mercoledì 17 dicembre 2025

Robecchi

 

Rischio ibrido. Il nemico avanza, sarà uno “scudo” che ci seppellirà
DI ALESSANDRO ROBECCHI
È tutto ibrido, gente! Si porta, va di moda, fa fico. E a pensarci bene, be’, sì, tutto può essere guerra ibrida. Metti che ti prenotano la visita urgente tra due anni, sarai portato a pensare che è una mossa di guerra ibrida per minare la tua fiducia nello Stato e iscriverti ai russi. Quindi ok, ci sto, guerra ibrida! La Commissione europea corre ai ripari e annuncia uno Scudo Democratico, che servirebbe a controllare il flusso infinito e costante delle informazioni, e a decidere se si tratta di un attentato alla stabilità europea, alla democrazia, alla sicurezza, e insomma, alla fine, se una cosa si può dire oppure no. Presentato (già nel 2024) come una sentinella della verità, contro le fake news, la disinformazione e le interferenze straniere, lo scudo rischia di diventare una notevole manganellata alla libertà d’espressione, perché il problema eterno delle cose ibride è stabilire il grado di ibridazione e soprattutto chi lo decide.
Non voglio negare a priori che esista da qualche parte (a San Pietroburgo? A Mosca?) una stanza buia da cui hacker espertissimi ci inondano di false informazioni, per carità. Diciamo che da abituale consumatore di informazione, scritta, orale, visiva, stampata, social, non mi sembra il principale problema del momento. Mi sento spiato? Osservato? Monitorato? Certo che sì: basta che io dica al mio amico Gino che intendo comprare uno zaino, che in meno di un’ora ho il telefono e il computer pieni di zaini, offerte per zaini, zaini pazzeschi e all’improvviso tutti vogliono vendermi uno zaino. Avrei bisogno di uno scudo democratico, in effetti.
Naturalmente, lo scudo di Ursula pensa soprattutto ai russi, lo capisco. Con lo stesso zelo con cui dobbiamo passare risorse dal welfare alle armi, per difenderci, dovremmo cedere un po’ di libertà d’espressione per proteggerci dalla peste ibrida, che sarà mai! Il piano (Media Resilience) prevede anche finanziamenti ai media “indipendenti e locali”, qualunque cosa significhi, soldi comunque erogati dalla Commissione, quindi indipendenti per modo di dire. Ma non importa: se l’obiettivo è difendersi dagli agenti di potenze straniere, io ci sto. Per esempio ricordando che l’intera informazione elettronica del pianeta è in mano a quattro, forse cinque persone, multimiliardarie, che erano quasi tutte all’incoronazione dell’Imperatore d’America, alla cui elezione hanno contribuito con fior di milioni. Sono una manciata di aziende, molto più potenti degli Stati nazionali, a proposito di risorgente nazionalismo, che decidono cosa venderci, come, quando, quali sono le notizie che ci possono interessare, quali quelle che possiamo scrivere o condividere, che posseggono i nostri dati e che sanno di noi più di quanto ne sappiano mogli, mariti, colleghi e amici stretti. Insomma, sì, c’è una guerra ibrida, con pochi e potentissimi attori che la guidano – un monopolio planetario protetto dalla prima potenza mondiale, quella dell’Imperatore di prima – che sfuggono a qualsiasi regolamentazione, e la stiamo perdendo alla grande. Non è da questo che ci difenderà uno “scudo democratico”, temo. Temo che servirà di più a controllare quel che si legge e si scrive, se sia o meno allineato, se “il nemico ti ascolta”, o addirittura ti parla per bocca di Farfallina71 o attraverso un convegno universitario sgradito, o un media non conforme che non si riesce a controllare in altro modo.
Intanto, per la mia personale guerra ibrida, un post-scriprum: l’ho comprato, lo zaino, potete smetterla di importunarmi.

At-tenti!

 

