domenica 2 novembre 2025

Prosit!

 


La Messa di Rai 1 della domenica per certi versi agevola al buddismo… ad esempio questo vescovo che dice “avevo fame e non mi avete dato da mangiare” apre ad una riflessione sul cibo introiettato ad minchiam e di cui anch’io sono portatore insano. La corale profuma di lacca anche dalla tv, la cantante del salmo deve essersi alzata alle 5 per curare tutta l’impalcatura montata. S’avverte nel rito la smania di apparire tramite il mezzo televisivo. Le vesti preziose e lo sfavillio dell’oro agevolano quanto detto. Prosit!

Prima Pagina

 



Giorgia senti Caselli

 

Giorgia, lo sai di ispirarti a Gelli anziché a Borsellino?
DI GIAN CARLO CASELLI
Giorgia Meloni ha spesso rivendicato di essersi dedicata alla politica subito dopo la strage mafiosa di via d’Amelio in cui perse la vita – insieme alla sua scorta – Paolo Borsellino. Aver scelto questo grande magistrato come figura di riferimento le fa indubbiamente onore. Ma la sua ossessione per la separazione delle carriere fra Pm e giudici non è in sintonia con tale scelta, come ha ben dimostrato ieri Antonella Mascali su questo giornale.
Ma oltre a ignorare (o non tenere in alcun conto) il pensiero di Paolo Borsellino, Giorgia Meloni ignora (o non tiene in alcun conto) un altro dato importante: nero su bianco, la separazione delle carriere si trova già scritta – come obiettivo da raggiungere insieme alla sottomissione del Pm al potere esecutivo e alla riforma del Csm – nel “Piano di rinascita democratica” di Licio Gelli sequestrato nel 1981.
Ora, sarebbe ben strano se nessuno a Palazzo Chigi – a partire dallo zelante Guardasigilli Carlo Nordio – avesse messo in guardia Giorgia Meloni sulla inopportunità di mostrarsi d’accordo con lo squalificato e impresentabile Licio Gelli.
Ma ancor più strano sarebbe se la premier, nonostante l’avvertimento che il progetto di separazione affonda le sue radici nel terreno a dir poco melmoso praticato dal venerabile capo della P2, lo avesse ugualmente sponsorizzato, fino a celebrarne l’approvazione come una vittoria epocale del suo governo. Un bel rebus, che solo Giorgia Meloni potrebbe risolvere: magari degnandosi di rispondere, una buona volta, alle domande di una conferenza stampa…

Biograficamente

 

Antonio Di Dietro
DI MARCO TRAVAGLIO
“La separazione delle carriere è il primo passo per trasferire la magistratura inquirente sotto controllo dell’esecutivo… Non sono le carriere, ma i comportamenti che fanno la differenza. Anche un pm e un avvocato possono trovarsi imputati perché si son messi d’accordo” (4.2.2000). “Si vorrebbe imporre, per garantire l’imparzialità del giudice, la separazione non fra potere giudiziario e politico, ma fra magistrati inquirenti e giudicanti: così le inchieste contro la corruzione e il potere politico non si potranno più fare con serenità” (15.3.2000). “Voterò no al referendum per separare le carriere” (15.5.2000). “La Giustizia ha bisogno di interventi radicalmente opposti a quelli sbandierati dal Polo: non la separazione delle carriere e lo snaturamento del Csm aumentando i membri di nomina politica” (13.1.03). “La divisione delle carriere impedirà la fisiologica trasmigrazione tra pm e giudici, con grave danno per le professionalità e la libertà di scelta dei magistrati” (8.3.03). “Il processo di Milano (a Berlusconi e Previti per corruzione di giudici, ndr) dimostra che a carriere unite possono accadere cose turche. In primo grado ha dimostrato che degli avvocati possono corrompere dei giudici. Più separate di così, le carriere, si muore! Il problema non sono le carriere, ma la deontologia professionale, la moralità di chi svolge incarichi pubblici delicati” (4.5.03). “Il centrodestra vuole separare le carriere per mettere sotto controllo dell’esecutivo la magistratura. È il vecchio piano di Licio Gelli, poi ripreso dal libro rosso di Previti” (24.3.04). “Il ministro Alfano vuole separare le carriere in violazione del dettato costituzionale. La Giustizia affidata al governo Berlusconi è come un pronto soccorso lasciato in balìa di Dracula” (4.6.08). “Berlusconi lasci stare Falcone, è come il diavolo che parla dell’acqua santa. I problemi della Giustizia sono la mancanza di fondi e di personale, non la mancata separazione delle carriere. Così si vuole solo sottomettere la giustizia al potere politico e segnare la fine della certezza del diritto” (21.8.08). “La separazione delle carriere è l’anticamera della fine dell’obbligatorietà dell’azione penale, attraverso il controllo dell’esecutivo sul pm. È una proposta gravissima perché farebbe crollare uno dei cardini della Costituzione: l’autonomia della magistratura” (15.7.13).
Così parlò per tutta la vita Antonio Di Pietro: idee chiarissime contro tutte le bicamerali e le schiforme di ogni colore. Poi un giorno qualcuno lo convinse che era sempre stato favorevole alla separazione delle carriere e lui non solo cominciò a dire il contrario di ciò che aveva sempre pensato, ma entrò persino nel Comitato del Sì alla schiforma Nordio. Chissà com’è successo.

