sabato 2 agosto 2025

Impercettibili differenze



Lievissime differenze: il bus in Alto Adige differisce impercettibilmente da quelli nostrani: anzitutto la destinazione è scritta prima in tedesco e poi in italiano; la voce della signorina che annuncia la fermata, nipote di Frau Brucker, parla tedesco, la traduzione in italiana è affidata ad una voce maschile, probabilmente uno schiavo addetto al pascolo delle mucche; quando il bus si ferma si apre solo la porta dedicata alla salita, per far aprire quella centrale occorre, oltre a pigiare il tasto, anche recitare a memoria la formazione della nazionale tedesca del 1968; si narra che nel 2005 uno sventurato pescatore amalfitano, in vacanza a Brunico, salì sul bus dalla porta dedicata alla discesa: oltre alle inevitabili scudisciate, di lui si persero le tracce, alcuni dicono che fu inviato segretamente in Baviera a coltivare luppoli, altri preferiscono non rilasciare dichiarazioni. Al momento della salita, devi passare il pass, se sei in hotel è gratis, davanti all’apparecchio posto a fianco dell’autista, dotato di uno sguardo glaciale simile al T1000 di Terminator, che, scrutandoti con uno scanner incardinato nella pupilla, comprende le tue origini italiche, per cui, oltre alla rigidità ferrea tipica del luogo, s’innesca pure un moto dí impercettibile disprezzo, lo stesso che il Genio Villaggio tradusse in “voi italiani, pizza, spaghetti e mandolino!” 
Se per sfortuna o poca dimestichezza non riesci a passare il cell con il pass, nessun problema, il T1000 al volante aspetta, paziente, rigido, impassibile. Narrano le cronache che nel 2014 uno sventurato di Chioggia rimase sette ore davanti all’autista, tra l’indifferenza generale, prima di avere il via libera a sedersi. Durante il viaggio il silenzio è glaciale, ricordante le chiamate per il lasciapassare di epoche lontane…

Ma che razza di str!



Ci fosse una classifica degli stronzi , Galeazzo Bignami ne sarebbe estromesso per eclatante supremazia. Questo idiota dal cognome che porta a riassumere in un termine la sua vergognosa esistenza politica, stronzo appunto, si è permesso di denunciare Francesca Albanese, relatrice ONU che ha detto solo la Verità sul genocidio che stanno compiendo gli assassini sionisti, accusandola di comportamento antisemita. Detto da uno stronzo che si mascherò, tra il serio e il faceto, da nazista agevola i sani di mente, misterioso termine per Galeazzo, a turpiloquiare nei suoi confronti, trovando facilmente rime baciate dal suo nome: Galeazzo, Galeazzo, ma quanto sei incommensurabilmente testa di ….!

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Quarantacinque anni fa l’Italia fu scossa nelle sue fondamenta da un attacco fascista al cuore delle istituzioni. Fascista fu la progettazione dell’ecatombe, fascisti furono tutti coloro che successivamente cercarono di depistare le indagini. Interi apparati dello Stato interagirono in un mefitico mercimonio diretto e coadiuvato da quel gran bastardo di Licio Gelli, al tempo adulato da chicchessia, chiesa e politica compresi. Alcuni carnefici oggi sono già liberi, altri per fortuna marciscono ancora in galera. Sdolcinate dichiarazioni si sono via via snocciolate nel corso degli anni, senza arrivare al nocciolo del problema: fu una strage fascista con la collusione di apparati dello Stato. Ammetterlo renderebbe memoria e rispetto agli 85 martiri.

L’Amaca


Dichiarare guerra alla Svizzera
di Michele Serra 

"Dichiarare guerra alla Svizzera” era una delle fissazioni parodistiche di Cuore e dei suoi lettori. Ora lo ha fatto, per davvero, Donald Trump, che dicono molto irritato perché le banche svizzere hanno spostato buona parte dei loro interessi verso il mercato asiatico, con conseguenze sgradevoli sul debito pubblico americano. E dunque, assecondando la sua sfrenata pulsione punitiva, ha imposto alla Svizzera un dazio altissimo, 39 per cento, simile a quello inflitto a Paesi produttori di jeans e elettronica a basso costo.

Pare che le autorità svizzere non siano contente, e non a causa delle difficoltà che gli orologi a cucù incontreranno sul mercato americano. È una rottura abbastanza trasparente del quieto vivere molto gradito alla finanza mondialista, una turbolenza grave: se i ricchi litigano tra loro — ci si domanda nei peggiori bar del pianeta — almeno qualche briciola cadrà nel nostro piatto?

Il problema, evidente anche ai non economisti e ai non analisti di politica internazionale, è che il sovranismo, lo dice la parola stessa, non ha la concordia tra i popoli tra i suoi obiettivi, optando, semmai, per una lotta suprematista senza tregua, nel continuo desiderio di stabilire chi è il più forte, il più ricco, il più armato, eccetera. Non c’è dubbio che il precedente ordine mondiale non fosse favorevole ai poveri; ma nemmeno si può dubitare del fatto che se i ricchi litigano tra loro, nemmeno mezzo vantaggio potrà confortare il resto dell’umanità. I danni collaterali, possiamo scommetterci, saranno tutti a carico del cosiddetto popolo, che paga il suo dazio da tempo immemorabile, ben prima di Trump.

Natangelo




Eccome se è vero!



