti una nuova e sorgiva vaga idea organizzativa per migliorare l'attuale sconsiderata idea di far cassa. 
Quando si passeggia per Firenze si calpesta la storia, si tocca realmente la differenza tra l'uomo e le altre specie. Non dovrebbero essere castagne, Big da trangugiare, latrati, rutti e sfiatate d'ascella ad oscurarne la grandezza. Compreso Nardella.  

Mumble Mumble!


I tanti professionisti della nuova mafia

di Roberto Saviano


Come fa la criminalità organizzata a trovare i propri clienti? Come sa chi cercare e dove trovarli?". Questa è la domanda che Fabio Fazio mi ha posto domenica 24 maggio in diretta su Raidue a Che tempo che fa . Fazio mi aveva invitato perché raccontassi in televisione ciò che avevo scritto su questo giornale, perché spiegassi come, nei momenti di crisi, le organizzazioni criminali riescano a prendere possesso delle attività economiche in difficoltà. Lo spettro dell’usura aleggia sull’Italia in tempo di pandemia, come accadde dopo la crisi economica del 2008. Abbiamo oggi gli anticorpi necessari per riconoscere queste dinamiche? Forse no.
Nel rispondere a Fazio ho fatto riferimento a quanto emerge dagli atti giudiziari e da studi condotti in questo ambito dall’istituto di ricerca Eurispes, da Unioncamere (l’Unione italiana delle Camere di commercio, industria, artigianato e agricoltura) e dalla Consulta nazionale antiusura (http://www.consultantiusura.it/usura. html). Quando un’azienda comincia ad andare in crisi, le organizzazioni criminali avvicinano alcuni professionisti permeabili — come può essere un commercialista che è persona di cui spesso l’imprenditore si fida — e avvertono che esiste una possibilità per non soccombere alla mancanza di liquidità. Ecco svelato il meccanismo. Aggiungo che, se invece ci si è rivolti a professionisti seri, le strade che verranno indicate sono altre e sono legali. È evidente che non parlavo di un’intera categoria, ma solo di alcune persone che la disonorano con il loro comportamento. Non ho generalizzato né criminalizzato un ordine professionale, ma raccontato una dinamica e l’ho raccontata perché la studio da anni.
Ho visto fioccare ridicole richieste di scuse che avrei dovuto dare, ma per cosa? Per aver detto il vero? I politici che hanno diffuso agenzie cariche di indignazione non hanno nemmeno ascoltato ciò che ho detto, ma hanno colto l’ennesima occasione per prendersi un po’ di visibilità, non riuscendo a farlo per meriti propri, lo fanno creando polemiche strumentali su di me che però mostrano la loro totale inadeguatezza e l’incapacità di comprendere sul serio il dramma che molti imprenditori stanno vivendo e hanno vissuto.
E allora mi domando: ma davvero non sapevate ciò che ho raccontato domenica sera a Che tempo che fa ? Davvero non sapevate che le organizzazioni criminali usano professionisti per entrare nel tessuto economico legale? Io credevo fosse assodato, credevo conosceste queste dinamiche. Fingete di non sapere o davvero — cosa imperdonabile — non sapete che ormai da decenni la pratica mafiosa, e più in generale il prestito a usura alle aziende avviene con la mediazione di professionisti, commercialisti, avvocati, bancari?
Guardate ad esempio le grandi inchieste sull’espansione al Nord delle mafie. Secondo voi come hanno agito? Chi usavano per avvicinare gli imprenditori che stavano fallendo? Si tratta di meccanismi rodati: il clan identifica figure professionali vicine agli imprenditori e fa la sua proposta, che molto spesso viene accettata. Ma allora anche gli imprenditori sono mafiosi? No, sono disperati e questa vostra levata di scudi, signori politici senza competenze, è vergognosa perché non tiene conto della disperazione di chi accetta il cappio illudendosi di poter salvare i sacrifici di una vita, decine di dipendenti che si troverebbero senza lavoro, senza guadagno e con famiglie a carico.
Come faccio a saperlo? Basta leggere le inchieste e gli studi di settore. Non conoscevate l’Operazione "Serpe" coordinata dalla Dda di Venezia (2011)? No? E allora ve ne parlo io.
"Aspide srl" è una società con sede a Selvazzano (Padova), apparentemente si occupa di recupero crediti, ma in realtà pratica l’usura. I tassi di interesse oscillano tra il 110 e il 120% annui, ma possono arrivare anche al 180%. Il gruppo criminale (di stampo mafioso, come accertato dai giudici di Cassazione) è guidato da Mario Crisci, da tutti soprannominato "O’ dottore". Secondo il Tribunale, a fare da intermediari tra Mario Crisci e i potenziali clienti della Aspide erano dei professionisti vicini agli imprenditori. Tra questi Ivano Corradin (di Marostica, presidente dell’associazione dei tributaristi del Vicentino), che reperiva i clienti per conto della Aspide, condannato a 3 anni e 10 mesi. La sentenza dei giudici di Cassazione scrive su di lui: "Il suo ruolo svolto nell’Aspide era necessariamente consapevole delle attività esercitate dalla società e delle modalità mafiose utilizzate".
E ancora: davvero non avete mai studiato il Rapporto Eurispes del 2016? Ve lo segnalo io, cito testualmente: "Occorre però osservare come i soggetti più esposti cadano oggi nelle mani di un numero sempre maggiore di nuovi sfruttatori, non solo criminali e mafiosi ma anche ‘insospettabili’: negozianti, commercialisti, avvocati, dipendenti pubblici, che sfruttano la crisi economica e l’indebitamento di famiglie, commercianti ed imprenditori per arricchirsi, forti delle crescenti difficoltà di accesso al credito bancario. Ed è nata una nuova figura: quella dell’usuraio della stanza accanto".
Perché non vi siete scandalizzati quando emergevano queste analisi?
A questo punto, immagino, non sappiate nemmeno ciò che, nel 2014, l’Unioncamere ha scritto in uno studio sull’usura condotto con la Fondazione nazionale antiusura Interesse Uomo. Vi riporto anche questo: "Sempre più spesso fatti di cronaca ci raccontano di associazioni che talvolta si servono di professionisti o, più in generale, cercano collegamenti con persone operanti nel settore del credito legale. Si tratta di insospettabili, rispettati nell’ambiente sociale in cui agiscono. Sono imprenditori, commercialisti, avvocati, notai, bancari, finanche funzionari ministeriali e statali".
Ma forse non dovrei parlarne, per non offendere le persone oneste… Così come non avrei dovuto parlare, nel 2010, su Raitre a Vieni via con me dei vertici collusi con la ’ndrangheta dell’Asl di Pavia per non offendere i medici o i dirigenti sanitari? O non avrei dovuto parlare — per non offendere gli avvocati come categoria — dell’avvocato Michele Santonastaso, condannato in via definitiva per falsa testimonianza aggravata perché aveva condotto l’interrogatorio di un imprenditore caseario del casertano, Mandara, spingendolo a confessare il falso per far risultare il boss Augusto La Torre in un altro luogo nel giorno in cui aveva preso parte al duplice omicidio di due ragazzi, Luciano Roselli e Salvatore Riccardi, scomparsi il 27 marzo del 1990? Dovevo evitare di dire che l’avvocato Santonastaso aveva creato un falso alibi a un boss pluriassassino per non offendere gli avvocati?
Ma la polemica ora è finita, ne sono consapevole. Queste cose durano poco perché poco devono durare, ormai voi la politica la intendete così: fate rumore per mostrarvi difensori di chi, in realtà, non state difendendo. Non state difendendo i commercialisti, al contrario, state invitando all’omertà. Si difendono i commercialisti isolando chi fa pratiche illegali, non offrendo un ombrello protettivo anche a chi calpesta le regole che la maggioranza rispetta.
Queste dinamiche dovreste raccontarle voi, ma ve ne guardate bene perché i voti, come il denaro, non hanno odore. E in ultimo, ma davvero i vertici degli ordini dei commercialisti non hanno mai studiato le analisi della Consulta nazionale antiusura (organizzazione non lucrativa di utilità sociale)? Leggete cosa ha scritto: "Per troppo tempo l’usura non è stata percepita come un pericolo sociale: basti pensare che, fino al 1992, in caso di flagranza, non era obbligatorio l’arresto. Questo atteggiamento risale al tempo in cui l’usura era esercitata dal ‘cravattaro’ di quartiere, che svolgeva la propria attività in un ambito ristretto. Negli ultimi anni, però, a questa tradizionale attività si è affiancata quella di organizzazioni che, agendo attraverso cosiddetti insospettabili (commercianti, commercialisti, professionisti) concedono prestiti sia ai singoli e alle famiglie, sia a tante piccole e piccolissime aziende in difficoltà finanziarie". Denunciare una dinamica non significa disonorare una categoria, ma difendere le vittime, dar loro la forza di ribellarsi, metterle in guardia. Ed è necessario per tutelare proprio le categorie professionali nelle loro componenti oneste, che sono maggioritarie.
A chi si è indignato tra politici e vertici di categoria dico: o non sapevate nulla di tutto questo, e sarebbe grave, o state mentendo e questa vostra attitudine sfiora la complicità. Ecco la linea disegnata a terra, da un lato gli inconsapevoli, dall’altro i complici: guardatela bene, pensateci e, senza fretta, scegliete da che parte stare.