L'Amaca

 

La privatizzazione dell’odio
di Michele Serra
Fatico molto a capire il significato politico, chiamiamolo così, del “caso delle tre femministe” (prendendo per buona la definizione giornalistica della vicenda) accusate di stalking. Intanto mi disorienta la confusione totale tra parola pubblica e parola privata, non capisco più che cosa viene detto o scritto per essere condiviso “da tutti”, che cosa dalla propria “bolla”, che cosa dalla propria cerchia intima. Non aiuta l’uso molto disinvolto delle intercettazioni.
Posso solo dire che, se in questa difficoltà di lettura pesano sicuramente la mia età e la lontananza dai social, avverto con un senso di sollievo l’esserne fuori. (Sarà viltà, sarà l’indubbio privilegio di avere da molti anni il mio piccolo pulpito, fatto sta che ogni volta che leggo di questi dolorosi incidenti mi rallegro di avere evitato quei luoghi).
Al netto di questa scarsa confidenza con il contesto, se mi attengo al testo la confusione, se possibile, aumenta. Non trovo una chiave di lettura — auguro alle protagoniste di averne una. C’è un livello di odio e di disprezzo umano molto alto, questo sì, di molte e molti nei confronti di molte e molti, questo lo capisco anche io. Ma le ragioni di quell’odio e di quel disprezzo? Non esistono destra/sinistra, non percepibili moventi culturali (tantomeno la misoginia: in primo piano ci sono donne che accusano donne). E dunque?
L’impressione è di un tutte contro tutte, tutti contro tutti, persone che odiano persone. L’odio ideologico non era migliore di questo odio umano indiscriminato e capillare. Aveva un solo vantaggio: era leggibile. Questo odio minuto, spalmato sulle singole persone, non richiama la politica, neppure nelle sue peggiori espressioni. Richiama il caos.

sabato 1 novembre 2025

Per acclamazione!

 Io invece candiderei questo babbeo al Premio Nobel del Leccaculismo. Esistesse diverrebbe per acclamazione Premio Bocchino! 🤩



Eppure aveva preventivato!

 



Rema idiota!

 



Confermo, è da Nobel!

 



La Cattiveria

 



Tutti a parlare!

 



L'Esempio

 



Boom!

 

Urge antidoping
DI MARCO TRAVAGLIO
La mesta festa di casta nella piazza vuota, fra passanti indifferenti e turisti divertiti da uno sparuto corteo di forzisti che porta in processione il ritratto del defunto pregiudicato B., è la perfetta fotografia della schiforma che separa giudici e pm. La Meloni, leader della “nuova destra” che “non è ricattabile” perché “si ispira a Borsellino”, consegna il suo futuro a una ciofeca piduista, craxiana e berlusconiana (il peggio della prima e della seconda Repubblica) scritta da tal Nordio all’ultimo spritz. Tradisce il grande giudice siciliano e la destra legalitaria. E va a rimorchio della buonanima di B., frodatore fiscale, ma anche corruttore di giudici e compratore di sentenze tramite l’avvocato Previti (a proposito di chi va separato da chi). Il tutto nella totale indifferenza dei cittadini, che già nel 2022 furono chiamati a un referendum per separare i pm dai giudici e il 79,1 restò a casa. Gli unici a esultare sono i maggiordomi della casta, tipo Vespa, che è già in campagna elettorale coi soldi nostri. Lui le carriere separate le ha nel sangue, anzi in casa. La moglie Augusta Iannini era gip a Roma. Nel 1993 la Procura le chiese di arrestare De Benedetti, Gianni Letta e Galliani per le mazzette alle Poste, ma arrestò solo De Benedetti e non gli altri due perché Letta “è un amico di famiglia”. Nel ’96 faceva colazione la domenica con: un giudice, Squillante; un pm, Napolitano; e un avvocato, Virga, legale della Fininvest che teneva Squillante a libro paga (sempre a proposito di chi va separato da chi).
Ma ormai vale tutto. Si cita il caso Tortora, come se fosse dovuto alle carriere unite: ma Tortora fu condannato in Tribunale e assolto in Appello e in Cassazione da giudici che farebbero parte della stessa carriera anche dopo la separazione dai pm. Si cita Zuncheddu, che ha avuto la revisione della sua condanna definitiva in assoluzione non perché sia provato che non c’entrava, ma perché il teste chiave ha ritrattato dopo 30 anni; e a chiederla e a concederla sono stati pm e giudici che ora si vorrebbe separare. Si cita Garlasco, dove a contestare la colpevolezza di Stasi sancita da pm e giudici sono altri pm e giudici, che indagano persino sul pm di prima. Ogni giorno giudici e pm contraddicono e financo indagano colleghi, mentre i politici si coprono l’un l’altro. Ora gli schiformatori assicurano che, con i due Csm e l’Alta Corte disciplinare, per le toghe che sbagliano saranno dolori. Ma l’Alta Corte sarà sempre composta per due terzi da magistrati (giudici e pm, incredibilmente ancora uniti). Idem i due Csm, solo che lì i pm daranno i voti ai pm e i giudici ai giudici. Così si evita il corporativismo tra colleghi, no? Più che un referendum sulla “riforma”, servirebbe la prova del palloncino e il test del capello per chi l’ha scritta.

L'Amaca

 

Meglio curare o bombardare?
di Michele Serra
Non si capisce bene se gli incursori americani, in agguato al largo delle coste venezuelane, si preparano a colpire i narcotrafficanti oppure il governo Maduro. Pare, comunque, che i due target siano in parte sovrapponibili.
Quello che colpisce, volendo alzare un poco lo sguardo, è che quasi tutto l’export della droga venezuelana è destinato agli Stati Uniti, probabilmente tra i maggiori consumatori di sostanze tossiche pro capite del pianeta; volendo aggiungere le droghe legali, psicofarmaci e antidolorifici in testa, il primato statunitense diventa travolgente.
Ora: anche volendo stabilire che bombardare i narcos — gente che si arricchisce sulla malattia e la morte altrui — sia lecito; ci si domanda se il cuore del problema sia colpire l’offerta, oppure, piuttosto, cercare di lavorare per ridurre la smisurata domanda. La dipendenza da sostanze illecite e lecite sembra essere la principale bomba sociale che minaccia la salute dei popoli occidentali, non solo quello americano. Quando mai si è vista una società drogata come quella contemporanea? Se la domanda diminuisse, il potere dei narcos si sgonfierebbe di un bel po’.
L’idea che la repressione, e addirittura un’azione militare, sia la sola via da percorrere, ha portato fino a qui al disastro della salute pubblica e al trionfo del mercato nero. Possibile che nessuno proponga di scatenare la guerra alla droga per via sanitaria, psichiatrica, politica e culturale? Costerebbe di più che mandare la flotta? Oppure mandare la flotta è considerata una spesa corrente, ordinaria, e pagare qualche migliaio di terapeuti in più non si può mettere a bilancio?

venerdì 31 ottobre 2025

Sciopero

 


Tiè!