Fa fine e non impegna

di Marco Travaglio 

Oggi trovate col Fatto il rapporto di Francesca Albanese, relatrice dell’Onu sui territori palestinesi occupati: una delle rare personalità al mondo che alle parole fa seguire i fatti e ne paga le conseguenze. Abbiamo deciso di pubblicarlo pensando a un bambino di Gaza condannato a vivere nell’ultimo girone dell’Inferno, ad arrostire in fila per ore sotto il sole cocente per strappare, se è fortunato, una ciotola d’acqua sporca e un piatto di brodaglia mista a sassi e sabbia (i famosi “aiuti”), a zigzagare fra le bombe dei droni e le raffiche di mitra dell’Idf e/o della Ghf. Cosa penserebbe se, come pena accessoria, gli toccasse pure vedere i nostri tg o leggere i nostri giornali? Dopo il primo anno di silenzi, quando i morti han superato quota 50 mila è partita in Europa la gara a scaricarsi la coscienza, a costo e a rischio zero. Giornalisti e intellettuali hanno iniziato a usare parole sempre più estreme: pulizia etnica, anzi apartheid, anzi genocidio, anzi tutt’e tre le cose, tié; Netanyahu assassino, anzi macellaio, anzi nazista, anzi tutt’e tre le cose, così impara. Per il bambino di Gaza e per il governo Netanyahu non cambia un bel nulla, ma vuoi mettere come si sente fico chi si riempie la bocca di tutti quei bei paroloni? Gli mettono pure un sacco di like sui social.
Anche i politici hanno escogitato una trovata che fa fine e non impegna: annunciare o invocare il riconoscimento dello Stato di Palestina, che non è nato quando lo riconoscevano 147 Paesi e continuerà a non nascere quando e se lo riconosceranno pure Francia, Germania, Uk, Canada e altri trafelati neofiti. Però vuoi mettere quanto sembrano coraggiosi Macron, Merz, Starmer e gli altri paraculi? Senza quella magnifica dichiarazione d’intenti, dovrebbero fare qualcosa di concreto per salvare i palestinesi superstiti, costringere Netanyahu a fermarsi e creare le condizioni perché lo Stato palestinese possa un giorno nascere davvero. O almeno spiegare perché non fanno nulla: 18 pacchetti di sanzioni alla Russia e zero a Israele, che diversamente dalla Russia è nostro alleato e non ha le risorse naturali, industriali e diplomatiche di Mosca per resistere a embarghi economici e militari. Invece ora, se qualcuno osa fare domande, possono rispondere: “Ma io ho detto che riconoscerò lo Stato palestinese, che volete da me?”. Intanto Netanyahu & C. continuano a massacrare i palestinesi di Gaza al ritmo di cento al giorno, a inzeppare la Cisgiordania di colonie illegali e a frenare il calo di consensi in Israele perché gli alleati parlano, tuonano, strepitano, ma non fanno una mazza. Però ora il nostro bambino, mentre fa lo slalom fra le bombe e le raffiche di mitra, sa che qui è pieno di gente che riconosce il “genocidio” e lo “Stato palestinese”. E può morire tranquillo.

venerdì 1 agosto 2025

Eh purtroppo



“È che abbiamo comprato grilletti Durex ultrasensibili!”

Palio e dintorni


Patetico!

 



Ellekappa



 

Cos'è il coraggio


 

Dai coraggio Chicco!

 



Il Dragone corre!

 



Solo i titoli

 



Proprio non riesco!

 




Classifica luglio

 



Zzzzzzz

 

Modalità opossum
DI MARCO TRAVAGLIO
Il via libera di Conte a Matteo Ricci nelle Marche è forse obbligato, ma rischioso. Dalle carte finora rese pubbliche – l’invito a comparire come indagato per corruzione – si evince che la vecchia giunta Ricci a Pesaro affidò senza gara appalti ed eventi a due associazioni create ad hoc da amici del suo braccio destro che poi lo “ringraziarono” con 100 mila euro. Ma non emergono elementi che dimostrino la sua consapevolezza o complicità nello scambio. E nessuno sa se i pm che lo accusano di concorso in corruzione quegli elementi li posseggano e li tengano nel polsino o no. Giusto prendere tempo per leggere le carte disponibili e attendere gli interrogatori: se i Ricci-boys avessero accusato l’ex sindaco che li scarica di essere connivente con loro, non solo il M5S avrebbe dovuto mollarlo, ma forse persino il Pd avrebbe estratto la testa dalla sabbia. E scelto una linea un po’ meno indecente del “Ricci si dice estraneo, quindi è estraneo” (oste, è buono il vino?). Ma i Ricci-boys hanno fatto scena muta. E nessuno può sapere quando parleranno e cosa diranno: confermeranno la sua difesa insaputista (“Non so nulla perché non mi occupavo di appalti”) o la smentiranno, magari sollecitati da qualche asso uscito dalla manica dei pm? Nel primo caso, Ricci ha la strada spianata, elettori permettendo. Nel secondo, la partita chiusa ieri si riaprirà con la richiesta di rinvio a giudizio quando non ci sarà più nulla da fare: se sarà prima delle elezioni, i 5Stelle inviteranno a non votare Ricci; se sarà dopo, usciranno dalla giunta (come in Puglia da quella di Emiliano, neppure indagato), oppure il Pd si ricorderà di avere un Codice etico che impone le dimissioni ai rinviati a giudizio per corruzione.
Quindi Conte sostiene Ricci come la corda sostiene l’impiccato: appoggio condizionato e a tempo. Il che rende ancor più assurde le decisioni del Pd di candidarlo e, con l’aggravarsi dello scandalo, di confermarlo: Ricci, eurodeputato da appena un anno, tale doveva restare per onorare il mandato degli elettori fino al 2028. Ora invece, se sarà eletto presidente delle Marche, passerà mesi o anni appeso agli umori dei suoi ex fedelissimi. Queste sono le ragioni, non penali ma politiche, che avrebbero dovuto indurre il Pd, a conoscenza del caso fin dall’inizio, a scegliere un altro. Invece Schlein&C. si sono finti morti in modalità opossum. Come a Milano, dove mesi di inchieste giornalistiche e poi l’avviso a Sala e le richieste d’arresto per il resto del Sistema Milano non sono bastati per affrontare una questione morale (non penale) grande come un grattacielo. Così ieri gli arresti sono arrivati. Ma l’opossum, dopo essersi finto morto per sfuggire ai predatori, si rimette in piedi. Nel Pd ancora tutto tace: più che tanatòsi, è rigor mortis.

L'Amaca

 

Chi manda avanti il mondo
di MICHELE SERRA
Come capita a molti, mi sono fatto male (caduta in scooter) e sono finito in ambulanza al pronto soccorso.
Milano, ospedale Fatebenefratelli. E come capita a molti, anche se non a tutti, sono stato prima soccorso, poi visitato, medicato, radiografato, suturato, disinfettato, incerottato come una mummia, infine dimesso perché non avevo niente di rotto.
I pronto soccorso non sono luoghi facili.
C’è il dolore e lo spavento, c’è quello che urla, quella che piange, quello che non vuole aspettare, ci sono il sangue, il pallore, lo sgomento, l’attesa e la paura. Ci si sente più indifesi, più guardinghi, più irascibili. In questo mare procelloso, mi è sembrato che soccorritori e barellieri, infermieri e medici, fossero forti e tranquilli, e non so se sarei capace di altrettanto. Ho avuto la fortuna (il caso a volte parla molto chiaro) di essere accolto e assistito da una specie di pool di sole donne, con l’eccezione dell’infermiere siciliano — di Licata — che mi ha portato in radiologia. Attorno alla mia barella insanguinata c’erano tre giovani dottoresse e una giovanissima infermiera che, se il mondo funzionasse per il verso giusto, dovrebbe essere nominata primario entro una settimana.
Ho pensato che il mondo funziona, incredibilmente, e a dispetto delle sue spaventose tare, per merito delle persone.
Che sono le persone, una per una, a impedire che prevalga il caos. Il mondo sembra disfarsi fino a che qualcuno, in fin dei conti non per obbligo ma per senso del dovere, provvede a rammendarlo. Voglio ringraziare le innominate donne in camice che mi hanno soccorso, sopportato e curato. Le ho sentite mie simili, e mi è sembrato che anche loro mi trattassero come un loro simile. Per il servizio sanitario nazionale: hip hip hurrà! E guai a chi non lo premia, non lo aiuta, non lo porta in palmo di mano.