mercoledì 27 maggio 2020

Casualità


Dalla Perpetua c’è Luca Cordero, grandissimo imprenditore, che sta criticando aspramente il governo... mentre ascolto mi è capitata una notiziola riguardante Alitalia...

“Tra le contestazioni che la procura di Civitavecchia rivolge a tre ex amministratori delegati (Silvano Cassano, Luca Cordero di Montezemolo e Marc Cramer Ball) e al Cfo Duncan Naysmith, ci sono quasi 600mila euro di Alitalia che sarebbero stati utilizzati per catering e cene di gala. I quattro avrebbero “distratto e dissipato” risorse della società per complessivi 597.609 euro: 133.571 “per spese di catering verso la società ‘Relais Le Jardin’” in occasione delle riunioni del Cda, 5.961 per “cene di gala in favore dalla società ‘Casina Valadier’” e 485.077 per organizzare 4 eventi aziendali che, seppur pagati inizialmente da Ethiad, sono poi stati indebitamente addebitati a Alitalia ‘Sai’”.

E intanto lui parla! Dalla Perpetua! Mavaffanculo!

Poteva far meglio!


Sicuramente i Rosicanti diranno che se ci fossero stati loro a contrattare avrebbero ottenuto di più, che so 81,9 miliardi di prestito a fondo perduto invece degli 81,8 concessi. Il Cazzaro e la Sora Cicoria saranno annichiliti ed insieme a loro tutti i pennivendoli peripatetici al loro servizio, osteggianti da sempre e senza ritegno colui che molti, me compreso, ritengono essere il miglior Presidente del Consiglio dal dopoguerra ad oggi. Continueranno strali ed invettive, chissà ad esempio stasera dalla Perpetua cosa s’inventeranno, mugugni, piagnistei di finti miserabili da sempre evitanti balzelli, speranzosi di riveder in tolda i cari amici di una volta, devoti e cecati davanti alla colossale evasione annuale; la strada è ancora lunga, la promessa di 170 miliardi, la maggiore fetta in tutta Europa, dovrà scontrarsi con la ritrosia di stati chiamati generosamente “frugali”, in realtà bastardi senza alcuna dignità, senz’altro inaciditi dall’assenza di sole e montagne che li hanno imbastarditi oltre ogni logica; tra i più merdosi ci sono i destrorsi olandesi guidati da Geer Wilders, che anelano a scalzare il premier Rutte il Ruttologo, i quali sono alleati di un tal Cazzaro nostrano e della blaterante Sora Cicoria. 
Non ti curar di loro Presidente Conte e grazie!

Carissimo Carofiglio!