 



Voglia di vivere

 Dostoevskij, Fëdor Michajlovič. I fratelli Karamazov 

Sedevo qui poco fa e pensavo di me stesso: anche se non credessi nella vita, anche se avessi perso la fiducia nella donna che amo, se avessi perso la fiducia nell’ordine delle cose e mi fossi invece convinto che tutto è disordine, dannazione e, addirittura, diabolico caos, se fossi rimasto colpito da tutti gli orrori della delusione umana, tuttavia continuerei a desiderare di vivere e, dal momento che ho assaporato questo calice, non mi staccherò da esso fino a quando non avrò bevuto fino all’ultima goccia! Del resto, all’età di trent’anni potrei pure gettare questo calice, decidere di non bere fino all’ultima goccia e andare via... dove, non so. Ma fino ai trent’anni, questo lo so per certo, la mia giovinezza sconfiggerà tutto il resto: tutte le delusioni, tutta la repulsione per la vita. Mi sono domandato molte volte: esiste sulla terra una disperazione che possa sopraffare in me questa frenetica e, forse, sconveniente sete di vivere? E ho concluso che, a quanto pare, non esiste, cioè, torno a ripeterlo, almeno fino all’età di trent’anni; allora forse sarò io stesso a perdere la voglia, almeno così credo. Alcuni moralisti tisici e mocciosi – i poeti soprattutto – spesso definiscono gretta questa voglia di vivere. Questa sete di vivere è, in parte, una caratteristica dei Karamazov, questo lo so, e, nonostante tutto, essa esiste anche in te, sono sicuro, ma perché poi dovrebbe essere gretta? La forza centripeta sul nostro pianeta è ancora terribilmente forte, Alëša. Ho voglia di vivere e vivo, anche a dispetto della logica. 

Sebbene io possa non credere nell’ordine delle cose, tuttavia amo le foglioline vischiose che si dischiudono in primavera, amo il cielo azzurro, amo alcune persone che a volte si amano senza sapere esattamente il perché – ci crederesti? –amo alcune grandi imprese umane, sebbene da un pezzo abbia cessato di credere in esse, eppure per una vecchia abitudine le ammiro con tutto il cuore. Ecco, ti hanno portato la zuppa, mangiala, ti farà bene. È ottima, qui la sanno fare bene. Voglio girare l’Europa, Alëša, una volta partito di qui; eppure mi rendo conto di recarmi soltanto in un cimitero, nel più prezioso dei cimiteri, ecco cos’è! Valorosi sono i defunti ivi sepolti, ogni pietra sopra di essi parla di una vita così fervida in passato, di una fede così appassionata nelle proprie azioni, nella propria verità, nella propria lotta e nella propria scienza che io, lo so già, cadrò per terra e bacerò quelle pietre e piangerò su di esse – sebbene, in cuor mio, io sia convinto che quello, da molto tempo ormai, non è altro che un cimitero, niente di più. E non piangerò di disperazione, ma solo perché sarò felice di versare le mie lacrime. Mi inebrierò della mia stessa commozione. Io amo le vischiose foglioline primaverili, il cielo azzurro, ecco cosa ti dico! Qui non c’entrano l’intelligenza, la logica, questo è amare dal proprio intimo, dalle viscere, amare la forza della propria giovinezza...


Mi chiamo Bond

 


Dovrebbe essere la nuova Bond Girl, per la gioia di tutti gli oftalmici…

Jens-Christian Wagner apre la botola

 

Jean - Christian Wagner è colui che oggi apre la botola dell'inverosimile, della disfatta completa di chiunque abbia tentato in passato, di non perdere memoria e dignità del genere umano. 

Wagner è il direttore del memoriale del lager di Buchenwald ed assiste a quello che nessun normodotato vorrebbe mai credere: l'imbarbarimento dei cosiddetti visitatori del memoriale, per di più giovani. 

Già la ministra - ciao core - Roccella aveva definito queste visite ai luoghi terribili della vergogna umana dei campi di concentramento, come delle gite, confermando appieno la sua immensa idiozia. 

Ora il direttore ci dice che alcuni ragazzi appiccicano adesivi con la svastica, all'ingresso urlano "Heil Hitler" e "Sieg Heil" e la cosa più incredibile e che qualcuno di loro si infilano nei forni crematori fotografandosi a vicenda! 

E l'Afd, il partito pseudo nazista tedesco che sta mietendo consensi, appoggia queste bravate e anch'esso definisce gite le visite dei giovani al mausoleo della vergogna, come la cretina nostrana. 

Siamo quindi al capolinea. Se i giovani denigrano e irridono luoghi che dovrebbero invece far riflettere, vuol dire che nessuno, né famiglie né scuola, li sta formando decentemente. 

Questa umanità, questi giovani che scherzano sul baratro di tutti noi, è segno che qualcosa non ha funzionato come avrebbe dovuto, che il tempo odierno è un mix micidiale di ignoranza e demenza sociale. 