giovedì 31 luglio 2025

Nel gelo del cuore


A volte capita improvvisamente d’incontrare il dolore, nelle forme più infime, come il padre di stamani davanti al figlio giovane, invaso dall’eroina, traballante, col ciuffo biondo che protestava con la classica voce arrocchita, davanti ai suoi occhi sanguinanti, imploranti, stupiti, devastati. Quello sguardo raggelante, frutto di un impotenza annichilente, di chi vorrebbe ma non sa che fare, certificatore di notti passate a sperare di rivederlo il giorno dopo, assieme alle promesse mancate dalla dipendenza. Potesse quel giovane vedere col cuore quello sguardo paterno, probabilmente farebbe di tutto per ritornare a vivere. Soprattutto per farlo cessare.

Attrazione



Sempre più attratto dall’Australia…

Potere grammaticale



Lo stratosferico potere dell’apparentemente inutile Virgola…

Mannaggia!

 


Kranoso

 



Ritratto al Pino

 

Boeri, l’archistar dagli occhiali tatuati che scruta dai rami
DI PINO CORRIAS
Stefano Boeri si è reso memorabile per gli occhiali tridimensionali tatuati sulla fronte che perfezionano il suo incedere nerovestito, come si conviene agli architetti di moderna architettura. Nonché per il suo Bosco Verticale che doppiamente svetta sul nuovo cuore pulsante di Milano – la piazza intitolata all’incolpevole Gae Aulenti – con i suoi 360 inquilini che hanno scucito 15 mila euro al metro quadro, in cambio del privilegio di vivere nel “grattacielo più bello del mondo”, tra le zanzare, 21 specie di uccelli residenti, 800 alberi, 21 mila tra piante e arbusti. Tutti accatastati intorno agli appartamenti, purtroppo al buio.
I magistrati che indagano sul Miracolo (del Mattone) a Milano – milioni di metri quadri destinati al cemento nella più classista tra le rigenerazioni edilizie di una metropoli sempre meno democratica – gli hanno perlustrato i progetti, le amicizie e il cellulare. Mettendo al centro dell’inchiesta le sue multiple relazioni con il carissimo sindaco Beppe Sala, con il dominus tra i costruttori, Manfredi Catella, con gli assessori funzionali, con i titolari della potente Commissione Paesaggio, più l’intero jet set della capitale morale, che gli hanno fruttato preziosi appalti a partire dal D Day dell’alta finanza internazionale sbarcata alla conquista di Expo 2015. Oltre che a tre avvisi di garanzia collezionati in due anni, uno per la riqualificazione del Pirellino, il secondo per turbativa d’asta e false dichiarazioni nel progetto della Beic, la Biblioteca europea di informazione e cultura; il terzo per lottizzazione abusiva e abuso edilizio nel progetto del Bosconavigli.
“Ho fiducia nell’autorità giudiziaria – ha detto Boeri in tutte e tre le spiacevoli occasioni –. E confido nella verità”. Giusto. Ma anche un po’ confida nella buona stella della sua carriera, nella fama mondiale conquistata a colpi di grattacieli costruiti nel mondo, da Shenzhen a Tirana, grazie ai progetti di riqualificazione dei porti di Marsiglia, Napoli, Trieste, alle risistemazioni di stazioni ferroviarie, centri storici, nonché per la sontuosa Casa del Mare all’isola della Maddalena, l’hotel extralusso costruito per ospitare il G8 di Berlusconi in Sardegna, anno 2009, abbandonato per i lavori troppo in ritardo e con troppi guai: 629 milioni di euro buttati nel mare blu, i cristalli masticati dalla ruggine, Obama e gli altri capi di Stato trasferiti sulle macerie di L’Aquila, monito involontario alle vanità di ogni architettura.
È imbottita meglio di un divano De Padova la storia di Stefano Boeri, nato nell’anno 1956, predestinato alla permanente prima classe con salottino insonorizzato. Formidabile fu la famiglia: Renato Boeri, il padre, neurologo di fama, direttore sanitario del Besta di Milano, oltre che comandante partigiano ai tempi suoi. Cini Boeri, la madre, anche lei staffetta partigiana in gioventù, mosca bianca dell’architettura al femminile, titolare di studio e carriera internazionali, allieva comunista di Portaluppi, Aldo Rossi e di Giò Ponti, signora social d’alta classe, amica di Giorgio Strehler, Aldo Aniasi, Giulio Einaudi. Una scheggia di nobiltà incorporata ai guanti bianchi dei maggiordomi che servono a tavola, anche quando vengono i ragazzi del Movimento studentesco, compagni di Stefano e dei due fratelli, Sandro, il più grande che farà il giornalista, Tito, il più piccolo, economista svezzato all’Ocse a Parigi, consulente della Banca Mondiale e del Fondo monetario internazionale.
Tutti rampolli di quella tormentata e colta e democratica borghesia milanese, con patrimonio annesso, casa su tre piani in piazza Sant’Ambrogio, davanti al Cenacolo di Leonardo, vacanze estive nella villa in Sardegna, vacanze invernali a Celerina, a due passi da St. Moritz, ma con più charme e meno gioiellerie.
Archiviato l’estremismo di gioventù, un po’ meno la spocchia, Stefano decide di seguire le orme di mamma. Laurea al Politecnico. Master a Venezia. Studio a suo nome. Dice da sempre di “essere ossessionato dagli alberi” e dall’idea di “guardare il mondo dai rami”. Anche se per lavorare non disdegna nulla di mattoni e calcestruzzo. Lavora per Letizia Moratti sindaco. Per Berlusconi premier. Per Salvatore Ligresti palazzinaro. E avendo sposato la nipote di Piergaetano Marchetti, plenipotenziario di Rcs, anche per la nuova sede di Rizzoli.
Tra i rami del suo futuro, intravede la carriera politica: nel 2010 si candida alle primarie del Pd contro Giuliano Pisapia, avvocato, anche lui d’alto lignaggio milanese. Perde. Non scende da cavallo e a Pisapia sindaco, chiede l’assessorato alla Cultura. Lo ottiene. Ma fare il numero 2 non gli si addice. Convoca conferenze stampa e annuncia progetti all’insaputa del sindaco, che lo sopporta per una ventina di mesi prima di convocarlo alle sette di sera del 13 marzo 2013 per licenziarlo in 15 minuti. Boeri fa il finto tonto e su Facebook scrive: “È una decisione che non mi è stata motivata”.
Non conoscendo il vuoto, torna all’architettura. L’idea del Bosco Verticale racconta di averla avuta leggendo Il Barone rampante di Italo Calvino. Quasi mai aggiunge di avere studiato e ammirato i Muri vegetali, realizzati da Patrick Blanc, artista e paesaggista francese. Guai a dirgli che il suo Bosco Verticale costruito nel 2014 dalla Coima del suo amico Manfredi Catella, rappresenta un ecologismo di facciata, destinato alla falsa coscienza dei super ricchi che vanno ai meeting sui disastri climatici usando il jet personale e fingono di non sapere che l’ambientalismo senza lotta di classe è giardinaggio. O che tra costruzione, manutenzione, irrigazione, il doppio capolavoro dell’orgoglio milanese ha costi spropositati. Compresi quelli dei flying gardeners, i “giardinieri volanti” che ogni tre mesi si calano dal tetto delle due torri con corde lunghe 300 metri per disinfestare, disboscare, lavare.
Boeri sale anche lui sui tetti della carriera. Insegna Urbanistica al Politecnico di Milano e a Harvard. Dirige il Future City Lab di Shangai. Partecipa a tutti i Forum su Biodiversità e Forestazione urbana nel mondo. Nel frattempo dirige Domus e Abitare, le due più autorevoli riviste italiane di architettura, per poi trasferirsi alla presidenza della Triennale a Milano. Alla quale, nel 2020, associa la Fondation Cartier di Parigi firmando un accordo di collaborazione per otto anni, ottimo per il prestigio della Triennale, ma anche fortunata circostanza per lui, che viene scelto per arredare la nuova “Residence Cartier” di via Montenapoleone, definita “spazio flessibile tra sontuosità e minimalismo” qualunque cosa voglia dire. Gli odierni inciampi giudiziari, sono macchie d’inchiostro tra i rami. Se lavabili dai giardinieri volanti della procura, vedremo.