Il tempo non esiste più

L’idea dello scorrere lineare delle ore è un retaggio culturale che, con la pandemia, è stato definitivamente messo in crisi

di Gianrico Carofiglio

I mesi appena trascorsi hanno messo in movimento molte riflessioni sui temi più vari. Fra questi il concetto di tempo che, attraverso la lente di ingrandimento di queste settimane irreali, ci è parso, più del solito, ambiguo e inafferrabile.

Anni fa i linguisti George Lakoff e Mark Johnson proposero un esperimento mentale: cercate di parlare del tempo – dello scorrere del tempo – senza usare metafore; appena il caso di notare che "scorrere del tempo" è una metafora, il riferimento cioè a una entità nota e sensibile (il fiume che scorre) per alludere a un’entità che i sensi non sono in grado di percepire, cioè appunto il tempo. In ogni caso, provateci. Il risultato sarà sorprendente e anche un po’ inquietante: non abbiamo parole per descrivere il tempo, per parlarne, per pensarlo, che non siano riferimenti analogici ad altre entità.

L’idea di un tempo lineare – quello che scorre come un fiume – non è infatti una constatazione, ma un retaggio culturale. In molte civiltà, come in molte riflessioni filosofiche, troviamo concezioni e punti di vista del tutto differenti. Per esempio gli indigeni Papua delle isole Trobriand o i pellerossa Hopi non pensano il passato come una fase precedente del presente, ma come parte di un ampio presente unitario. La lingua parlata dalla popolazione brasiliana dei Piraha non contiene quasi nessuna espressione che alluda al tempo, che è dunque una categoria quasi inesistente in quell’orizzonte culturale. Ernst Mach, fisico, filosofo, pioniere degli studi sulla percezione, diceva che non siamo in grado di misurare i mutamenti delle cose rapportandoli al tempo. Al contrario desumiamo l’esistenza del tempo proprio per via della constatazione del mutamento. Per Sant’Agostino è inesatto dire che i tempi sono passato, presente e futuro: più corretto sarebbe parlare di presente del passato, presente del presente e presente del futuro. L’idea di un tempo lineare è psicologicamente e culturalmente collegata ai concetti di prestazione, di competizione, di successo e di fallimento. La procedura, il modo in cui si fanno le cose, non conta in questa (dominante) visione interessata solo ai risultati e alla loro misurabilità, soprattutto economica.

Un atteggiamento alternativo è quello che di fronte a un nuovo compito non produce la modalità dell’ansia rivolta solo al risultato, e propone invece una domanda procedurale: come farò questa cosa, seguendo quale percorso, osservando quali regole tecniche ed etiche? Consapevolezza, leggerezza e (con una contraddizione solo apparente) rapidità sono le modalità di questo diverso atteggiamento che porta con sé una conseguenza paradossale e affascinante: la nostra percezione del tempo ne risulta mutata; cominciamo a dubitare della sua linearità e della sua opprimente finitezza.

Tutti hanno sperimentato, almeno qualche volta, l’esperienza di venire completamente assorbiti da una attività: leggere, disegnare, scrivere, potare una siepe, ascoltare musica, praticare un’arte marziale, costruire o riparare un oggetto, cucinare. In questi casi, quando siamo assorbiti dal processo e non pensiamo al risultato, si ridefiniscono la percezione e la misura del tempo; esso si altera, si dilata, si estende in molte direzioni, mostra anfratti sconosciuti. In questi casi ci rendiamo conto – per poi, purtroppo, dimenticarcene – delle possibilità che derivano dall’azione consapevole, cioè dal vivere totalmente nel momento presente. Anzi, per dirla con Sant’Agostino: nel presente del presente.

Ma approfondiamo la nozione di rapidità in contrapposizione a un altro concetto solo in apparenza affine: la fretta. La rapidità è il risultato della competenza e della padronanza; implica preparazione, studio, pratica. Si racconta che una volta Picasso fosse seduto in un bistrot parigino e, distrattamente, mentre chiacchierava con gli amici, avesse fatto un rapido schizzo sul tovagliolo di carta. Una signora seduta a un tavolo vicino, notata la cosa, chiese al maestro di poter comprare il disegno. Picasso acconsentì, ma quando la signora domandò il prezzo, si sentì chiedere una cifra spropositata. «Ma come, le ci è voluto solo qualche secondo» disse la donna. Picasso rispose: «Signora, si sbaglia. Mi ci è voluta tutta la vita».

La fretta al contrario della rapidità, non consente il controllo delle azioni, delle dichiarazioni, dell’elaborazione delle opinioni. Essa dipende dall’impreparazione, ostacola l’approfondimento e la comprensione, impedisce la precisione; produce, nel migliore dei casi, delle mezze verità, nel peggiore e più frequente dei casi, un totale e pericoloso fraintendimento delle idee e dei fenomeni.

Che attinenza hanno queste riflessioni su tempo, rapidità e fretta con la crisi che abbiamo vissuto e nella quale ancora ci troviamo? L’epidemia ha reso particolarmente visibile un fenomeno che a qualsiasi osservatore attento era già noto: la fretta, il ritmo ossessivo, un presentismo insensato unito a una sostanziale assenza sono frequenti, pericolosi connotati dell’azione politica a tutti i livelli. Molti uomini e donne di potere sono davvero presenti solo di rado. Non amano allontanarsi dal lavoro perché sul lavoro hanno emergenze, urgenze e soprattutto un numero infinito di distrazioni cui possono abbandonarsi senza alcun senso di colpa perché – raccontano a sé stessi prima ancora che agli altri – si tratta sempre di cose importanti. In realtà sono spesso urgenti, solo di rado importanti. Cogliere la differenza fra le due categorie – urgenza e importanza – è fondamentale nella riflessione su un modo diverso di occuparsi di politica, maneggiare il potere, pensare il presente nella prospettiva del futuro.