Unione sovietica europea
DI MARCO TRAVAGLIO
Nella foga di combattere le autocrazie copiandole, la nostra bella Ue ci ha regalato un’altra perla di liberaldemocrazia: sanzioni a 12 complici della guerra ibrida russa. Tra i fortunati vincitori c’è Jacques Baud, ex colonnello svizzero dell’esercito e dell’intelligence, ex consigliere Onu, uno degli analisti militari più documentati sull’Ucraina: mentre i trombettieri contavano balle e sbagliavano tutto, Baud ne azzeccava parecchie. Quindi o loro o lui. Kaja Kallas, la depensante estone che regge la politica estera Ue, gli ha vietato l’ingresso, congelato i beni e bloccato i conti bancari in tutta l’Unione. Senza che alcun tribunale abbia neppure ipotizzato un reato: semplicemente per le sue idee e analisi, mai smentite da alcuno, sempre confermate dai fatti. La sentenza l’ha emessa la depensante, cioè il potere esecutivo: “Baud è ospite regolare di programmi tv e radio filorussi. Funge da portavoce della propaganda filorussa e di teorie complottiste”. Tipo sulla corresponsabilità della Nato nella guerra, ormai certificata persino da Merkel e Casa Bianca. Ma ecco il seguito della supercazzola: “Baud è pertanto responsabile di azioni o politiche attribuibili (da chi? ndr) al governo della Federazione russa che compromettono o minacciano la stabilità o la sicurezza di un paese terzo (l’Ucraina), o sostiene tali azioni o politiche, tramite la manipolazione delle informazioni e delle ingerenze”. Testuale. Censure e liste di proscrizione di putiniani immaginari non bastano più: servono condanne alla morte civile, come quelle di Usa e Israele alla Albanese per ciò che scrive per l’Onu sulla Palestina. Inutile attendersi proteste o pigolii dalla nostra casta pennuta, che vede minacce alla libertà d’informazione ovunque, fuorché là dove sono.
In simultanea, casomai qualcuno credesse alle coincidenze, quatto firme di Limes annunciano di aver lasciato la rivista fondata e diretta da Lucio Caracciolo: Gustincich, Arfaras, il generale Camporini e il prof. Argentieri (dirigente dell’università americana a Roma “John Cabot”). Motivo: Limes sarebbe “filorussa”. E quando l’hanno scoperto? Argentieri risponde, riuscendo a restare serio, che “la svolta, chiarissima, è del 2004: la Rivoluzione arancione. Da lì in poi Limes assume una postura costantemente diffidente, se non apertamente ostile, verso l’Ucraina”. E lui, pensa e ripensa, ha realizzato appena 21 anni dopo. Camporini ha riflessi più pronti: rimprovera a Caracciolo “il mancato sostegno ai principi del diritto internazionale, stracciati dall’aggressione russa all’Ucraina”. Che fra un po’ compie quattro anni. Ma lui, tra un annuncio di sconfitta russa e l’altro, aveva da fare. Poi è giunta la chiamata dell’Arcangelo Gabriele: “Sturmtruppen, avanti marsch!”.

Trentatré mesi

 


martedì 16 dicembre 2025

Calendario dell'Avvento

 



Et voilà!

 

Intanto in Cile hanno riesumato questo bastardo!




Così, in una foto!

 



Articolo

 

Putin, Trump, Neanyahu e gli altri: i regni di Dio

La Santa Russia che rivuole la "sua" Kiev, il "martire Kirk, il "Grande Israele" e gli islamici di Hamas. Così il potere ai tempi dell'IA si mette la maschera della religione

di Fabrizio d'Esposito

Dio non è morto, la storia non è finita e ognuno si fa la sua guerra santa, in questo primo quarto di secolo e anche di millennio. È sufficiente far ruotare il mappamondo. Primo giro: l’ex Unione Sovietica, il regno del marxismo-leninismo degenerato in stalinismo. Nel marzo del 2024, a due anni dall’invasione ucraina, il patriarca Kirill proclamò ai fedeli russi: “L’Operazione militare speciale è una Guerra Santa, nella quale la Russia e il suo popolo, difendendo l’unico spazio spirituale della Santa Rus’, adempiono la missione di ‘Colui che trattiene’ (il Catéchon che combatte l’Anticristo prima dell’Apocalisse, ndr), proteggendo il mondo dall’assalto del globalismo e dalla vittoria dell’Occidente caduto nel satanismo”.

Kirill, o Cirillo I, ha 79 anni ed è il patriarca ortodosso di Mosca, Chiesa che si è separata dal patriarcato ecumenico di Costantinopoli, “primus inter pares” tra gli ortodossi, sin dal 2018 per la questione ucraina. Kirill è un fervente sostenitore di Dio e di Cesare, in questo caso il dittatore Vladimir Putin, e negli anni settanta fu persino una spia del Kgb in Svizzera. La Santa Rus’ che combatte l’Occidente è nata proprio a Kiev, prima dell’anno Mille (nel 988), con la conversione al cristianesimo di Vladimir di Kiev, il principe santo, e seguita dal battesimo di massa della popolazione nelle acque del fiume Dnepr. Per Putin, l’Altare è stato vitale per consolidare il suo potere del Trono, laddove l’ex comunista Zar Vlad ha ribadito che il Battesimo di Rus’ “è l’atto fondativo della statualità russa” e che il cristianesimo “è la matrice identitaria della Russia”.

Lo scontro di civiltà

Identità e religione. Ossia i due fattori che servirono nel 1993 al politologo americano Samuel P. Huntington (1927-2008) per delineare per la prima volta quello “scontro di civiltà” che avrebbe sostituito il Novecento dei totalitarismi e delle ideologie nonché della Guerra Fredda tra Stati Uniti e Unione Sovietica. Altro che storia finita come sosteneva invece il suo ex allievo Francis Fukuyama, sempre americano. Copiando la dialettica hegeliana dello Spirito, Fukuyama sentenziò nel 1992 che il crollo dell’Impero sovietico avrebbe dato l’impulso definitivo alla piena realizzazione della democrazia liberale e del capitalismo di mercato. La tesi di Huntington ha tenuto banco per lustri e la destra conservatrice e clericale europea l’ha agitata per invitare l’Occidente a difendersi anziché tramontare secondo il vaticinio di Osvald Spengler nel 1918. “Le frontiere dell’Islam grondano sangue” fu l’assioma più noto di Huntington e dall’Undici Settembre in poi ha avuto evidenza nel fondamentalismo islamico del jihad (altro concetto di guerra santa) di Al Qaeda, Fratelli Musulmani e Isis. In ogni caso l’analisi del politologo americano (già consigliere del presidente democratico Carter) sui conflitti dalla doppia matrice identitaria e religiosa si è rivelata oggettivamente profetica.