Han voglia di sbraitare alla luna! Chi doveva vigilare si è lascito intorpidire come un fesso. Chi doveva combattere la stupidità comune si è lasciato avvinghiare da questo rigurgito mondiale bramante la violenza, il razzismo, la superiorità della razza. 

I morti dei forni attoniti e basiti guarderanno increduli a questa recrudescenza del Male!  

Apache salvo!

 


Di che meravigliarsi se Apache è salvo e il suo processo sarà archiviato? 

Di nulla: fermo restando la fiducia nella magistratura, il cognome di Apache è La Russa e quindi... e quindi nulla. 

Emerge il silenzio attorno alla vicenda, rotto solo dalle parole della giovine accalappiata da Apache ed amico. La poveretta ha dichiarato che "archiviare La Russa è contro la mia dignità di donna." Ma che ci vuoi fare cara amica? 

Il giudice per le indagini preliminari Rossana Mongiardo nella motivazione dice che “nel caso di specie, non vi è la prova che gli indagati avessero effettivamente percepito la presunta invalidità del consenso agli atti sessuali prestato dalla persona offesa”

Ah ecco! 

Ed aggiunge: E questo nonostante “la condotta degli indagati” sia risultata “censurabile, superficiale e volgare sotto diversi profili”. 

Ed infine riguardo ai 4 video: “Pur non potendo concludere con la medesima certezza mostrata dal pm che la persona offesa abbia preso parte agli atti sessuali con piena cognizione di causa, deve tuttavia osservare, anche nell’ottica del principio del favor rei, come tali video non rappresentino in maniera inequivoca una coercizione da parte degli indagati nello svolgimento dei rapporti sessuali con i medesimi”

E così nessun processo per Apache e l'amico, per Leonardo Apache La Russa. 

La Russa 

La Russa 

Prosit! 

Quindi

 


Pino e Superciuk!

 

L’occhio di Nordio per i “cold case”
DI PINO CORRIAS
A Carlo Nordio, ministro di Giustizia, non fa difetto la grazia del tempismo. Aveva appena finito di spararla grossa sui Cold Case da lasciare andare al loro indistinto destino, che gliene hanno risolto uno sotto al naso, nel suo Veneto dove crebbero lui e la sua carriera di magistrato d’alto profilo.
Un delitto doppio e da prima pagina, madre e figlia uccise a martellate sulla spiaggia libera di Rosolina Mare, provincia di Rovigo, il 29 giugno 1998, dentro al loro chiosco, probabilmente per rapina.
“Ogni tanto bisogna avere il coraggio di arrendersi e lasciare la verità agli storici”, aveva appena finito di dire il signor ministro, riferendosi all’omicidio di Garlasco che dopo 18 anni è finito nel labirinto delle impronte vere, finte, presunte e delle chiacchiere a vanvera. Intendendo per estensione i tanti “Casi Freddi” che galleggiano talmente a lungo senza verità che dopo un po’ vengono a noia.
Peccato che a Rovigo ne abbiano appena risolto uno più antico ancora, grazie alla corrispondenza tra il Dna repertato allora su un mozzicone di sigaretta trovato nell’auto abbandonata dai rapinatori e una tale Karel Dusek che soggiornava fino a ieri in un carcere della Repubblica Ceca. “Risolto dopo 27 anni il delitto dei Casoni”, titolavano i giornali locali, raccontando che il presunto colpevole, in quei giorni d’altro secolo, lavorava come lavapiatti nel chiosco delle vittime. Non c’erano abbastanza prove allora. Ce ne sono oggi, confermate dalla banca dati nazionale del Dna nata in Italia nel 2016.
I delitti di sangue non vanno mai in prescrizione, prescrivono i manuali del primo anno di Giurisprudenza e l’ex magistrato dovrebbe non averlo dimenticato a dispetto del cinismo ministeriale che considera i principi e le norme del Diritto sottomesse alla Ragion di Stato, come nel fangoso caso Almasri. Ma sì, chiudiamo, pazienza per le vittime, i familiari, le carte, il dovere, la giustizia, la memoria: versamene un altro, Sam, e poi andiamocene a dormire.

La Cattiveria

 



Lo fate felice!

 



Già, a che serve?

 

Che cosa separano
DI MARCO TRAVAGLIO
Oggi il Fatto riprende la battaglia in difesa della Costituzione contro l’ennesima schiforma che la stravolge in peggio: la separazione delle carriere e dei Csm fra giudici e pm e l’esproprio del potere disciplinare affidato a una ridicola Alta Corte (unica per giudici e pm). È una battaglia, quella per il No al referendum, cruciale e sacrosanta, che va combattuta a prescindere dalle chance di vittoria. Peraltro anche il No alla schiforma B.-Calderoli del 2006 e alla Renzi-Boschi-Verdini del 2016 era dato perdente in partenza, e poi stravinse. Speriamo di portare fortuna anche contro la Gelli-Craxi-B.-Nordio-Meloni.
Oggi, grazie ai Padri Costituenti (quelli veri del 1946), l’assetto costituzionale della magistratura è un modello per il mondo intero. Pm e giudice fanno parte della stessa carriera, con la stessa formazione e lo stesso concorso, perché devono perseguire entrambi la verità processuale: il pm la cerca, il giudice la accerta. Perciò devono essere entrambi imparziali e quindi indipendenti da ogni altro potere. Il pm non è l’accusatore, cioè l’avvocato delle forze di polizia: ricevuta una denuncia o una notizia di reato, è obbligato a esaminarla per accertare se ha ragione l’indiziato o il denunciante. Deve cercare tutti gli indizi senza nasconderne nessuno, altrimenti commette reato (rifiuto di atti d’ufficio) e illecito disciplinare. Nulla a che vedere con l’avvocato, che tira l’acqua al mulino del cliente che lo sceglie e lo paga: il difensore deve far assolvere il cliente e mai gli verrà in mente di rivelare fatti a suo carico, altrimenti commette reato (infedele patrocinio) e illecito disciplinare. Il pm persegue la verità per conto della collettività, il difensore l’interesse del suo assistito. Due figure fondamentali in uno Stato di diritto, ma impossibili da paragonare. Perciò il Consiglio d’Europa dal 2000 raccomanda agli Stati di “consentire a una stessa persona di svolgere successivamente le funzioni di pubblico ministero e quelle di giudice”: è il modello italiano che l’Italia getta a mare. È ovvio a tutti che un pm e un giudice con la stesa cultura della verità e dell’imparzialità sono la miglior garanzia per tutti: sia per le vittime dei reati sia per gli indagati. Purtroppo quel passaggio è già oggi ostacolato dalle leggi Castelli-Mastella del 2006 e Cartabia del 2021: infatti ogni anno solo lo 0,2% dei magistrati cambia funzione. Quindi non è per questo scopo inutile che le destre investono tante energie. Né per lasciare indipendente una casta di 2.250 pm sganciati dalla cultura del giudice, cioè di accusatori assatanati e “giustizialisti”. È per poterli mettere al guinzaglio del governo. Che deciderà contro chi scatenarli e chi salvare. Le vittime della schiforma non saranno i magistrati, ma noi cittadini.