La fretta di molti politici e, più in generale di molti potenti, esprime un carente contatto con la realtà e con gli altri a causa di un eccessivo, narcisistico contatto con sé stessi. Il narcisista in politica è perseguitato dall’ansia e non dalla colpa, sottolinea Christopher Lasch nel suo capitale testo La cultura del narcisismo . Il narcisista, in politica come in altri ambiti, vive per soddisfare i propri bisogni psicologici immediati, si muove in uno stato di accelerazione continua e nevrotica, intrappolato in un presente privo di significato, che si riproduce in maniera ossessiva sempre uguale a sé stesso. Da questo deriva fra l’altro l’incapacità di progettare il futuro in un racconto coerente, inclusivo e munito di significato. In sostanza, dunque, l’incapacità di cambiare il mondo in una prospettiva di progresso, di convivenza pacifica con la natura, di solidarietà fra gli umani.

L’idea di una politica diversa su cui molti di noi hanno riflettuto in questo periodo, passa anche attraverso la ridefinizione del nostro rapporto, individuale e collettivo, con il tempo. Un pensiero ben sintetizzata da un famoso aforisma di James Freeman Clarke (spesso attribuito ad Alcide De Gasperi): «Un politico guarda alle prossime elezioni; uno statista guarda alle prossime generazioni».

 


Il solito giro al largo del foro



L'ex Priore di Bose, Enzo Bianchi, è stato invitato a lasciare il monastero da lui creato tanti anni fa, dopo che il Vaticano ha compiuto una visita pastorale per verificare la situazione e lo spirito evangelico del luogo di preghiera. 
Sorgono molte domande attorno a questa direttiva vaticana, le problematiche sorte dal pensionamento dal 2017 del Fondatore. Uomo di fede e cultura, Bianchi ha illuminato costantemente il panorama cattolico. Ma il momento del distacco, del ritiro è senz'altro difficile, come il non interferire sul nuovo, su ciò che è chiamato a proseguire l'opera e la via tracciata, per chi crede, dallo Spirito. 
Ritirarsi lontano dal mondo, che il più delle volte combattiamo, è sforzo titanico per tutti. Il commentare, l'avversare, decisioni di altri che inducano a temere problematiche per la "creatura" è di questo mondo, ahimé. Lungi da me criticare Fratel Enzo! Avrà avuto i suoi buoni motivi per divenire ostacolo al suo successore. 
Evidenzio soltanto la difficoltà di noi tutti che viviamo nel tempo ad accettare l'avanzare dello stesso, del sentirsi pietre soporifere dopo aver dato il centopercento per edificare uno snodo focale ponendo sempre come pietra d'angolo Colui dal quale e per il quale sono tutte le cose. 
Nel gorgo aspirante noi stessi, con i talenti imprestatici, tendiamo a rimaner larghi e speranzosi di proseguire l'opera assegnataci. Molte vite vengono riposte in rimessa, le chiamano villaquiete, ancor prima che la Natura ne decreti la fine biologica. Il risentimento umano per lo spegnimento di noi stessi è matrice di fremiti irrefrenabili, abbacinanti sentieri apparentemente ostici ma illuminati misteriosamente. L'occasione unica è di mettere a frutto l'esperienza della vita precedente, abbracciando la fiducia riposta da sempre nel non razionale. 
Non voglio insegnare nulla Priore, molto probabilmente nel mio attimo sarò molto più irascibile e refrattario di Lei e se parlo ora è solo perché vedo ancora abbastanza lontano ciò che idealizzo gastronomicamente con la richiesta del conto al ristorante. 
Le auguro solo, umilmente ed in fraternità, di vivere al meglio la sua Vita da sempre esempio per molti. 
Stia allegro e col cuore in alto!    

Meditate gente, meditate!


Malebolge
Immenso puzzle
Tutta la nostra attuale conoscenza credo possa essere rappresentata da un immenso puzzle di cui non è possibile contare le tessere e, di conseguenza, quante di esse possano infine determinare la fine.
Posto che una fine vi sia. E questa «inflazione» di frammenti di sapere ci porta ciascuno al fitto lavorio del tentativo di unire di frammenti concettuali per costruire non sappiamo più cosa, ossia, in certo qual modo, quali ne siano il fine e la qualità. Vige così l’esubero della quantità, il nozionismo, l’arte della parte per il tutto che però ci è sconosciuto ma che prevede, per statuto, che lo sia. Allora, con uno scatto analitico, con una proiezione mentale, ne decidiamo la forma, sempre più personale e per questo lodata. Come avessimo in dotazione ciascuno una certa quantità di mattoncini di Lego virtuali e la possibilità di acquistarne ancora (come negli stores dei videogames) edificando bizzarre costruzioni in guisa di incerti pensieri. 
Posti uno di fronte all’altro, costituiscono una sorta d’immensa, sgraziata metropoli d’idee. La potremmo chiamare solitudine dell’incubo, o incubo della solitudine. Allora lo squarcio del vuoto, della preghiera, della contemplazione interiore a dimenticare cosa abbiamo fatto, là fuori. Allora il distacco della sapienza, e l’esilio dalla Torre di Babele.

Gossss!



La persona giusta



martedì 26 maggio 2020

Il mariomichelegiarrusso che è in lui




Finita la scempiaggine dell'"unovaleuno", messa in cantina la scellerata consuetudine del "chiunquetusiavaibeneinparlamento" ecco il mariomichelegiarrusso che è in lui a confermare quanto sopra prendendo il proscenio col voto salva Cazzaro; si proprio lui, l'espulso per non aver redicontato le proprie spese, attratto dalla sirena della vita qualunque di un parlamentare gozzovigliante a fin di bene, non comune e non nostro. 
Il Movimento 5 Stelle imparerà da questi anomali mini coacervi? 
Per due, c'è anche tale Ricciardi anch'ella fuoriuscita dal movimento, che conglomerati alla normalità politichese, in realtà anormalità filosofica, vi sono ancora decine di normopensanti perennemente combattenti le incrostazioni di decenni di amoralità. 
Il mariomichelegiarrusso che è in lui, probabilmente, farà entrare la sagoma cartonata del reietto, nel simposio leghista per futuri anni beati di lieta e beneficiante opera politica pro lui, tra un raglio cazzaro e l'altro. Come una cometa che finita la sua corsa attorno al Sole, allontanandosi si raffredda ghiacciandosi, così il mariomichelegiarrusso che è in lui porterà cotanto esempio di sagacia a disperdersi in quel dorato anonimato costellato da ricerche spasmodiche di visibilità e quant'altro, dove quant'altro apre e lascia l'immaginazione fantasticare con tutto quanto fa spettacolo. Circense, naturalmente.   