Dal Nilo all’Eufràte

Oggi il Signore degli Eserciti è invocato ovunque. Secondo giro di mappamondo: Israele e la Palestina. Il 7 Ottobre di Hamas ha provocato un genocidio più che una guerra. Il governo israeliano di Benjamin Netanyahu, sostenuto anche da partiti del fascismo sionista, ha usato il fattore religioso per affondare nel sangue la formula di “due popoli, due Stati”. È l’idea del Grande Israele. In origine fu il primo libro dell’Antico Testamento (Scrittura sacra per ebraismo e cristianesimo): Genesi. Dal capitolo 15, versetto 18: “In quel giorno il Signore concluse questa alleanza con Abram: ‘Alla tua discendenza io do questo paese dal fiume d’Egitto al grande fiume, il fiume Eufràte’”.

Abramo è il primo patriarca del popolo biblico ed è considerato il padre delle tre grandi religioni monoteiste: ebraismo, cristianesimo e islamismo. Dal Nilo all’Eufràte significa dall’Egitto all’Iraq. Uno dei due partiti al governo è Otzma Yehudit, Potere Ebraico, guidato dal famigerato Itamar Ben-Gvir, ministro-colono della Sicurezza nazionale (l’altro è il Partito sionista religioso di Bezalel Smotrich, altro ministro). Dalla piattaforma del programma politico di Otzma Yehudit, composto da tredici punti. Ecco l’undicesimo: “Regime e moralità: i valori dello Stato ebraico saranno basati sulla moralità ebraica e la struttura dello Stato sarà una democrazia ebraica, che proteggerà gli interessi dello Stato del popolo ebraico come valore che prevale su qualsiasi valore universale. In particolare: non vogliamo perdere lo Stato ebraico, né in guerra né con mezzi pacifici, né attraverso la democrazia occidentale”. Da notare quest’ultima affermazione: la democrazia occidentale può essere un nemico.

Fino al giorno del giudizio

E questo invece è l’undicesimo articolo del primo statuto di Hamas, vergato nel 1988 dal suo fondatore, lo sceicco tetraplegico e cieco Ahmad Yasin, ucciso a Gaza nel 2004 da missili israeliani: “Il Movimento di Resistenza Islamico crede che la terra di Palestina sia un sacro deposito (waqf), terra islamica affidata alle generazioni dell’Islam fino al giorno della resurrezione. Non è accettabile rinunciare ad alcuna parte di essa. Nessuno Stato arabo, né tutti gli Stati arabi nel loro insieme, nessun re o presidente, né tutti i re e presidenti messi insieme, nessuna organizzazione, né tutte le organizzazioni palestinesi o arabe unite hanno il diritto di disporre o di cedere anche un singolo pezzo di essa, perché la Palestina è terra islamica affidata alle generazioni dell’Islam sino al giorno del giudizio”.

Il vero papa americano

Oggi gli Stati Uniti possono vantare due papi. Il primo, ovviamente è a Roma, capitale dei cattolici, ed è Leone XIV, al secolo il settantenne Robert Francis Prevost, nativo di Chicago. L’altro è a Washington e postò una sua immagine vestito da pontefice sugli account della Casa Bianca agli inizi del maggio scorso, prima che venisse eletto il connazionale Prevost. In realtà, Donald Trump è un papa laico e cristiano riconosciuto sia dai cattolici sia dai protestanti. Gli Stati Uniti, storico gendarme dell’ordine mondiale, sono la più grande nazione cristiana al mondo: 247 milioni di credenti su una popolazione di 340. La maggioranza è composta da protestanti evangelici bianchi come Charlie Kirk, l’influencer Maga (Make America Great Again) ucciso a trentuno anni il 10 settembre scorso durante un conferenza universitaria nello Utah. Accusato di essere razzista e omofobo, Kirk oggi è il martire di fatto canonizzato dalla destra politico-religiosa ed è il simbolo di una teocrazia cristiana che rischia di corrodere la democrazia liberale americana, ossia l’archetipo della fine della storia sperata a suo tempo da Fukuyama.

Lo “scontro di civiltà” teorizzato negli anni Novanta non è affatto morto. Vescovi Usa: il nuovo capo è trumpiano e anti-Bergoglio

In realtà, come Putin, anche Trump usa la fede per puntellare il suo secondo Trono, dopo quello del quadriennio 2016-2020. Pur rimanendo un incallito peccatore, forse: davanti a lui si è spalancato il baratro dell’amicizia con Jeffrey Epstein, corruttore di ragazze minorenni, in pratica un pedofilo. Tra mail e incontri sospetti, gli saranno fatali le luci rosse come già accadde, per esempio, a Silvio Berlusconi, quando nel 2009 dall’apogeo della sua popolarità (il 25 aprile a Onna, in Abruzzo) precipitò allo scandalo della festa a Casoria, in provincia di Napoli, della neodiciottenne Noemi Letizia? Di suo, The Donald, è evangelico, mentre la first lady Melania è cattolica. Così come anche il suo vicepresidente J.D. Vance fa un continuo andirivieni tra evangelici e cattolici.