L'Amaca

 

Berlusconi non è Enzo Tortora
di Michele Serra
Festeggiare la riforma della giustizia con una festicciola in piazza, e la faccia lieta di Silvio Berlusconi che sovrasta la scena, è il modo migliore per rendere molto sospettabile la riforma stessa. Se non l’intelligenza, almeno il buon gusto avrebbe dovuto suggerire ai governanti di non consacrare la loro riforma al leader politico che più di ogni altro ha anteposto il proprio potere personale ai limiti di legge, proclamandosi “unto del popolo” e come tale intoccabile — esattamente come Trump pretende di essere, trent’anni dopo.
Berlusconi non è Enzo Tortora. Il suo nome non evoca uno dei tanti e gravi errori giudiziari che macchiano la storia italiana. Non è uno dei caduti nella tragica torsione inquisitoria di Mani Pulite: semmai — storia italiana alla mano — è il leader che se ne è avvantaggiato più di chiunque altro, vedendo sbaragliati i partiti della Prima Repubblica e trovando la strada per Roma libera e agevole.
Sono tra i tanti italiani che non giustificano i modi spicci che alcune Procure hanno messo e mettono in campo; e ancora meno l’entusiasmo mediatico che ha portato, negli anni, a scempiare l’immagine di persone innocenti e a infierire sui colpevoli come se fossero spazzatura. Ma non riesco a vedere in questa riforma niente che, in questo senso, mi rassicuri: solo una specie di frantumazione punitiva del potere giudiziario che non ne affronta i problemi strutturali e non indica neppure mezzo appiglio culturale e giuridico ai tanti magistrati che vorrebbero migliorare la qualità e soprattutto i tempi, di inaudita lunghezza, del loro lavoro.
La sobria, misurata intervista di Gherardo Colombo a Repubblica fornisce anche elementi tecnico-giuridici di critica della riforma, ai quali non credo che i governanti risponderanno. Perché non è migliorare la magistratura, il loro scopo, ma metterla in riga.

giovedì 30 ottobre 2025

Citazione

 


 “Ahi serva Italia, di dolore ostello, / nave sanza nocchiere in gran tempesta”

(Dante Alighieri - La Divina Commedia - Purgatorio Canto VI)

Mi ricorda...

 



La Cattiveria

 



Natangelo

 



A proposito di potentati

 