Inamovibili


Potremmo definirla una navigazione, ammesso di constatarne la scia, questa vita comune incastonata in quest'anno bastardo e maledetto. Molti però sono in balia delle correnti, chi romba sui mari lo fa al solito pacchianamente. Pochi indomiti usano remi per movimentarsi. Al di là del procedere o meno vi sono due, per ora ne scorgo solo due, colonne d'Ercole che, oramai mitridatizzate, non sembrano avvertire vibrazioni tali da far presupporre un loro vicino abbattimento sociale: 1400 miliardi di euro depositati nei conti correnti italiani e oltre 100 miliardi evasi annualmente. Di chi saranno quei soldi stipati nelle banche visto che tutti, ma proprio tutti stanno piangendo miseria e povertà? Chi ha ammassato ricchezze capaci di far loro attraversare in beltà questo post Covid? Da sottolineare che in questo caso la statistica del pollo, se siamo in due e tu te lo mangi interamente ed io rimango a bocca asciutta per i grafici figura che ce ne siamo pappati metà a testa, non conta una minchia. Se dividessi la cifra accatastata per il numero di abitanti, figurerebbe che ogni italico possiede quasi 25mila euro. Follia, baggianata. La verità è che pochi, al solito, hanno tantissimo; molti quasi nulla. 
Ma il piagnisteo è globale da Scilla a Trepalle! Guardate programmi tv, evitate mi raccomando i rintronanti alla uominiedonne, gustate il lamento, osservate le sopracciglia arcuate onnicomprensiva, i latrati all'unisono, le prefiche ululanti, il lutto nazionale di chi annuncia di non poter ripartire se non arriverà l'aiuto di stato. Intendiamoci: moltissimi dicono il vero, purtroppo! Ma assieme a loro, mascherati, grondano lacrime anche chi, pregno d'inverecondia, potrebbe rialzarsi autonomamente attingendo alle risorse grondanti tigna e livore, ma non lo fa per quel mefitico dna che porta tanti, troppi, a gozzovigliare da tempo immemore sulle spalle gravate di tanti sciagurati, babbei del nuovo millennio edulcorati da pseudo filosofie solo in apparenza benigne, celanti quel torpore di mente responsabile dell'attuale situazione sociale, refrattaria a qualunque sano sollevamento popolare.
E non mi frega nulla di passare per visionario, per populista, per terrapiattista o seguace delle strisce chimiche, che è la difesa psicologica eretta da lor signori nei riguardi dei pochi, m'incenso, che ancora avvertono questa sonora ed eclatante presaperilculo. 
Vado avanti: tra i molti commedianti addolorati vi sono celati anche i briganti che non partecipano alle spese comuni, che evitano di dare il giusto a Cesare, irridendo il sacrificio di chi, alla fonte, viene depredato ingiustamente per il dovere comune di mettere lo stato in grado di assolvere alle proprie spese, stipendi compresi.
Queste colonne inamovibili rimangono marmoree, statiche, sbeffeggianti, condannando inequivocabilmente la ragione comune allo sbeffeggiamento. Mi chiedo: fino a quando permetteremo tutto questo? Il post pandemico lo immaginavo come una primavera in cui ghiri e marmotte beatamente riposanti all'ombra di una qualsiasi barbaradurso, trovassero linfa e vitamine capaci di rialzargli busto e collo agevolando il grido possente del "adesso basta, avete rotto i coglioni!"
Probabilmente mi sono sbagliato, come sempre. Tra le risate degli empi ridanciani comuni.            

Tanti auguri a teeee....



E così alle 5:28 del 26 maggio 2010 nasceva questo blog!! 
Da dieci anni sul far dell'alba scrivo, posto, trascrivo rompendo zebedei e quant'altro. 
Gustiamoci questo genetliaco, senza presupporre nulla. 
Grazie a voi e alla vostra pazienza!!
Cin cin!  

domenica 24 maggio 2020

Ansia mattutina


Il Frullato mattutino, l’ansiogena rassegna stampa, Scalfari che parla dell’Ulisse di Joyce, ho cercato sempre di affrontarlo ma non ho mai avuto con me la necessaria passiflora, Avvenire che scrive giustamente come un tempo l’Unità, quella vera, il Fatto che si prepara da martedì al nuovo Fatto, il Big Jim del paese dell’Imbianchino, assieme agli altri tre definiti “frugali” e non bastardi che dettano le regole per la ripartenza europea, non sapendo che prima o poi li relegheremo alle loro nebbie tra kottbullar, sacher, tulipani a contemplare le proprie rigidità specchio del mefitico clima inducente ad assumere il tipico carattere di merda; le richieste di prestiti Fca e dei signori del Casello innestanti rivolte intestinali, e poi Gallera, miniaturizzante i fratelli Marx. La domenica della fase due volteggia anche così!

A ognuno il suo



Precisazione



Buffetto


Un commento leggiadro su Gallera e Fontana preso da Contropiano. Un buffetto...

Vieni avanti, cretino

di Giorgio Cremaschi (Potere Al Popolo)