Dettagli, in fondo. L’importante è declinare Dio in chiave militante e guerriera, laddove la libertà è un concetto esclusivamente cristiano in senso largo. Si va dalla nota foto dei pastori evangelici guidati da Paula White e che stendono le loro mani benedicenti su Trump alla Casa Bianca all’elezione recentissima del nuovo presidente dei vescovi cattolici americani, Paul Coakley della diocesi di Oklahoma City, trumpiano e in passato sostenitore di monsignor Carlo Maria Viganò, il più feroce oppositore di papa Bergoglio poi cacciato dalla Chiesa di Roma. Già Viganò. L’arcivescovo scomunicato è l’alfiere del trumputinismo. Il presidente americano lo ringraziò pubblicamente sui social per le preghiere “elettorali”, mentre Putin è investito del sacro ruolo di Catéchon della Terza Roma (Mosca) per fermare l’Anticristo del globalismo, delle teorie gender e delle multinazionali farmaceutiche che hanno provocato il Covid per iniettare vaccini contenenti microchip.

Induismo e buddhismo

Cina e India non sono due Paesi coinvolti nei due maggiori scenari bellici di oggi, Ucraina e Palestina, ma come disse Aleksandr Dugin, l’ideologo putiniano della rivoluzione illiberale, a MillenniuM (il numero 88 di marzo 2025) sono due Stati decisivi per il nuovo ordine multipolare anti-occidentale. Da oltre un decennio, in India, al potere c’è Narendra Modi, diventato un autocrate sull’onda del ritrovato nazionalismo induista, intollerante verso le altre religioni, in primis contro i musulmani. Il suo ultimo slogan elettorale, nel 2024, è stato: “Hindu First”. In Cina, invece, la Scuola centrale del Partito comunista sta tentando di coniugare il materialismo marxista con il principio dell’armonia alla base di buddhismo, confucianesimo e taoismo. Lo ha rivelato alla fine di ottobre l’ex premier Massimo D’Alema, che da tempo ha riscoperto il socialismo cinese. In Cina il buddhismo è praticato dal 20 per cento della popolazione e di fronte alle incognite della rivoluzione tecnico-scientifico (in due parole: Intelligenza artificiale) “il recupero dei valori spirituali” può essere “una bussola morale in questo viaggio pieno di rischi per tutti”. Amen.

Ruminando

 



Natangelo

 



L'Amaca

 

Gli asini di Cavour
di Michele Serra
Vi prego, nel caso vi fosse sfuggito, di leggere il post che il presidente degli Stati Uniti ha dedicato al regista Bob Reiner e sua moglie Michelle, uccisi, pare, durante una lite familiare con un figlio. Trump attribuisce la morte di Reiner “alla rabbia che aveva suscitato negli altri a causa della sua grave afflizione”, che sarebbe detestare lo stesso Trump. “La sua paranoia aveva raggiunto livelli inauditi mentre l’amministrazione Trump superava ogni obiettivo e aspettativa di grandezza”. Cioè: è morto perché mi odiava, dice il presidente. Perché rifiutava di prendere atto che io sono il migliore, il più bravo, il più forte.
Va bene che ci si abitua a tutto: ma vi rendete conto del livello? A parte uno che, ininterrottamente, si loda da solo (j’asu d’Cavour je gniun ca i lauda, as lauda da lur: gli asini di Cavour nessuno li loda e si lodano da soli, saggezza popolare piemontese). A parte questo, dicevo, come fa il capo di un Paese a essere così stupido, così vanesio, da ricondurre a se stesso una tragedia che non lo riguarda affatto? Come hanno potuto saltare, una dopo l’altra, tutte quelle inibizioni che, per esempio, impediscono di strillare “io sono il più bravo!” in pubblico, e almeno di fronte alla morte suggeriscono silenzio e rispetto? Quale mostruosa deviazione della storia ha portato uno come Trump a governare gli Stati Uniti? Credetemi: non sto parlando di politica. Sto parlando di uno sprofondo umano che mette spavento, e anche un certo disgusto.
Quanto alla politica, volesse riacquistare peso e significato, in America come in Italia dovrebbe ripartire proprio da questo: dall’umanità, dalla gentilezza, dall’umiltà degli atti e delle parole. Vergognoso non è solamente affamare i poveri, o speculare sulla guerra. Vergognoso è anche usare il potere per pura vanità, e volontà di sopraffazione.