I giornali del “Padrone” su Elly, Marina e Meloni
DI DANIELA RANIERI
Nella scorsa settimana i giornali del padronato italiano ci hanno tenuto la mente impegnata in un avvincente ping pong: il biasimo nei confronti di Elly Schlein, segretaria del partito che ogni tanto si ricorda di fare opposizione, cosa che scandalizza sempre i benpensanti; e il disaccordo in seno alla maggioranza sul trattamento da riservare alle banche nella legge di Bilancio firmata dal ministro Giorgetti. Si tratta di due temi solo apparentemente scollegati.
Cominciamo dal secondo: perché Meloni, che non le manda a dire a nessuno e anzi è tutti i giorni inferocita con qualcheduno, è così permissiva, per non dire remissiva, con Marina Berlusconi, di fatto trattata, anche dai media, come fosse una componente del governo? La risposta più immediata è: perché Forza Italia, il partito governato da Tajani (nel senso che Tajani ha le chiavi e ogni giorno si reca sul posto per rigovernare le cucine e tagliare le erbacce), è di fatto una delle proprietà della famiglia Berlusconi, un patrimonio che comprende anche banca Mediolanum. Già l’anno scorso il governo (composto da gente che ha preso i voti strillando contro i poteri forti) si era rimangiato la legge sugli extraprofitti delle banche, che comprensibilmente non piaceva a Piersilvio e congiunti; quest’anno, per non urtare gli orfani, si sta pure prodigando per estendere la garanzia, pensata sotto Covid, sui crediti che le banche concedono alle imprese e che queste non ripagano. Così gli ammanchi li ripagherebbe lo Stato, cioè noi. Un bel lavoretto a favore del Capitale, non c’è che dire: mica siamo in Spagna, dove il governo Sanchez ha non solo tassato gli extraprofitti, ma ha anche rifiutato di dare il 5% del Pil alla Nato come ci ha ordinato Trump, cosa che per il nostro governo va invece benissimo, anzi, se occorre diamo anche il 6.
E veniamo al primo punto: da Amsterdam la Schlein aveva detto: “Con l’estrema destra al governo la democrazia è a rischio”, riferendosi all’attentato contro Sigfrido Ranucci, la cui trasmissione Report è costantemente minacciata nella sua libertà da gente di governo (in passato anche dal Pd renziano, va detto). Una frase all’acqua di rose che in bocca a qualsiasi altro leader della sinistra mondiale sarebbe stata un’ovvietà, pronunciata da una che presumibilmente lavora per costruire un’alternativa al governo. Da noi è uno scandalo. Sul Corriere un editoriale di Antonio Polito rimette Schlein al suo posto: “Se ad Amsterdam ci fosse un Rubicone, Elly Schlein l’avrebbe varcato… Dire ai compagni socialisti europei che l’attentato a Ranucci dimostra che ‘la democrazia e la libertà di parola sono a rischio quando l’estrema destra è al governo’, equivale infatti a negare la patente di legittimità democratica all’avversaria”. Non sia mai. Meloni è molto meno pericolosa di Berlusconi: “Non era una donna potente e ricca quando arrivò a Palazzo Chigi; anzi, ha trascorso la gioventù alla Garbatella e in un partito ai margini. Come mobilitare la paura del regime contro una tale biografia? Un manipolo di reduci di Colle Oppio può spaventare quanto un impero televisivo e il suo relativo conflitto di interessi?”. Meloni è stata solo ministra di Berlusconi a 31 anni, e adesso sta al governo con e grazie agli eredi di quell’impero e del suo relativo conflitto di interessi: che vuoi che sia.
Anche Galli della Loggia bacchetta la tiepidissima Schlein: “Dopo l’accostamento fatto da Schlein tra l’attentato a Ranucci e ‘l’estrema destra’, (tra virgolette, ndr) al governo, con conseguente proclamazione della ‘democrazia a rischio’, è forse giunto il momento che la sinistra (senza virgolette, ndr) italiana, i suoi politici e i suoi elettori, i suoi intellettuali e i suoi giornalisti, decidano una buona volta in che Paese pensano di abitare”. Perbacco. “Dipende cioè se la sinistra si considera essenzialmente come la sola speranza rimasta della democrazia italiana… o se invece… pensa di doversi dotare di un programma elettorale, diciamo così normale”. E cosa c’è di anomalo nel fatto che uno dei tre partiti al governo, che possiede il 10% dei voti degli elettori, sia in palese conflitto di interessi con l’intera politica economica del governo stesso e detti legge in tema di Giustizia e sui palinsesti della tv pubblica, specie quando tratta la biografia del già finanziatore di Cosa Nostra? Più normale e democratico di così! Quindi la vera risposta alla domanda “perché la fumantina Giorgia è così remissiva nei confronti di FI e della famiglia Berlusconi” è: per essere gradita al sistema, lo stesso che striglia Schlein per aver detto l’ovvio. Per lo stesso motivo Meloni è atlantista, trumpiana già bideniana, e prona all’Europa dell’isterismo russofobo e guerrafondaio che dispone un colossale riarmo per 800 miliardi da sottrarre ai cittadini di 27 Paesi per investirli in missili e carri armati, cioè in morte. Esattamente ciò che avrebbe fatto un governo Draghi, per dire, quindi tutto a posto.

Ah la democrazia!

 

Le interferenze buone
DI MARCO TRAVAGLIO
La democrazia 2.0 avanza così spedita che non si riesce a starle dietro. Sugli house organ dei famosi “valori occidentali” sono in corso i baccanali per il trionfo di quella motosega di Javier Milei in Argentina. E a sinistra ci si interroga pensosi su come sia possibile che un Paese fallito e rifallito preferisca uno che fa danni da 2 anni ai peronisti che ne fanno da 80. Manca solo il frescone di turno a spiegarci che “si vince al centro”, ma prima o poi arriva. Mentre sono tutti impegnati in polemicuzze da ballatoio sul tasso di liberismo, riformismo e sovranismo di un presidente salvato da uno Stato estero con fondi pubblici, nessuno si occupa della probabile concausa del successo di Milei: il fattore Usa. Un mese fa Milei perde le Amministrative e pare spacciato. Ma Trump gli allunga un assegno di 20 miliardi, lo riceve alla Casa Bianca e ne promette altri 40, ma a una condizione: che le Legislative di medio termine le vinca largamente Milei. Gli argentini imparano la lezione e votano bene.
Provate a immaginare se a comprare i loro voti con una rata prima delle urne e una dopo (come le due scarpe di Achille Lauro) non fosse stato Trump, ma Putin. I nostri atlantisti strillerebbero al voto truccato, agli hacker russi, al complotto putiniano, alla guerra ibrida. Avvisterebbero droni prêt-à-porter dalle parti di Buenos Aires. E chiederebbero ai governi occidentali di non riconoscere le elezioni per farle annullare. Cosa che alle Von der Leyen e alle Kallas non c’è bisogno di chiederla: procedono di default ogni volta che vince il candidato sbagliato. Come in Ucraina nel 2004 e nel 2014, poi in Georgia, Romania (lì, non contenti di annullare le elezioni vinte da Georgescu, hanno pure arrestato il vincitore), in Cechia e Slovacchia. Voi direte: ma da noi non si usa promettere soldi a un Paese in difficoltà se vince Tizio o Caio. Magari: è appena accaduto in Moldova. Un mese fa l’Ue teme che la coalizione della presidente filo-Ue Maia Sandu perda le elezioni per le solite interferenze di Putin. Per non interferire, Macron, Merz, Tusk e Zelensky si uniscono alla Sandu per ammonire i moldavi a votare come dice lei perché “un governo amico di Mosca sarebbe un trampolino di lancio per attacchi ibridi contro l’Ue”. E, sempre per non interferire, la commissaria Ue Marta Kos intima ai moldavi di “scegliere fra democrazia e regime”: se voteranno male, perderanno gli “investimenti dell’Ue” che “sta dando un sostegno senza precedenti alla democrazia”. Intanto la “democrazia” moldava mette fuorilegge due partiti di opposizione perché “filorussi” (cosa piuttosto strana in un Paese pieno di russi della Transnistria). Alla fine, sorpresona: rivincono gli europeisti, i fondi Ue continuano ad arrivare, la democrazia è salva.