Russofobi di parte

 

Russofobi col broncio
DI MARCO TRAVAGLIO
Scandalo, orrore, raccapriccio: il ministero degli Esteri russo copia i migliori quotidiani italiani e pubblica una lista di proscrizione con gli “esempi di russofobia”, fra cui alcune perle di Mattarella, Crosetto e Tajani. Il quale convoca l’ambasciatore Paramonov per chiedere “spiegazioni”. Noi vorremmo essere una mosca o – se mosca è troppo russofilo – una zanzara, per assistere allo storico incontro. Tajani redarguisce da par suo il diplomatico russo: “Come vi permettete di darci dei russofobi?”. E quello se la ride: “Pensavamo che per voi l’aggettivo russofobo non fosse un insulto, ma un complimento”. Poi consegna al presunto ministro un paio di volumi della Treccani con la lista degli episodi di russofobia promossi o istigati o tollerati dai governi Draghi e Meloni col consenso o nel silenzio di Mattarella: direttori d’orchestra, artisti, intellettuali e sportivi cacciati-discriminati-perseguitati-insultati in quanto russi, balletti russi banditi dai teatri, corsi universitari su Dostoevskij sospesi, partnership scientifiche fra atenei italiani e russi cancellate, liste di proscrizione contro giornalisti russi e analisti italiani spacciati per putiniani e trascinati al Copasir e/o radiati dalle tv, vagonate di armi inviate all’Ucraina per “sconfiggere la Russia”, mega-piani di riarmo per l’auspicata guerra alla Russia. E, a mo’ di dedica, la lectio magistralis di Mattarella a Marsiglia che l’anno scorso paragonò la Russia attuale al Terzo Reich di Hitler, sconfitto soprattutto grazie al sacrificio dell’Unione Sovietica con 28 milioni di morti.
Tutte cose che parrebbero eccessive anche se fossimo in guerra con la Russia e risultano vieppiù incomprensibili in assenza di dichiarazioni di guerra di Roma a Mosca o viceversa. Anche perché chi le ha volute o avallate denuncia, giustamente, la peste gemella della russofobia: l’antisemitismo di chi confonde il governo israeliano col popolo ebraico. Ieri Mattarella ha attaccato l’“angosciosa postura aggressiva della Russia in Ucraina, un macigno sull’Europa” e poi i morti e la fame a Gaza, solo che lì non ha evocato né angosciose posture aggressive né macigni: ha deplorato, giustamente, la “diffusa tendenza alla contrapposizione irriducibile, alla intolleranza per le opinioni diverse dalle proprie, al rifugio in slogan superficiali e pregiudizi tra cui riaffiora gravissimo l’antisemitismo, che si alimenta anche di stupidità”. Ma lo stesso si può dire della russofobia di chi paragona ai nazisti i russi che li sconfissero, o esclude la Russia dalle celebrazioni per la liberazione di Auschwitz a opera della Russia, mentre finanzia e arma il battaglione Azov e altre nazi-milizie ucraine. Questi russofobi sono proprio dei bei tipi: se li chiami per nome, anziché appuntarsi al petto la sudata medaglia, si offendono.

L'Amaca

 

La teoria degli insiemi
di MICHELE SERRA
Riassumendo: se a uno non piace Putin, è russofobo. Se a uno non piace Netanyahu, è antisemita. Ne discende, per la proprietà transitiva, che se a uno non piace Trump è antiamericano, se uno detesta gli ayatollah è islamofobo, se uno non sopporta certi talk show è contro la televisione.
Qualcosa non quadra. Decisamente: non quadra. È sufficiente un elementare sondaggio dentro ognuno di noi per capirlo.
Io per esempio detesto Putin, che è russo, ma amo Tolstoj e Bulgakov e Stravinskij, che sono russi. Mi ripugna Netanyahu, che è ebreo, ma amo Dylan, Roth, Einstein (segue una lista interminabile) che sono ebrei.
Trump mi sembra l’ultimo gradino dell’umano, ma senza la cultura americana, il cinema americano e tante altre cose americane, la mia testa sarebbe molto più povera. Odio (sì, odio) il regime iraniano ma sono stato in quel Paese e quel popolo meraviglioso mi ha conquistato. E considero la televisione una grande occasione di conoscenza e di intrattenimento anche se alcune trasmissioni mi danno l’orticaria per quanto sono brutte e volgari.
E dunque? E dunque bisogna respingere al mittente la stupida confusione tra la parte e il tutto. Putin e la sua cerchia di pretoriani NON sono la Russia, gli ayatollah NON sono l’Iran, Netanyahu NON è l’ebraismo, eccetera. Già nelle scuole primarie (se sono aggiornato con i programmi) si studiano gli insiemi. Beh, io metterei nello stesso insieme, quello dei prepotenti, Putin, Netanyahu, Trump, gli ayatollah eccetera. E in insiemi ben distinti, ben differenti, i russi, gli americani, gli ebrei, gli islamici, le donne e gli uomini di tutte le latitudini che non si riconoscono nella prepotenza e nella brutalità.

mercoledì 30 luglio 2025

Situazione attuale

 



Uno splendido Alessandro!