Effettivamente

 

E dirlo prima?
DI MARCO TRAVAGLIO
Mentre Mattarella si iscrive al club dei sabotatori del negoziato perché i confini ucraini sono sacri e intoccabili (mica come quelli di Serbia e Kosovo che da vicepremier bombardò per 78 giorni), Zelensky pare sempre più ragionevole perché conosce l’unico verdetto che conta: quello disastroso del campo. In pochi giorni ha rimosso i due moventi fondamentali di questi 11 anni di guerra con la Russia: il Donbass e la Nato. La pillola amara dell’addio al Donbass, peraltro quasi tutto perso, l’ha indorata con l’annuncio che “Trump ci impone di rinunciarvi” (dobbiamo obbedire agli Usa, come sempre) e col caveat del referendum in loco. Ma tutti sanno che gli abitanti del Lugansk (tutto occupato) e del Donetsk (occupato all’85%) già prima della guerra erano quasi tutti russi o filorussi, e tantopiù lo sono ora, dopo 46 mesi di evacuazioni delle province occupate (in parte già ricostruite), dov’è rimasto quasi solo chi vuol restare russo o attende l’arrivo dei russi. Se si votasse, l’esito sarebbe scontato, quindi è improbabile che si voti: sennò si certificherebbe che da quattro anni rischiamo la terza guerra mondiale per difendere dai russi una popolazione che vuole stare coi russi.
Ieri poi Zelensky, sempre con l’aria di chi fa un gran sacrificio, ha rinunciato anche alla Nato: bella forza, visto che Trump (come l’ultimo Biden) non perde occasione di fargli sapere che la Nato se la scorda, anzi nel nuovo piano di Difesa ha messo nero su bianco che l’espansione a Est è morta e sepolta. Per chi, come noi, pensa all’inutile sacrificio di centinaia di migliaia di persone, le rinunce di Zelensky a ciò che ha già irrimediabilmente perduto ricordano la fiaba della volpe e dell’uva. Ma anche ciò che si diceva subito prima e subito dopo l’invasione del 2022. Per scongiurarla, Macron e Scholz imploravano Zelensky di rinunciare alla Nato e promettere l’autonomia del Donbass promessa negli accordi di Minsk: parlavano con Putin e sapevano che con quei due impegni non ci sarebbe stata invasione. Zelensky tentennò, poi su pressione Usa-Uk rifiutò e Putin invase. Ma il negoziato russo-ucraino partì subito, in Bielorussia e poi a Istanbul. Putin chiedeva sempre le stesse cose: no alla Nato e sì a Minsk in cambio del ritiro russo, cioè di un’Ucraina tutt’intera (parola dei negoziatori ucraini). E Zelensky ripeté due volte: “La Nato non è pronta ad accoglierci”, “Non possiamo entrare nella Nato”. Non solo: “Neutralità e intesa su Crimea e Donbass per la pace”. Ma Usa e Uk si rimisero di traverso e Zelensky li seguì, alzandosi dal tavolo mentre si discutevano le garanzie per Kiev e le dimensioni del suo esercito. Sembrerebbe il film Il giorno della marmotta, se sotto quei ponti non fosse passato un fiume di sangue.

Il Bullo

 

Il bullo mondiale: la nuova America

DI JEFFREY SACHS

L’ultimo memorandum del presidente sulla Strategia per la Sicurezza Nazionale considera la libertà di coercizione come l’essenza della sovranità degli Usa.
Documento inquietante che, se lasciato in vigore, finirà col perseguitare il Paese.

La Strategia per la Sicurezza Nazionale (Nss), pubblicata da Trump, si presenta come un progetto per una rinnovata forza americana. È pericolosamente fraintesa sotto quattro aspetti: 1) La Nss è ancorata alla grandiosità: la convinzione che gli Usa godano d’una supremazia senza pari in ogni dimensione chiave del potere; 2) Una visione del mondo machiavellica, che tratta le altre nazioni come strumenti da manipolare a vantaggio dell’America. 3) Un nazionalismo ingenuo che liquida il diritto e le istituzioni internazionali come ostacoli alla sovranità del Paese, anziché come strumenti che rafforzano la sicurezza statunitense e globale. 4) Segnala un uso violento da parte di Trump di Cia ed esercito. A pochi giorni dalla pubblicazione dell’Nss, gli Usa hanno sfacciatamente sequestrato una petroliera che trasportava petrolio venezuelano in alto mare, sulla base del debole pretesto che la nave avesse precedentemente violato le sanzioni statunitensi contro l’Iran. (…) La sicurezza americana non sarà rafforzata agendo da bullo. Sarà indebolita, strutturalmente, moralmente e strategicamente. Una grande potenza che spaventa gli alleati, costringe i vicini e ignora le regole internazionali finisce per isolarsi. In altre parole, l’Nss non è solo un esercizio di arroganza sulla carta. Si sta rapidamente traducendo in una sfacciata pratica.

L’Nss contiene momenti di realismo: ammette implicitamente che gli Usa non possono e non devono tentare di dominare il mondo, e riconosce correttamente che alcuni alleati hanno trascinato Washington in costose guerre per scelta, che non erano nell’interesse americano. Si allontana anche – almeno retoricamente – da una crociata totalizzante tra grandi potenze. Respinge l’illusione che gli Usa possano o debbano imporre un ordine politico universale. Ma la modestia è di breve durata. L’Nss ribadisce che l’America possiede “l’economia più grande e innovativa del mondo”, “il sistema finanziario leader” e “il settore tecnologico più avanzato e redditizio”, il tutto sostenuto da “l’esercito più potente e capace”: affermazioni patriottiche che servono come giustificazione per usare il predominio Usa per imporre condizioni agli altri. A quanto pare, saranno i paesi più piccoli a pagare il prezzo di tale arroganza, poiché gli Usa non possono sconfiggere le altre grandi potenze, anche perché dotate di armi nucleari.