L'Amaca

 

Amare Putin gratuitamente
di Michele Serra
Chi ha memoria della grottesca vicenda Mitrokhin, con tanto di commissione parlamentare incaricata di incastrare fantomatiche spie russe infastidendo un sacco di persone rispettabili, è portato a giudicare con una certa prudenza la chiacchierata con il ministro Crosetto che Bruno Vespa ha inserito nella sua consueta strenna natalizia, trasformando in “rivelazioni” un paio di frasi.
Che ci sia qualche italiano nel libro paga di Putin è probabile, la politica mondiale si fa anche con i quattrini e la corruzione. Vedi l’opera complessiva di quasi tutte le amministrazioni americane in Sud America e le iniezioni di rubli con le quali la Russia ha cercato di influenzare le elezioni nei Paesi suoi confinanti a Ovest. Ma la lettura complottista della politica è sempre, nel fondo, meschina e per giunta fuorviante.
Il putinismo di molti italiani, che siano esponenti politici o semplici trafficanti di opinioni sul web, è sicuramente onesto, nonché gratuito. Non ha nulla di losco o di opaco. È schietto disprezzo per la democrazia e per i diritti delle persone. È sincera devozione all’autoritarismo e al nazionalismo come soluzione dei mali del mondo.
I nove decimi degli articoli di giornale o degli interventi nei talk show favorevoli alla Russia di Putin, quelli che “l’Ucraina se l’è cercata”, sono l’espressione di una battaglia ideologica alla luce del sole. Che poi ci sia qualche prezzolato è probabile, ma è un problema collaterale: il problema vero è che la libertà, per molti, è un valore da strapazzo, da sacrificare senz’altro all’ordine dei despoti.

Ero presente!

 


Confermo, passavo di lì per caso: stavano discutendo dei decibel dello starnazzo delle oche!

mercoledì 29 ottobre 2025

Venite!

 


Quella…Quella… incommensurabile testa di kaxxo di Vance le ha definite “Scaramucce”…. Speriamo che 3I/Atlas non sia una cometa, e che ci invadano! E sopratutto che indossino scarponi immensi per dare galattici calci per il culo! Il primo a Vance!

Plusvalore

 



ElleKappa

 



Ma non ci credo!

 

Bombe in Palestina dagli F-15 con pezzi forniti da Leonardo
DI STEFANIA MAURIZI
“Noi non vendiamo un bullone a Israele”, ha dichiarato al Corriere della Sera l’Ad di Leonardo, Roberto Cingolani. Ma documenti a cui ha avuto accesso Il Fatto dimostrano che nel 2024 e nel 2025, quando ormai lo sterminio della popolazione civile di Gaza da parte di Israele era innegabile, la divisione elettronica di Leonardo, esattamente lo stabilimento di Montevarchi in provincia di Arezzo, ha fornito componenti del caccia F-15 a Israele. Si tratta di un velivolo datato, ma l’uso degli F-15 contro la popolazione di Gaza, prima e dopo il 7 ottobre 2023, è stato documentato da autorevoli media israeliani. L’esperto internazionale di armi, Andrew Feinstein, spiega al Fatto che l’F-15 è “uno dei caccia più usati nel bombardamento di Gaza, insieme con gli F-16 e gli F-35. È in grado di trasportare bombe da 2000 libbre, che sono state largamente usate”.
Leonardo è stata citata nel rapporto della Relatrice Speciale delle Nazioni Unite, Francesca Albanese, intitolato Dall’economia dell’occupazione all’economia del genocidio. I documenti in possesso del Fatto sono stati condivisi con il nostro giornale e con un gruppo di giornalisti internazionali dal media online irlandese The Ditch. Sono importanti perché contengono dati come la descrizione dei materiali e, soprattutto, permettono di capire se la fornitura è precedente o successiva all’inizio dello sterminio di Gaza. Informazioni spesso inaccessibili nei portali come quello Istat sulle esportazioni (o sono segretati o i dati sono aggregati e non permettono di avere informazioni puntuali su cosa e quando è stato spedito). Per esempio, nel caso di 4 cannoni Super Rapid 76 mm della Leonardo, l’istituto di ricerca italiano Archivio Disarmo ha concluso che sono stati consegnati per la prima volta nel 2022 e poi nel 2023. Tuttavia, come spiega al Fatto Matteo Taucci, ricercatore di Archivio Disarmo, “per il 2023, non c’è modo di sapere se la consegna è avvenuta dopo il 7 ottobre, in quanto il dato Istat è soggetto a procedura riservata (ossia secretata)”.
I documenti condivisi col Fatto permettono di rivelare che quelle fornite da Leonardo a Israele sono componenti del cosiddetto Head Up Display (Hud) dell’F-15. Il caccia, prodotto dalla Boeing, ha circa 250 pulsanti nella cabina di comando, ma tutto ciò di cui i piloti hanno bisogno si trova su uno schermo posizionato di fronte a loro: l’Head Up Display. La documentazione permette di stabilire che questa fornitura è stata caricata dallo stabilimento di Montevarchi e spedita in Israele almeno in due occasioni, nel dicembre del 2024 e nel marzo del 2025. Spedita attraverso un volo civile LY386 della compagnia israeliana El Al in partenza da Fiumicino. Al Fatto, Leonardo ha prima risposto di non voler commentare, poi ha confermato che lo stabilimento di Montevarchi aveva ricevuto “dalla società israeliana Elop, del gruppo Elbit ordini per lo sviluppo e la fornitura di n. 144 frontalini di controllo di un apparato denominato Head Up Display”. Elbit è la più grande azienda di armamenti di Israele. È una delle 15 aziende che Amnesty International ha identificato per il suo ruolo nell’occupazione illegale e nel genocidio.
Leonardo replica al Fatto che la Elop integra il frontalino di controllo nel sistema Head Up Display e lo fornisce a Elbit Usa, che a sua volta “realizza gli assiemi completi e li fornisce al costruttore di velivoli Boeing”. Aggiunge che i 144 frontalini commissionati a Leonardo sono stati richiesti dall’azienda israeliana tra agosto 2018 e novembre 2022 e “sono consegnati nel periodo febbraio 2019-aprile 2024 a fronte di regolari Autorizzazioni all’Esportazione”. Dal 2019 al 2024, però, la posizione di Israele è radicalmente cambiata e nell’aprile 2024 il massacro di Gaza era in corso da mesi. L’azienda sottolinea al Fatto “il totale rispetto da parte della Leonardo Spa delle leggi nazionali e internazionali relativamente alla vendita di armi a Israele”. Con una nota esplicativa precisa che le due spedizioni di dicembre 2024 e marzo 2025, documentate nei file in possesso del nostro giornale, riguardavano due frontalini di cui Elbit Israele aveva chiesto la riparazione in garanzia nell’ottobre e nel novembre 2024 e “il cliente ha provveduto a spedirli con mezzi propri”. Infine aggiunge: “Auspicando di aver contribuito a ristabilire la verità dei fatti, che in alcun modo legano Leonardo agli accadimenti Israelo-Palestinesi, sottolineiamo ancora una volta la nostra totale estraneità, per cui ogni eventuale ulteriore accostamento alle accuse di genocidio e di non rispetto delle leggi in vigore verrà considerato lesivo degli interessi e della reputazione del gruppo, che intenderà valere le sue ragioni tutelando i propri diritti nelle sedi competenti”.