 

Riforme La parola “sinistra” è ormai uno scioglilingua: urge una moratoria
DI ALESSANDRO ROBECCHI
Quando le parole diventano lise e consunte, mostrano l’usura del tempo e i danni dell’uso scriteriato, è meglio cambiarle, o smettere di usarle. Se una parola vuol dire troppe cose, allora non vuole più dire niente, se chiunque può usarla a vanvera e interpretarla in un milione di modi, o tirarla di qua e di là a seconda della convenienza, finisce che genera solo confusione. Direi che è il tempo di chiedere una moratoria di qualche anno sulla parola “Sinistra”, che risulta ormai la più grossa truffa in commercio dopo lo scioglipancia di Wanna Marchi, che almeno qualche speranza ai gonzi la dava, e la sinistra invece manco quello.
Basta una rapida occhiata all’eterna pochade italiana per rendersi conto di quanto sia intricata la matassa in un Paese dove si considera “di sinistra” Renzi, a volte persino Calenda, ma anche gli operai che chiedono il contratto scaduto da anni, ma anche i centri sociali, ma anche il Pd, sia quello di destra che quello di sinistra. È (sedicente) di sinistra Minniti che firma gli accordi con i libici perché tengano i migranti nei loro lager, e sono di sinistra le Ong che vanno a salvarli in mare quando quelli riescono a fuggire. È di sinistra chi ha scritto e votato il Jobs act, una legge contro i lavoratori, ed è di sinistra chi lo contesta, compresi i lavoratori, non tutti, perché molti, stufi di questo balletto delle millemila sinistre, hanno votato a destra.
Non passa giorno che qualcuno indichi questo o quello come fulgido esempio di sinistra, cosa che fanno soprattutto i furbetti della sinistra di destra. Esultanza scomposta a ogni passo, o dichiarazione, o decisione di leader che di sinistra non hanno nulla (per esempio Starmer, in Inghilterra, oggi bastonatissimo dai sondaggi dove si impone una sinistra vera, quella di Corbyn), e ieratica indicazione della via, sempre moderatissima, ovviamente. Dall’altra parte ci si arrampica sugli specchi per trovare parole più precise. Vera sinistra, oppure sinistra-sinistra, oppure sinistra radicale. Non si sa più che fare per districare la matassa, ma ancora una volta ci pensa la sinistra rosé a risolvere il problema: generalmente chi dice cose di sinistra (o che un tempo sarebbero state sacrosantamente di sinistra, tipo ridurre le diseguaglianze, o migliorare la posizione delle classi meno abbienti) viene bollato come “populista” e morta lì. Altro vezzo divertente è di far seguire l’aggettivo “liberale” ad ogni parola di senso compiuto, per cui c’è una “sinistra” che continua a berciare di “democrazia liberale”, come se non essere liberali (parola superelastica, che va da Pinochet a Einaudi) impedisse di essere “di sinistra”. È di sinistra aiutare i ricchi, così staranno un po’ meglio i poveri, ed è di sinistra lottare per aumentare le tasse ai milionari. In parole povere è di sinistra tutto quanto fa costantemente a botte, in un testacoda perenne che genera mal di testa e giramenti di capo (oltre che di coglioni).
Si aggiunga che, secondo la destra, è di sinistra tutto quello che non è riconducibile direttamente alla destra, quindi abbiamo un Sala sindaco del cemento “di sinistra”, e comitati di inquilini che chiedono il diritto a un abitare decente, che però non possono opporsi troppo, cioè non possono essere troppo di sinistra, perché sennò “vince la destra”. In tutto questo trionfa l’imbarazzo e domina l’autoanalisi. Sei di sinistra? Boh, dipende.
Date retta, urge una moratoria, e intanto che si sviluppi la ricerca di altre parole, meno consunte, più sensate, meno scioglipancia alla Wanna Marchi.

Come contraddirlo?

 

Scene da un manicomio
DI MARCO TRAVAGLIO
Forse è inutile pretendere un po’ di logica nel manicomio di questo dibattito pubblico, ma ci proviamo lo stesso.
In un autogrill di Lainate un gruppo di esagitati insulta un francese di religione ebraica e suo figlio, che indossano la kippah, urlando “Palestina libera”, “Assassini”, “Andate a casa vostra” e altre assurdità. Sono indignati per lo sterminio a Gaza, ma anche molto ignoranti, perché lo addossano a due persone che non sono né governanti israeliani (cioè colpevoli dello sterminio), né cittadini israeliani (cioè incolpevoli di tutto), ma francesi di religione ebraica (che, nel caso di specie, equivale alla fede cristiana, islamica, buddista, mormone). Poi si passa alle botte quando il francese, comprensibilmente offeso, trascende minacciando uno dei tizi: “Vieni fuori che ti spacco la faccia”. Quindi no, non si può dire – come fanno politici e media sfusi – che in Italia l’antisemitismo è arrivato al punto che la gente per strada lincia gli ebrei solo perché ebrei. Si può dire invece che questi episodi sono il frutto avvelenato di un mix terrificante: lo sterminio dei palestinesi a Gaza per mano del governo Netanyahu impunito, armato e spalleggiato dai governi europei; la doppia morale occidentale sui crimini di “amici” e “nemici” (se censuri e discrimini scrittori, musicisti e sportivi russi solo perché russi, scambiandoli per il loro governo, qualche somaro parallelo si sentirà in dovere di fare lo stesso con gli ebrei, confondendoli con gli israeliani e con il loro governo); l’ignoranza crassa sulla storia d’Europa e del Medio Oriente a ogni livello.
I commenti alla resa di Ursula von der Leyen in ginocchio da Trump sono quasi tutti insulti al presidente Usa: farabutto, mafioso, estorsore ecc. Come se fosse stato eletto per fare gli interessi dell’Europa e li stesse tradendo. Purtroppo è stato eletto dagli americani per fare gli interessi degli Usa: nulla di strano se li fa, taglieggiando gli altri Paesi per riequilibrare la bilancia commerciale del suo. Traditore è chi è stato eletto per fare gl’interessi dell’Europa e fa regolarmente quelli degli Usa: cioè la VdL e chi sostiene la sua demenziale Commissione (tutti i partiti italiani tranne M5S, Lega e Avs). Non tanto per i dazi, che della doccia scozzese sono il male minore: quanto per l’impegno a non tassare i Big Tech e a investire oltre mille miliardi in Usa per acquistare ancora più armi (per i piani di riarmo Ue & Nato), petrolio e gas liquido (che ci costa il quadruplo di quello russo). Prima di insegnare agli americani da chi devono farsi governare sventolando il manifesto di Ventotene o straparlando di sovranismo, dovremmo prendere qualche ripetizione. Se un fornaio ti chiede di comprare il pane da lui a 12 euro al chilo anziché a 3 da un altro e tu accetti, la colpa è sua o tua?