La grandiosità dell’Nss viene saldata a un puro machiavellismo. La domanda che viene posta non riguarda come gli Usa e gli altri paesi possano cooperare per un reciproco vantaggio, ma come la leva americana – su mercati, finanza, tecnologia e sicurezza – possa essere applicata per ottenere le massime concessioni dagli altri paesi. Ciò è assai evidente nella sezione dedicata all’emisfero occidentale, che dichiara un “Corollario Trump” alla Dottrina Monroe. Gli Usa garantiranno che l’America Latina “rimanga libera da incursioni straniere ostili o dalla proprietà di beni chiave”, e alleanze e aiuti saranno condizionati alla “riduzione dell’influenza esterna avversaria”. Tale “influenza” si riferisce a investimenti, infrastrutture e prestiti cinesi. L’Nss è esplicito: gli accordi Usa con i Paesi “che dipendono maggiormente da noi e quindi sui quali abbiamo la maggiore influenza” devono tradursi in contratti a fornitore unico per le aziende americane. La politica statunitense dovrebbe “fare ogni sforzo per espellere le aziende straniere” che costruiscono infrastrutture nella regione, e gli Usa dovrebbero rimodellare le istituzioni multilaterali per lo sviluppo in modo che “servano gli interessi americani”. Ai governi latinoamericani, molti dei quali commerciano ampiamente sia con gli Usa che con la Cina, viene di fatto detto: dovete trattare con noi, non con la Cina, altrimenti ne affronterete le conseguenze. Tale strategia è ingenua. La Cina è il principale partner commerciale per la maggior parte del mondo, compresi molti paesi dell’emisfero occidentale. Gli Usa non saranno in grado di costringere le nazioni latinoamericane a espellere le aziende cinesi, ma nel tentativo danneggeranno gravemente la diplomazia Usa.

L’Nss proclama una dottrina di “sovranità e rispetto”, eppure l’atteggiamento ha già ridotto tale principio a sovranità per gli Usa e vulnerabilità per gli altri. Ciò che rende la dottrina ancor più fuori dall’ordinario è che sta spaventando non solo i piccoli Stati d’America Latina, ma persino i più stretti alleati Usa in Europa. In uno sviluppo degno di nota, la Danimarca, uno dei partner Nato più fedeli, ha affermato che gli Usa rappresentano una potenziale minaccia per la sicurezza nazionale danese. I pianificatori della difesa danesi hanno dichiarato che non si può presumere che Washington, sotto Trump, rispetti la sovranità del Regno di Danimarca sulla Groenlandia e che un tentativo coercitivo Usa d’impadronirsi dell’isola è un’eventualità alla quale la Danimarca deve ora prepararsi. (…) Il fatto che Copenaghen si senta costretta a prendere in considerazione misure difensive contro Washington suggerisce che la legittimità dell’architettura di sicurezza guidata dagli Usa si sta erodendo dall’interno. Se persino la Danimarca ritiene di doversi proteggere dagli Usa, il problema non è più la vulnerabilità dell’America Latina. Si tratta d’una crisi sistemica di fiducia tra nazioni che un tempo consideravano gli Usa come garanti della stabilità, ma ora li considerano un possibile o probabile aggressore.

L’Nss sembra incanalare l’energia prima dedicata al confronto tra grandi potenze verso la prepotenza nei confronti degli Stati più piccoli. Se l’America sembra essere un po’ meno incline a lanciare guerre da mille miliardi di dollari all’estero, è più incline a usare come armi sanzioni, coercizione finanziaria, sequestri di beni e furti in mare.

Forse il difetto più profondo dell’Nss è ciò che omette: l’impegno per il diritto internazionale, la reciprocità e la decenza di base come fondamenti della sicurezza americana. L’Nss considera le strutture di governance globale come ostacoli all’azione degli Usa. Liquida la cooperazione sul clima come “ideologia” e, anzi, una “bufala”, secondo il recente discorso di Trump all’Onu. Minimizza la Carta delle Nazioni Unite e concepisce le istituzioni internazionali come strumenti da piegare alle preferenze americane. Eppure sono proprio i quadri giuridici, i trattati e regole prevedibili ad aver storicamente protetto gli interessi americani. I Padri fondatori degli Usa lo avevano capito chiaramente. Dopo la Guerra d’Indipendenza, 13 nuovi Stati sovrani adottarono presto una Costituzione per mettere in comune i poteri chiave – in materia di tassazione, difesa e diplomazia – non per indebolire la sovranità degli Stati, ma per garantirla creando il Governo Federale. La politica estera del governo nel Secondo dopoguerra fece lo stesso attraverso l’Onu e altre istituzioni. L’Nss di Trump inverte questa logica. Tratta la libertà di coercire gli altri come l’essenza della sovranità. Tale arroganza si ritorcerà contro gli Usa. Lo storico greco Tucidide racconta che quando l’Atene imperiale affrontò la piccola isola di Milo nel 416 a.C., gli Ateniesi dichiararono che “i forti fanno ciò che possono e i deboli soffrono ciò che devono”. Eppure l’arroganza di Atene fu anche la sua rovina: 12 anni dopo, nel 404 a.C., Atene cadde nelle mani di Sparta. L’arroganza ateniese, la sua prepotenza e il disprezzo per gli Stati più piccoli contribuirono a galvanizzare l’alleanza che alla fine la fece crollare. L’Nss parla con un tono altrettanto arrogante. È una dottrina del potere sulla legge, della coercizione sul consenso e del dominio sulla diplomazia. La sicurezza americana non sarà rafforzata agendo da bullo. Sarà indebolita – strutturalmente, moralmente e strategicamente – e finirà per isolarsi. La strategia di sicurezza Usa dovrebbe basarsi su premesse totalmente diverse: accettazione di un mondo plurale; riconoscimento che la sovranità è rafforzata, non diminuita, attraverso il diritto internazionale; riconoscimento che la cooperazione globale su clima, salute e tecnologia è indispensabile; comprensione che l’influenza globale dell’America dipende più dalla persuasione che dalla coercizione.