Robecchi

 

Donald Real Estate. L’edilizia à gogo: la sala da ballo dorata del trumpismo
DI ALESSANDRO ROBECCHI
Chiedo scusa se mi occupo di edilizia, che è una cosa abbastanza importante e, in subordine di Donald Trump, il presidente più “edilizio” della storia, dato che ha fatto parecchi soldi proprio con le costruzioni, soldi che gli hanno permesso di arrivare alla Casa Bianca per due volte, un posto eccellente per occuparsi di edilizia. Non si contano gli interventi e i comizi del presidente in materia, il più famoso dei quali avvenne nel settembre scorso, all’Onu. Erano (e sono) momenti drammatici, con una guerra in corso alle porte dell’Europa – guerra che aveva promesso di far finire in ventiquattr’ore – e un genocidio in corso in Palestina, con la sua amministrazione che forniva (e fornisce) armi agli autori della carneficina. Insomma, ce n’erano cose da dire, ma lui cominciò il suo discorso in veste di geometra-capo, ricordando che molti anni prima le sue imprese avevano proposto un progetto da 500 milioni di dollari per rifare il palazzo, ma l’Onu, manigoldo, aveva rifiutato. “Vi darò marmo e pareti in mogano”, aveva promesso lui, e invece niente, maledizione: il suo discorso “storico” aveva così preso una piega offesa e vittimista, e disse più o meno le cose che dice l’idraulico quando lo chiamate: che l’idraulico prima era un fesso e che dovevate incaricare lui da subito. Un classico.
Altro giro, altra corsa per i progetti della famosa riviera di Gaza, quando Donald postò il famoso video sulla ricostruzione del luogo del genocidio: grattacieli, palazzi, casinò e tutto il campionario di ispirazione Las Vegas, compresa la statua d’oro con le sue sembianze e i dollari che piovevano dal cielo. Una terra martoriata, un cimitero, un mattatoio, trasformato in Real Estate, buoni affari e una Montecarlo mediorientale prossima ventura (spoiler: no, per i palestinesi non c’era posto, ma sarebbero serviti parecchi muratori). Il sogno passò per una pessima provocazione, ma non tutti ci hanno rinunciato definitivamente. Tramontata (molti anni fa) la ristrutturazione del Palazzo di vetro a New York e in stand-by la riviera di Gaza, Donald si concentra dunque sul giardino di casa, non in metafora (il Sudamerica), ma quello vero, quello della Casa Bianca, con pesanti lavori di ristrutturazione che prevedono la già ultimata demolizione dell’ala est per far posto a una magnifica sala da ballo, più di 8.300 metri quadrati, posti a sedere per 650 persone. Un progettino niente male i cui costi sono già lievitati (da 200 milioni, a 250, e ora stimati a 350). Lo stile, per quanto neoclassico in linea con il corpo principale dell’edificio storico, è decisamente San Siro-Babilonese, enorme e sproporzionato, e in più dotato di tutti quei fregi in marmo, stucchi vari e oro che piacciono tanto allo spirito sobrio e misurato di Trump: in confronto il salotto dei Casamonica era una faccenda minimal-chic. Qualcuno ha provato a sollevare questioni di lana caprina, come vincoli storici, permessi, sovrintendenze e altre piccolezze assurde “de sinistra”, ma il presidente e i suoi consiglieri hanno tirato dritto, più concentrati su come raccattare soldi per i lavori, che naturalmente sono arrivati a pioggia. Si fanno i nomi, come finanziatori, di Microsoft, Apple, Amazon e altri giganti, ben contenti di partecipare alle spese. Tutta gente che avrà poi, naturalmente, qualche ringraziamento speciale. Un po’ come quando la zia Pina vi regalò le tende per la casa nuova, e da allora, dite la verità, è la vostra zia preferita, anche se non siete – mannaggia – i padroni del mondo.