Secondo l’assessore Gallera la condizione epidemica in Lombardia sarebbe molto migliorata, perché con l’indice Rt a 0,51 ci vorrebbero due persone per contagiarne un’altra, la quale, fino al momento in cui non incontrasse tutte e due quelle persone infette, resterebbe salva.
Cioè: per il capo della sanità lombarda il Covid è come un videogioco, nel quale ognuno ha due vite da spendere e se sta attento agli incontri va tutto bene.
Ci sarebbe da ridere per questo mentecatto, che non ha ancora nemmeno capito il concetto di contagio, se non fosse che la risata, in una regione dove sono morte più di ventimila persone, proprio non viene.
Gallera e Fontana sono una coppia comica naturale, sono la versione lumbard dei Fratelli De Rege, quelli di “vieni avanti cretino”, ma oggi ogni loro idiozia rafforza la tragedia. Quella della regione più ricca d’Italia che ha subìto – in proporzione alla popolazione – la più grande strage mondiale per Covid.
Essi non sono i soli responsabili del disastro, ma sicuramente sono fra i responsabili, anzi fra gli irresponsabili visto che sono le persone più sbagliate nel posto più sbagliato nel momento peggiore.
Pochi giorni fa alla Camera la destra ha sollevato scandalo contro un deputato dei Cinque Stelle che semplicemente ha ricordato che la strage in Lombardia non può essere considerata “tragica fatalità”. E non solo la destra, ma tutto il palazzo politico mediatico ha mostrato la sua indignazione per quella che è stata definita un’offesa ai morti e alla regione che li piange.
No. L’offesa ai morti è che quei due ridicoli cialtroni, che di superiore all’inettitudine hanno solo la faccia di bronzo, siano ancora lì a dire sciocchezze e far danni.
Offesa ai morti sono Salvini Meloni e Berlusconi che li difendono, esaltando un “sistema lombardo” che invece dovrà essere indicato e studiato come modello negativo per il paese.
Offesa ai morti è un governo e un sistema istituzionale vili e complici, che non rimuovono una giunta lombarda che da tempo avrebbe dovuto essere cacciata nella vergogna.
Le fesserie di Gallera non fanno ridere, suscitano solo rabbia e indignazione verso coloro che sono colpevoli del fatto che lui e il suo collega di scena siano ancora lì.

Si, viaggiare


L’anno in cui non siamo stati da nessuna parte
Usiamo la fantasia come mezzo Soltanto così possiamo ripartire

di Gabriele Romagnoli

Era il 1965. Ernesto Che Guevara aveva condotto la vittoriosa insurrezione a Cuba, ma nei panni di ministro post- bellico si trovava a disagio. Per non perdere la tenerezza aveva viaggiato in tutto il mondo, appassionandosi in particolare alla causa africana. Con il permesso del Lider maximo a primavera aveva lasciato l’Avana per esportare la rivoluzione in Congo e magari da lì a tutto il continente. Il risultato fu una sconfitta, un niente di fatto se non un diario, divenuto un libro. Il titolo è: L’anno in cui non siamo stati da nessuna parte.
Eccoci qui. Abbiamo rivoluzionato il mondo. Con la globalizzazione lo abbiamo omologato, in modo che ogni cosa sia possibile ovunque ( sistema di governo o megastore di abbigliamento). Abbiamo ristretto lo spazio e ridotto il tempo: quel che solo 37 anni fa ( Vacanze di Natale, 1983) era il mantra imprenditoriale della velocità: «via della Spiga-hotel Cristallo: due ore, cinquantaquattro minuti e ventisette secondi, Alboreto is nothing » si è tramutato in « breakfast in Rome, lunch in London, dinner in Paris, time is nothing». Poi è arrivato dall’Asia qualcosa di naturale e indomabile: un virus per il quale non avevamo contromisure e contro il quale si è schiantata la storia dei recenti trionfi decretando che il 2020 resti nella memoria collettiva come: l’anno in cui non siamo stati da nessuna parte.
Occorre cambiare strategia, modello di condotta, pensare in modo alternativo, non riproporre quel che si è attuato in altri momenti e condizioni, se si vuole evitare la resa. Chi non può vincere la guerra, combatte la guerriglia: si adatta, scopre nuovi percorsi o ne recupera di vecchi e abbandonati. Davanti a una strada chiusa, anziché forzare il blocco, meglio cercare il sentiero che l’aggira. Sarà più lunga, ci vorrà più tempo, si procederà soli o in piccoli commando. Viaggeremo da fermi, viaggeremo meno, non viaggeremo tutti, ma ecco come possiamo provare a farlo.
Usare la fantasia altrui come mezzo di trasporto è qualcosa che abbiamo già sperimentato con successo varie volte: nell’infanzia, nella solitudine, nei recenti mesi di segregazione. È un usato sicuro: basta sfogliare pagine o accendere schermi. Ogni racconto fruito è un’invenzione di seconda mano, ma con il potere di portarci ovunque non siamo mai stati (e a volte neppure l’autore). Ogni battaglia però si compie nell’estensione del suo campo. Ora si può osare, nei limiti, ma i limiti a volte sono una risorsa. Per le generazioni più recenti il viaggio è tutto quel che si compie nel tempo tra l’arrivo a destinazione e il ritorno. Per quelle precedenti era l’impresa di andare dal luogo di partenza a quello di arrivo. Il termine impresa sottintende: avventura, sforzo, incertezza sull’esito. Tutto questo è stato superato. Il viaggio è divenuto un trasferimento. All’avventura si è sostituita la noia, allo sforzo il fastidio, all’incertezza sull’esito quella sulla puntualità. Su un’impresa si scriveva un libro, durante un trasferimento se ne legge uno. Quando la meta è una città il cosiddetto viaggio consisteva ormai nel replicare in quella la stessa esistenza condotta nella città di partenza ( mangiare, andare a spettacoli, fare acquisti, visitare mostre, conoscere o incontrare persone, ritirarsi in camere all’interno di edifici) con l’unica eccezione dell’assenza del lavoro. Il trasferimento occupava una parte minima del tempo dedicato al resto. Per capire il rapporto bisogna pensare a una storia d’amore in un film: di solito termina quando i due si confessano il loro sentimento o trionfano sulle avversità che l’hanno ostacolato. Il resto è schermo nero. I film d’amore raccontano dunque il viaggio alla vecchia maniera, difficile e accidentato, non il matrimonio, non la permanenza a destinazione. Raccontassero il trasferimento ( un incontro tramite app) durerebbero pochi minuti, sarebbero cortometraggi o filmati per la piattaforma Quibi.
Ora il rapporto si ribalta, torna all’origine: il viaggio è il viaggio. Andare da un punto di partenza a una destinazione qualsiasi ridiventa un’impresa, ridisegnata. Occorre superare limitazioni, rinunciare a trasporti veloci o farlo quando possibile, ma accettando pratiche che li rallentano. Si riattraverseranno stazioni semideserte come quando furono costruite, aeroporti come cattedrali senza fedeli, dai binari si riscoprirà il paesaggio, nei cieli il vuoto. Sulle strade, barriere come se l’Italia non fosse uno stato, ma di stati un insieme. La modernità sarà relegata ai sistemi di orientamento o di comunicazione. In un mondo così ristrutturato può rinascere l’idea di andare a piedi. Di più, di fare un pellegrinaggio, anche laico. Farsi lasciare da un cavallo di ferro a un certo punto e da lì proseguire verso una destinazione scelta e, attenzione, significativa. Ci sono persone che lo fanno da anni, da sempre. Alcuni di loro ( Paolo Rumiz, Enrico Brizzi, sulle orme di Paul Salopek e Bruce Chatwin) poi lo raccontano. O lo si può raccontare a se stessi: l’anno in cui ho camminata da A a B, aggiungendo un motivo. Nell’inverno del 1974 il regista tedesco Werner Herzog, allora trentaduenne, si avviò a piedi dalla sua dimora a Monaco diretto a Parigi, dove la sua amica Lotte Eisner, studiosa di cinema, si era ammalata. Un viaggio, un voto: era persuaso, o voleva persuadersi strada facendo, che quella sua testimonianza d’affetto avrebbe tenuto in vita la persona a lui cara. «A parte questo – aggiunge – volevo essere solo con me stesso». Scoprirà l’estraneità e la contiguità, il fango, il silenzio dell’Europa, l’esistenza dei tanti cani che dai finestrini non si colgono. Sceglierà l’insensatezza sulla finale tentazione della comodità. Scriverà poi Sentieri nel ghiaccio, ma conta che arrivò. Lotte visse ancora. Non certo a causa di questo viaggio. O forse sì. Davvero non esiste un contagio delle volontà?
Scrive Olga Tokarczuk ne I vagabondi: « La meta dei miei pellegrinaggi è sempre un altro pellegrino», «feci il mio primo viaggio attraversando un campo a piedi», « traggo la mia energia dal movimento » , « la storia dei miei viaggi non è altro che la storia di un malessere » . Quattro frasi un programma: un malessere ci ha isolati, rimettiamoci in moto, anche solo per un percorso minimo e facile, al cui traguardo ci sia un altro.
Quel percorso, ecco l’altra novità, verrà affrontato da soli, o al più con il ristretto nucleo familiare. Un commando, che si muove prevalentemente con il proprio mezzo, evita il gruppo dove l’alleato si trasformava facilmente in avversario. Rifugge dal confronto. Elabora una visione originale del limitato mondo a disposizione. Negli ultimi decenni di viaggi conoscere è diventato riconoscere, prendere riprendere e l’intuizione del singolo di fronte all’ignoto è stata plasmata dalla pre-visione di un altro o dalla comitiva d’altri da cui si è circondati. Abbiamo davvero viaggiato nel pianeta com’è o in quello secondo Tony Wheeler, creatore della Lonely Planet, che cristallizzava ogni realtà raccontata? Da quanto non ci bastava più guardare, ma dovevamo fotografare perché altri potessero vedere e, quindi, credere? La guida illustrava, spiegava o non anche tramandava solo una delle tante possibili versioni? Lo sguardo di gruppo non ha piegato la traiettoria degli sguardi individuali? Rieccoci liberi di interpretare, con la possibilità di sbagliare, ma anche quella di capire. Senza gli auricolari, affidati ai nostri sensi.
Quello che ci può aspettare, nel nostro Paese, è una versione 2020 del Grand Tour, il viaggio iniziatico per imparare a vivere, che dal Seicento chi poteva affrontava per conoscere la cultura italiana. Come fecero Mozart e suo padre, le cui strategie sono riproponibili anche in assenza del talento filiale: trasferirsi con ogni mezzo, trovare qualcuno che ospiti, barattare quel che si ha, prendersi tempo. A volte gli insegnamenti migliori vengono dal passato, ma il passato è soltanto un luogo dove non torneremo più: è il futuro a essere una terra straniera. Dove andremo comunque, ognuno con i suoi mezzi, magari arrivando a pezzi. Olga Tokarczuk conclude così il suo viaggio: «Forse rinasceremo e questa volta lo faremo nel luogo e al momento giusto».