L'Amaca

 

Lo shining del fanatismo
di MICHELE SERRA
Pestare un francese ebreo incontrato in autogrill — senza sapere chi è, cosa pensa, come vive, e senza tenere conto che con lui c’è un bambino di sei anni — solo perché indossa una kippah e reagisce agli insulti; e pensare che pestarlo significhi essere “dalla parte di Gaza”, richiede una buona dose di stupidità. Ma la stupidità non basta. Bisogna lasciarsi possedere da quella specie di shining negativo, inconfondibile, che è il fanatismo, una specie di ossificazione del pensiero che devasta una minoranza di persone; però una minoranza così attiva, così rumorosa, così prevaricante, da guastare anche la vita degli altri.
Sarebbe interessante sapere chi sono gli autori del gestaccio. Non per punirli o biasimarli (non serve a niente: il fanatico gode dei propri torti, li considera prove sul campo della sua eccellenza morale, si sente vittima anche quando è prevaricatore), ma per capire meglio. Cosa leggono, se leggono?
A quali siti si abbeverano e in quali chat si autobenedicono? In quali stanze refrattarie al mondo rinforzano i loro precetti (in questo caso: ebreo uguale Netanyahu. Che è come dire: russo uguale Putin, arabo uguale terrorista, americano uguale Trump, italiano uguale mafioso, eccetera)?
Se il fanatico di destra (il fascista) è in qualche modo coerente con un pensiero di prevaricazione fisica e di sottomissione degli altri, come fa il fanatico “democratico”, che si ritiene portatore di solidarietà e uguaglianza e, non c’è bisogno di dirlo, pacifista fin dalla nascita, a bruciare bandiere, picchiare persone, sbraitare insulti e odio, senza sentire cigolare i suoi cardini? Non c’è risposta, e anche la domanda è inutile.
Perché il fanatico, in ogni domanda, in ogni dubbio, legge solo cedimento e tradimento.

martedì 29 luglio 2025

Dategli torto!

 



Il ras dei bari

 




Quando uno è un acclarato ribaldo frega anche quando gioca da solo!

Disattenzioni

 



Ellekappa

 



Natangelo

 



Nella tragedia del genocidio

 

Gaza, lo sterminio a tre ore da noi
DI PINO CORRIAS
Noi che viviamo sicuri nelle nostre tiepide case, seduti ogni sera, davanti agli sbuffi di polvere che si alzano sulle macerie di Gaza, alle esplosioni che illuminano la notte di Khan Younis, ai cadaveri senza identità accatastati nelle fosse comuni, ai bambini ridotti a scheletri, ci chiediamo quanto veleno militarista, quanto veleno religioso, quanto veleno ideologico occorrano per trasformare una vendetta in un massacro senza fine. E come sia possibile ritrovarci a respirare di nuovo dentro al nero inchiostro della premonizione di Primo Levi: “Siccome è successo, succederà ancora”.
Al netto delle briciole concesse da Israele, un corridoio lungo dieci ore al giorno ai camion degli aiuti umanitari, siamo tutti precipitati indietro nel tempo. Di nuovo spettatori del lager, testimoni di un massacro che avviene davanti al mondo, a tre ore di volo dalle nostre vacanze, dai nostri fantocci della politica e della diplomazia, dalle balbettanti corrispondenze dei nostri telegiornali che chiamano lo sterminio “un nuovo raid delle Forze armate”, o peggio, “una nuova offensiva”. E dicano, come niente fosse “bombardata la tendopoli di Deir El Balah” e poi “nuova strage tra gli sfollati in fila per il cibo, oggi sono 32”, senza spiegarci come sia possibile bombardare una tendopoli che è “area umanitaria” per eccellenza, e sparare sugli sfollati, che sono donne e bambini, aggrappati alle loro pentole vuote.
Due inferni sulla Terra ha fabbricato il fanatismo ideologico, negli anni 30 dell’altro secolo: lo sterminio degli ebrei nei campi di concentramento nazisti voluto da Hitler e dalla sua Germania uncinata, classificato come Soluzione finale. E lo sterminio per fame, imposto in Unione Sovietica da Stalin e dagli apparati comunisti, contro il popolo ucraino, l’Holomodor. Sei milioni di morti il primo. Tra i tre e i cinque milioni, il secondo.
Netanyahu e il suo governo, Israele e il suo esercito, li stanno imbracciando entrambi contro i palestinesi imprigionati a Gaza, per vendicare i 1200 ebrei uccisi da Hamas e i 250 rapiti, tutte vittime del 7 ottobre 2023, in un raid preparato per mesi dai miliziani, senza che gli occhi satellitari di Israele si accorgessero di nulla, come nel nulla erano finiti gli allarmi dei Servizi segreti militari. Per poi deflagrare nel furore di questa vendetta infinita e finale, 21 mesi di bombardamenti, che nessuno riesce più fermare.
Le bombe e la fame. I missili e le malattie. Quasi 60 mila palestinesi sono già morti sotto le bombe, altre migliaia di vittime sono scomparse sotto le macerie. I jet e i droni hanno raso al suolo il 70 per cento di tutto: le case, gli ospedali, le strade. Da marzo – secondo il piano ideato come seconda fase del massacro – l’esercito ha bloccato i camion di cibo e acqua degli aiuti internazionali al di là dei valichi di frontiera, per poi fucilare, ogni giorno, i civili che si addensano in folle rese isteriche dalla fame, nei punti in cui viene distribuita la farina: l’alimento indispensabile alla sopravvivenza, trasformato in trappola mortale.
Le briciole appena concesse da Netanyahu “per impedire all’Onu di continuare a mentire contro di noi” serviranno poco ai gazawi (e agli ostaggi imprigionati da Hamas) se non a prolungarne l’agonia. A morire da moribondi, proprio come accadeva agli ebrei ridotti a scheletri nelle baracche di Auschwitz, prima di essere avviati ai forni crematori. O come i contadini ucraini ridotti a larve umane nei campi bruciati dalla carestia.
Ma chi sono i soldati che obbediscono agli ordini sul campo? Che facce hanno? Nessuna è mai comparsa. Israele controlla, cancella, censura tutto. Non le vediamo, ma possiamo immaginarle. Sono quelle dei normalissimi ragazzi e delle ragazze che fino a sei mesi fa, a un anno fa, giocavano a pallavolo sulle spiagge di Eilat e Banana Beach, che bevevano l’aperitivo nei pub di Jaffa, che si scattavano selfie in quella che ancora oggi le guide turistiche chiamano “l’eccitante vita notturna di Tel Aviv”.
È stata la disciplina militare a trasformarli. È stata l’ideologia della smisurata vendetta a renderli così obbedienti, così impermeabili all’orrore, così indifferenti all’omicidio di massa. A persuaderli che sparare ogni giorno, da 660 giorni, contro civili inermi sia una guerra e non un crimine. Un ordine da eseguire. Una procedura consentita dal dominio totale che Israele, da decenni, esercita sui suoi nemici, in nome della propria nazione, della propria terra, della propria storia. Decenni nei quali ha steso il filo spinato intorno ai 56 chilometri di confine di Gaza. Installato telecamere e check-point. Consentito l’assalto dei coloni nei Territori. Praticato gli arresti arbitrari dei sospetti, sequestrati senza processo in carceri vietate a ogni controllo. Garantendo la perpetua impunità dei propri reparti militari.
Al netto delle crescenti diserzioni (e suicidi) che le agenzie internazionali segnalano tra le file dell’esercito israeliano, non sono solo i decenni di guerra guerreggiata a rendere le migliaia di reclute così tanto indifferenti al destino di un intero popolo nemico, speculare al proprio. Lo è anche l’assimilazione dei canoni dell’apartheid respirati nella vita quotidiana, quella vissuta nella famosa “unica democrazia del Medio Oriente”, che li ha persuasi della completa disumanizzazione dei palestinesi, gli intrusi. Gli intralci da eliminare, i corpi da sfoltire, le masse irrilevanti da sgomberare. “Gaza sarà finalmente tutta ebrea”, ha appena auspicato Ben-Eliahu, ministro di Netanyahu. Perché “i palestinesi non sono un popolo” non sono nulla, come sostiene il ministro delle Finanze Bezalel Smotrich, quello che già un anno fa anticipava la strategia di Israele in forma di auspicio quando diceva che lasciar morire di fame due milioni di palestinesi “potrebbe essere giustificato e morale per liberare gli ostaggi”.
Dunque la guerra perpetua, la fame, lo sterminio. Ottant’anni fa, 2 dicembre 1948, Albert Einstein, Hannah Arendt e altri 26 intellettuali ebrei resero pubblica la loro denuncia sulla deriva del nascente Stato di Israele dove si predicava “un misto di ultranazionalismo, misticismo religioso e superiorità razziale”, e che il Partito della libertà, leader il futuro premier Manachem Begin, appariva “strettamente affine ai partiti nazista e fascista nei metodi, nella filosofia politica, nell’azione sociale”. E concludeva la lettera: “È nelle azioni che il partito terrorista tradisce il suo reale carattere: dalle sue azioni passate noi possiamo giudicare ciò che farà nel futuro”. Quel “noi” di allora siamo noi oggi. Il partito di Begin è diventato quello di Netanyahu. E quel futuro è adesso.