Calendario dell'Avvento



 

domenica 14 dicembre 2025

Eccoli!

 


Quale magnificenza, che riassunto, che spettacolare compendio di quest’era che nel futuro, dopo l’Età del Ferro, dell’Oro, delle Macchine verrà sintetizzata nell’Era dei Merdoni! Eccoli qui, ci sono quasi tutti, assatanati dal precetto del tempo, di questo tempo infame, anzi: In Fame! - che cioè l’Accaparramento smodato sia la via maestra, che togliere risorse alla stragrande maggioranza degli umani rappresenti la via maestra. 

Eccoli qui i nostri vati che si sono prostrati al Vitellone Biondo d’Oro, perdendo dignità, decoro e indipendenza! Questo Bignami delle nefandezze di oggi, serva per un domani migliore. Sempre ammesso che l’idiozia pregnante i cosiddetti grandi del pianeta non estingua, tra le “ola” delle altre, la nostra specie oramai frastornata, depotenziata ed in totale balia dei suddetti merdoni.

L’Amaca

 

Il quadro dimezzato 

di Michele Serra

Si leggono con interesse sempre più blando i sondaggi sulle intenzioni di voto perché (ammesso siano attendibili) inquadrano una porzione di italiani anno dopo anno più ristretta. Ottimisticamente, e parlando solo delle elezioni politiche: poco più della metà del Paese. Decisamente meno parlando di europee ed elezioni locali. Ancora meno nei referendum.

La metà in ombra, quella che non vota, ammutolita per scelta o per distrazione o per sfinimento o per menefreghismo o chissà, è un mistero evidentemente inaffrontabile, non inquadrabile e non leggibile: eppure, politicamente parlando, rappresenta l’enigma la cui soluzione, anche parziale, cambierebbe in modo radicale il futuro non solo in Italia, ma in tutti i Paesi muniti di suffragio universale.

Chi sono, perché non votano, quanto del loro silenzio politico è imputabile a loro e quanto invece alla politica? Se fossi un partito commissionerei ai sondaggisti solamente indagini sugli astenuti, l’oceano muto e sordo sul quale nessuno sa più come navigare. È solo in mezzo a quelle acque indefinite che si potrebbe riuscire a capire lo sprofondo della politica, la sua perdita di senso e di peso, il suo sembrare un’attività tutta interna ai suoi artefici.

Esistono studi (per esempio quello del Mulino) sull’astensionismo, ma poi, lontano dalle elezioni, tutti continuiamo a commissionare, pubblicare e leggere la classifica dei partiti, gli 0,1 in più o in meno, senza renderci conto che si tratta di trascurabili dettagli di un quadro la cui metà è scomparsa. Come sa la Gioconda fosse dimezzata, mezzo volto di mezza donna. E l’Ultima cena: mezzo Cristo e sei apostoli.

Calendario dell'Avvento

 



Numeri

 