Sottoscrivetela!



Segnalo iniziativa della Comunità S.Egidio, per aderire basta andare su santegidio.org.
Riporto di seguito l'invito a sottoscriverla (già fatto)

SENZA ANZIANI NON C’È FUTURO
Appello per ri-umanizzare le nostre società. No a una sanità selettiva
Nella pandemia del Covid-19 gli anziani sono in pericolo in molti paesi europei come altrove. Le drammatiche cifre delle morti in istituto fanno rabbrividire.
Molto ci sarà da rivedere nei sistemi della sanità pubblica e nelle buone pratiche necessarie per raggiungere e curare con efficacia tutti, per superare l’istituzionalizzazione. Siamo preoccupati dalle tristi storie delle stragi di anziani in istituto. Sta prendendo piede l’idea che sia possibile sacrificare le loro vite in favore di altre. Papa Francesco ne parla come “cultura dello scarto”: toglie agli anziani il diritto ad essere considerati persone, ma solo un numero e in certi casi nemmeno quello.
In numerosi paesi di fronte all’esigenza della cura, sta emergendo un modello pericoloso che privilegia una “sanità selettiva”, che considera residuale la vita degli anziani. La loro maggiore vulnerabilità, l’avanzare degli anni, le possibili altre patologie di cui sono portatori, giustificherebbero una forma di “scelta” in favore dei più giovani e dei più sani.
Rassegnarsi a tale esito è umanamente e giuridicamente inaccettabile. Lo è anche in una visione religiosa della vita, ma pure nella logica dei diritti dell’uomo e nella deontologia medica. Non può essere avallato alcuno “stato di necessità” che legittimi o codifichi deroghe a tali principi. La tesi che una più breve speranza di vita comporti una diminuzione “legale” del suo valore è, da un punto di vista giuridico, una barbarie. Che ciò avvenga mediante un’imposizione (dello Stato o delle autorità sanitarie) esterna alla volontà della persona, rappresenta un’ulteriore intollerabile espropriazione dei diritti dell’individuo.
L’apporto degli anziani continua ad essere oggetto di importanti riflessioni in tutte le civiltà. Ed è fondamentale nella trama sociale della solidarietà tra generazioni. Non si può lasciar morire la generazione che ha lottato contro le dittature, faticato per la ricostruzione dopo la guerra e edificato l’Europa.
Crediamo che sia necessario ribadire con forza i principi della parità di trattamento e del diritto universale alle cure, conquistati nel corso dei secoli. È ora di dedicare tutte le necessarie risorse alla salvaguardia del più gran numero di vite e umanizzare l’accesso alle cure per tutti. Il valore della vita rimanga uguale per tutti. Chi deprezza quella fragile e debole dei più anziani, si prepara a svalutarle tutte.
Con questo appello esprimiamo il dolore e la preoccupazione per le troppe morti di anziani di questi mesi e auspichiamo una rivolta morale perché si cambi direzione nella cura degli anziani, perché soprattutto i più vulnerabili non siano mai considerati un peso o, peggio, inutili.