Il fascismo che è in loro

 

"Le sentenze sulla strage inchiodano l'Msi Proteggevano Bellini, Meloni non ha più scuse"
di Franco Giubilei
«C'è una sfilza di terroristi che arrivano tutti dall'Msi, chi proteggeva Bellini erano senatori del Msi, e la presidente del Consiglio comunque rivendica la sua formazione politica in quel partito». Mancano pochi giorni al 2 agosto, quando saranno quarantacinque anni dall'esplosione della bomba alla stazione di Bologna, e il presidente dell'Associazione familiari delle vittime Paolo Bolognesi torna con durezza ancora maggiore sulla polemica che l'anno scorso lo vide protagonista degli attacchi alla premier Giorgia Meloni.
Argomento, oggi come allora, il legame mai reciso fra la destra di governo attuale e il partito che fu di Giorgio Almirante, a sua volta imparentato – lo sostiene Bolognesi sulla base delle condanne definitive a Gilberto Cavallini, Paolo Bellini e ai mandanti della strage – con gli ambienti neofascisti da cui provengono i protagonisti di quell'evento terribile. È in questo clima che Bologna si prepara alla commemorazione del 2 agosto, con i discorsi nel piazzale della stazione e la partecipazione della ministra dell'Università Anna Maria Bernini.
Bolognesi, che dopo 29 anni sta per lasciare la guida dell'Associazione a Paolo Lambertini per raggiunti limiti d'età (ne ha quasi 81), intanto, rincara: «Ci sono tante altre cose passate in giudicato che inchiodano la presidente del Consiglio, che diceva che parlare di una genesi dei terroristi attraverso il partito di destra Msi metteva a rischio l'incolumità del Consiglio dei ministri».
Perché sente il bisogno di tornare sulla polemica con la premier?
«Perché mentre un anno fa c'erano sentenze d'appello, oggi quelle pronunce sono passate in giudicato, e adesso rispondiamo, in modo che così abbiamo già risolto il problema: parlo della condanna all'ergastolo di Gilberto Cavallini per il suo ruolo nella strage di Bologna e di quella di Paolo Bellini, oltre che dei mandanti».
E qual è il rapporto con la destra attuale?
«Bellini ha dichiarato più volte, senza essere mai smentito, che era infiltrato in Avanguardia Nazionale per conto di Almirante (allora segretario del Msi, ndr). Sempre Bellini era aiutato, quando si chiamava Da Silva, da uno o più senatori dello stesso partito. Siccome Giorgia Meloni diceva che il Movimento sociale è il suo partito di formazione, non deve prendersela se si parla di queste cose, perché sono i processi che le hanno portate alla luce. Un altro esempio? Carlo Cicuttini, allora segretario di una sezione dell'Msi a Manzano, in Friuli, telefonò ai carabinieri per una macchina sospetta che esplose, uccidendo tre militari: la strage di Peteano del 1972. Il Movimento sociale reperì 32 mila dollari per l'operazione alle sue corde vocali che ne rendesse la voce irriconoscibile».
Il 2 agosto dell'anno scorso la premier ha detto che i suoi attacchi erano ingiustificati e fuori misura.
«Gli attacchi sono venuti fuori dagli atti dei processi: se leggessero le sentenze dovrebbero ammettere che alcune persone del loro ex partito hanno avuto un passato di un certo tipo e che sono in sintonia con il mondo delle stragi».
Secondo lei ci sarebbe un rapporto fra le idee di Licio Gelli e la separazione delle carriere prevista dalla riforma della giustizia?
«Il Piano di rinascita democratica di Gelli, colui che ha voluto, organizzato e finanziato la strage di Bologna, prevedeva la separazione delle carriere per mettere la magistratura sotto il controllo dell'Esecutivo».
Ma questo stabilisce una relazione con l'operato del governo attuale?
«Dico solo che il progenitore della riforma è stato Gelli, che tutti i vertici dei servizi erano della P2 e sono quelli che hanno gestito il caso Moro, la strage di Bologna e l'uccisione di Piersanti Mattarella. Se ci dimentichiamo questi percorsi allora sono tutte fandonie. Quello di Gelli era un piano golpista».
Su cosa si fonderebbe la continuità fra il passato eversivo, il Msi e la destra attuale?
«Quella implicata nella strage è tutta gente che viene dal Movimento sociale e noi abbiamo una presidente del Consiglio, che ha giurato sulla Costituzione antifascista, che però non riesce a dirsi antifascista. Io ci vedo una continuità con quella gente: o la scarichi, oppure la continuità c'è. La premier d'altra parte rivendica con orgoglio di essersi formata nell'Msi».
Meloni ha anche detto, sempre rispondendole un anno fa, che i suoi attacchi mettevano in pericolo l'incolumità di chi è al governo democraticamente eletto.
«Io ho detto solo la verità (uno dei temi del discorso di Bolognesi era il mancato riconoscimento della matrice fascista della strage di Bologna, ndr), semmai l'incolumità era la mia, non la sua. Lei è a capo del governo, mentre io sono solo il presidente dell'Associazione familiari delle vittime della strage. Chi è l'indifeso, io o lei?».—