Numeri per assassini
DI MARCO TRAVAGLIO
Qualche dato sulla guerra in Ucraina: non della Pravda, ma dell’Institute for the Study of the War (Isw) americano, think tank neocon ultra-atlantista e filo-ucraino: i russi controllano circa il 20% del territorio ucraino (oltre 115 mila kmq.): la Crimea annessa nel 2014, l’intero Lugansk, l’85% del Donetsk, l’80% della regione di Zaporizhzhia, il 76% di quella di Kherson (fino al fiume Dnepr), più vari territori in quelle di Sumy, Kharkiv e Dnipropetrovsk. Nel 2022, subito dopo l’invasione, erano giunti a occupare un 27% a macchia di leopardo, poi il ridislocamento delle truppe nelle aree più strategiche per i negoziati di Istanbul e le ritirate per la prima controffensiva ucraina (l’unica riuscita) li avevano sensibilmente ridotti. Nel 2023 la seconda controffensiva ucraina fu un disastro: 584 kmq persi in un anno. Da allora Mosca non smette di avanzare e Kiev di arretrare. Nel 2024 l’armata russa ha conquistato altri 4.168 kmq: 347,3 al mese. Ma con un picco-record di 725 a novembre. Poi nel 2025 si è tornati alla media precedente, fino a 634 kmq in luglio, 594 in agosto, 447 in settembre, 461 in ottobre e 701 in novembre. Anche per le stime dell’Isw, che Mosca contesta come riduttive, le conquiste russe del 2025 superano di oltre 2 mila kmq quelle del 2024.
Da due anni la musica non cambia, né potrà farlo in futuro, se non in peggio per gli ucraini: l’esercito si assottiglia sempre più per i morti, i mutilati, i mancati ricambi, le diserzioni dal fronte e le fughe dal reclutamento forzato, mentre i russi continuano ad arruolare 30 mila volontari al mese. Le armi a Kiev scarseggiano perché gli Usa non ne regalano più (e ora minacciano di ritirare pure l’intelligence satellitare), ma le vendono agli europei, che però hanno le casse e gli arsenali vuoti. E poi c’è l’aspetto che sfugge a chi misura la guerra col righello per fingere che non sia persa: la qualità dell’avanzata russa dopo la faticosa presa di Pokrovsk (14 mesi di assedio), che ha sbriciolato quel che restava della linea fortificata a ferro di cavallo eretta dalla Nato dal 2014 per separare il Donbass secessionista dal resto del Paese e impedire sfondamenti filorussi e russi. Dietro quello snodo militare, logistico e industriale, non ci sono più barriere per arginare i russi verso Zaporizhzhia, Dnipro e Kharkiv (dopo il crollo di Kupiansk): le nuove trincee, lautamente finanziate dalla Nato, non si sono mai viste perché la cricca di Kiev s’è rubata pure quei fondi. E ora in Donetsk sta cadendo anche Seversk, tra Lyman e Kostantynivka, favorendo l’avanzata russa verso la roccaforte Slovjansk. Chi sabota il negoziato di Trump raccontando che il fronte è in stallo, o addirittura che gli ucraini resistono e possono vincere è un criminale che li vuole tutti morti.

sabato 13 dicembre 2025

Natangelo

 



Sunto

 

Campana a morto
DI MARCO TRAVAGLIO
Ricapitolando. Secondo i vertici Nato, “dobbiamo essere pronti alla guerra e a un livello di sofferenza come i nostri nonni e bisnonni: adottare una mentalità di guerra, perché il momento di agire è ora” (Rutte), anche con un “attacco preventivo alla Russia” (amm. Cavo Dragone). Per la Francia, “bisogna tornare ad accettare di perdere i propri ragazzi, di farsi male” (gen. Mandon). Per la Ue, “l’Europa deve prepararsi alla guerra con la Russia” (Von der Leyen e Kallas). Per i Servizi tedeschi, “non dobbiamo dormire sugli allori pensando che la Russia non attaccherà la Nato prima del 2029: siamo già nel vivo dell’azione” (Jager). Per Leonardo, “non sta finendo la guerra, sta iniziando la guerra nuova. Dobbiamo mettere su queste tecnologie (gentilmente offerte da Leonardo, ndr), sennò ci sterminano… Da Mosca a Roma in tre minuti arriva un missile non ipersonico balistico che porta più di una testata nucleare. Per riconoscere la minaccia e valutarla ci vogliono 12 minuti, neanche il tempo di salutare i familiari… Ho paura come padre di tre figli, come cittadino, come europeo” (Cingolani). Per il governo italiano, “il Ponte sullo Stretto ci serve anche per un’evacuazione in caso di attacco da Sud” (Tajani).
Questa è la narrazione dell’Europa ufficiale da quando Trump minaccia di far scoppiare la pace in Ucraina. Poi c’è la narrazione russa: “È ridicolo pensare che la Russia attaccherà l’Europa, ho detto centinaia di volte che non abbiamo intenzione di combattere contro l’Europa: se volete lo metto per iscritto. Se però l’Europa decidesse di combattere contro di noi e lo facesse, saremmo pronti fin da ora. E potrebbe verificarsi molto rapidamente una situazione in cui non avremmo nessuno con cui negoziare. Non come in Ucraina, dove stiamo agendo in modo chirurgico” (Putin).
Ciascuno è libero di valutare la sincerità e l’attendibilità delle due opposte propagande. Ma è ciò che arriva alle opinioni pubbliche in Europa e in Russia. Secondo voi, che effetto fa? I geni che ci sgovernano temono che sempre più gente preferisca la narrazione russa a quella europea. E apparecchiano scudi “democratici”, battaglioni di hacker per la cyberwar, leggi liberticide, filtri social, bavagli, guinzagli, censure, retate, espulsioni per farci sentire solo la loro campana. Nessuno è colto dal dubbio che il problema sia proprio la loro campana. Cioè che crollo di credibilità e consenso dei governi europei non dipenda dalle quinte colonne infiltrate dall’Impero del Male nell’Impero del Bene, ma da ciò che dicono i rappresentanti dei “buoni”. Anziché buttare trilioni in armi e guerre ibride, forse basterebbe un bravo consulente di comunicazione. Che, tra l’altro, costa molto meno.