Cordiale Mattutino


Quando il «Figlio dell’uomo tornerà» non andrà nei templi e nelle chiese per vedere se «la fede è ancora sulla terra» (Lc 12,7-8). Guarderà ai nostri rapporti sociali: guarderà a come ci vorremo bene o male, guarderà le nostre banche, la nostra evasione fiscale, i nostri ospedali, gli stipendi ai braccianti e quelli ai manager. E se ci sarà ancora la fede la troverà soltanto dentro la giustizia e la verità dei nostri rapporti; se ci sarà ancora la potrà riconoscere da come risponderemo alla speranza del miserabile.
(Luigino Bruni - Avvenire 24/5/20)

sabato 23 maggio 2020

Dal sito Contropiano


L’ultima truffa Fiat del giovane Elkann

Il servilismo della politica nei confronti del sistema delle imprese è cosa antica. Specie in Italia, dove per oltre un secolo lo Stato ha fatto da maggiordomo – sia durante la dittatura monarchico-fascista, sia nella democrazia repubblicana – alla principale industria del Paese: la Fiat.

Nonostante l’identità e la struttura di questa multinazionale siano cambiate più volte questo rapporto servile è rimasto intatto.

Al punto che l’erede degli Agnelli al vertice del gruppo, John Elkann, ha avuto la sfrontatezza di chiedere allo Stato di farsi garante per i 6,3 miliardi di prestito che Fca ha chiesto a Banca Intesa.

I media, specie quelli del gruppo Gedi (RepubblicaLa Stampa, diversi giornali locali, ecc), di proprietà agnellica, parlano di “prestito”. E mentono.

Qualsiasi persona in questo Paese sa che “garantire” un prestito bancario verso terzi (foss’anche il proprio figlio, per l’acquisto di una casa o un pc) significa essere pronti a restituire quel prestito con i propri soldi. Nel caso di Fca, Banca Intesa non si è sentita certa che quel prestito possa rientrare – con la situazione catastrofica del mercato dell’auto in piena pandemia, è una certezza semmai il contrario – e quindi pretende che qualcun altro “garantisca” per quella somma.

A quel punto il giovane Elkann si è signorilmente girato verso l’anziano maggiordomo dicendo “Ambrogio, ci pensi tu come al solito, vero?”.

Saltiamo a piedi pari la polemichetta politica tra servi e aspiranti servi ed ex servi della Fiat, e vediamo qual’è la situazione.

Fiat/Fca non è più un’azienda italiana, ma una multinazionale italo-statunitense con stabilimenti in tutto il mondo (alcuni anche in Italia), sede legale in Olanda e sede fiscale in Gran Bretagna (sigifica che paga le tasse lì, perché conviene). E’ oltretutto in procinto di fondersi con Psa, industria automobilistica partecipata tra l’altro dallo Stato francese (12%) e dalla cinese Dongfeng (12%).

In vista di queste nozze, oltretutto, mr. Elkann e gli altri componenti del consiglio di amministrazione hanno stabilito maxi-dividendo straordinario da 5,5 miliardi alla holding Exor (la finanziaria “di famiglia”).

Quindi, ricapitolando: il signor Elkann prende dalla società Fca, che dirige, 5,5 miliardi e li dà (o meglio, li darà il prossimo anno, quando si celebreranno le nozze con Psa) ad un’altra società che sempre lui controlla pienamente (una finanziaria olandese). Ma siccome “c’è grossa crisi” sul mercato automobilistico chiede un prestito da 6,3 miliardi a Banca Intesa, garantiti però dallo Stato italiano (il 12% del “decreto rilancio”).

A fare l’imprenditore così siamo buoni tutti, confessiamolo… Se i soldi crescono, me li prendo; se mancano, li chiedo allo Stato…

E’ la stessa logica illustrata, si fa per dire, da Carlo Bonomi nel suo primo discorso da presidente di Confindustria: Più investimenti pubblici, ma no allo Stato padrone in economia”. Che tradotto significa: “dateci soldi pubblici a noi delle imprese, direttamente a fondo perduto o tramite appalti su lavori pubblici, ma non vi azzardate a gestire direttamente un’azienda; per esempio Alitalia”.

Ecco, al signor Elkann uno Stato serio – consapevole che in questo Paese ci sono parecchi stabilimenti Fiat-Fca, con decine di migliaia di dipendenti, alcune centinaia di migliaia nell’indotto e una certa quota di Pil, risponderebbe quanto meno: “Vogliamo in cambio una quota di azioni corrispondente a quella cifra e posti nel cda in proporzione”. In modo da decidere scelte industriali di lungo periodo, controllare e tutelare l’occupazione sul territorio di competenza, incassare i dividendi annuali, ecc. 

Come fa la Francia con Psa, insomma.

Il resto sono chiacchiere per la distrazione di massa. Per coprire anche l’ultima truffa Fiat a spese della popolazione di questo Paese.