Come è umano lei!

 

Fantozzi va in Scozia
DI MARCO TRAVAGLIO
È falso che lo strepitoso accordo sui dazi Usa alla Ue siglato in Scozia da Trump con Trump davanti a Von der Leyen manchi di trasparenza. Ecco il verbale dello storico summit.
Ore 10. VdL raggiunge il golf resort di Trump a Turnberry camminando sulle ginocchia, per non sembrare troppo alta. Vorrebbe bussare alla porta, ma le dita le scivolano a causa della sudorazione a mille. L’usciere-parrucchiere-tinteggiatore di Trump sente il fruscio e apre: “Perché non ha bussato?”. E lei: “Non ho le mani…”. Lui le stacca di netto lo strato di lacca dalla cofana (“Sua Maestà è allergico”) e rovescia sul pavimento un pacco di ceci e chiodi invitandola a farci due passi, sempre carponi (“Sua Altezza gradisce le posture penitenti”).
Ore 11. VdL continua a scorticarsi le ginocchia in attesa di Trump, che fa tardi sul green.
Ore 11.30. Arriva Trump in tenuta da golf roteando una mazza in titanio. Ma poi abbassa lo sguardo, vede il sangue sul pavimento e risparmia all’ospite ulteriori sevizie. VdL ringrazia a nome dell’Ue: “Com’è umano, lei”. Lui prende posto su una poltrona in pelle umana (quella di Rutte, che gliel’ha donata con dedica “Al mio Paparino” scritta col sangue). Lei strappa il privilegio di sdraiarsi ai suoi piedi, a pelle di leone.
Ore 12. Inizia, serratissimo e a tratti drammatico, il negoziato. Trump: “Voi europei siete ladri e parassiti”. VdL: “È vero, Maestà, e anche usurai!”. Trump: “Rivoglio tutto indietro. Dazi al 15%”. VdL: “Non sarà poco, Altezza Reale? Facciamo il 20!”. Trump: “No, cara la mia bertuccia, sennò pure quegli invertebrati dei tuoi alleati ti fanno la pelle, e a me servi viva. Non sai i guai quando cambi la servitù al giorno d’oggi”. VdL: “È un bel presidente, un apostolo, un santo! Non so come sdebitarmi, Duca-Conte, ho la salivazione leggerissimamente azzerata”. Trump: “Tranquilla, Cita, troveremo il modo”. VdL: “Idea! Mio Re, vi compriamo anche 750 miliardi di gas e di armi, ovviamente a prezzo quadruplo. E ci metto pure una batteria di pentole antiaderenti per la sua signora, pardòn Regina”. Trump: “Ok, babbuina, ma facciamo prestino ché il golf mi attende. Vuoi tirare pure tu due pallette?”. VdL: “Io non mi permetterei mai di giocare, si figuri se mi permetterei di vincere, Sire”. Trump: “Dimenticavo: come la prenderanno le tre emme?”. VdL: “Mio Signore, emme in che senso?”. Trump: “Macron, Merz e Meloni!”. VdL: “Ah, quelli: parlano, parlano, poi digeriscono pure i sassi. Scattano sull’attenti perfino per me, si figuri per lei!”.
Ore 12.06. Dopo ben 6 minuti di corpo a corpo, VdL accenna a una riverenza da sdraiata. Trump le passa sopra: “Ops, scusa, credevo fosse il tappeto”. “Ma sono qui apposta! Se non l’avesse fatto lei gliel’avrei chiesto io, Santità!”.

L'Amaca

 

Quando il cervello non è acceso
di MICHELE SERRA
Putin ha dieci-dodici giorni per fermare la guerra», dice Trump (è necessario ricordarlo: è il presidente degli Stati Uniti). Uno legge, verifica che il virgolettato è fedele («dieci-dodici giorni», ha detto proprio così) e si domanda: ma perché non tredici-quindici, o sette-nove? Su quali dati, quali informazioni, quali valutazioni oggettive si appoggia, l’uomo più potente del mondo, per dire che i giorni a disposizione di Putin per «fermare la guerra» sono proprio dieci-dodici, non di più, non di meno?
Torna in mente una delle sue prime esternazioni da neo-eletto, «fermerò la guerra in Ucraina in 24 ore». E si torna non all’ipotesi, ma proprio alla certezza, che costui apra bocca a vanvera, a casaccio, a capocchia, tanto per dire, senza pensarci, senza farsi carico della responsabilità di quello che dice, forse addirittura senza capire, lui per primo, quello che sta dicendo.
In piena effrazione del buon principio, appeso in tanti uffici, tanti luoghi di lavoro, “prima di aprire la bocca controllare che il cervello sia acceso”. E la cosa più triste — che ci tira in ballo tutti quanti, uno per uno — è che noi siamo costretti a dedicare a questo blaterone inattendibile, sprovvisto di alcuna autorevolezza, di alcun carisma, di alcuna dignità al di fuori delle sue bombe atomiche, l’attenzione che non merita.
Trump è la nemesi della democrazia, la sua eutanasia. È il trionfo (legittimo) del peggiore, del meno serio, del meno morale, del meno rispettabile e del meno rispettoso, del più bugiardo, del meno riflessivo. Viene da dire: ce lo meritiamo, ma non è vero. Non ce lo meritiamo. Siamo costretti a subirlo per volontà altrui, ed è tutt’altra cosa.