Un luogo ideale per trasmettere i miei pensieri a chi abbia voglia e pazienza di leggerli. Senza altro scopo che il portare alla luce i sentimenti che mi differenziano dai bovini, anche se alcune volte scrivo come loro, grammaticalmente parlando! Grazie!
giovedì 30 settembre 2021
Merdosi
Gedankenexperiment
Questo termine tedesco significa "esperimento mentale" ossia immaginare una situazione fisica, impossibile da realizzare in pratica, e nell'esplorale le conseguenze concettuali (da Inseguendo un raggio di luce di Amedeo Balbi).
Orbene, Gedankenexperiment dovrebbe consolarci, insufflarci sino alla salvezza, la smania di uscire da questa tremebonda "normalità" capace di tramutarci in batufoli di borotalco, incapaci di guidare noi stessi nella melma del quotidiano, di differenziarci dai "ghigioni" rimbambiti che sguazzano nel torbido propinatoci per non emergere.
Gedankenexperiment è la scintilla per rimetterci in moto in sinapsi, per comprendere che la gabbia mediatica è reale, subdola, diabolica, che ci costringe a consumare, a poltrire, ad assuefarci alla suddetta, anomala, "normalità"
Sediamoci con noi stessi e partiamo dal Gedankenexperiment per antonomasia, come lo stupendo libro di Balbi ci propone: se una ragazza vedesse due raggi laser sparati al centro di una carrozza di un treno in movimento, il ragionamento porterebbe a pensare che la velocità della luce si sommasse a quella del treno, il raggio emesso verso la direzione frontale sarebbe più veloce di quello sparato in coda.
Non è così.
Il grande Albert ci dice che la velocità della luce è la stessa ovunque, e non si somma a nulla. Rimane quella, sempre, in ogni condizione e, di conseguenza, l'ipotetica ragazza osservante i due raggi laser, ipoteticamente, vedrebbe arrivare più tardi quello sparato in avanti, perché la carrozza si muove e la distanza è maggiore di quello inviato verso la coda.
I due eventi per lei non sono simultanei.
Gedankenexperiment dunque, per allontanare i pesi ingombranti e mefitici della "normalità", per immergerci dentro al mistero, per crescere nel pensiero. Per riacquistare la libertà. E un'ultima cosa: chi guarda il Grande Fratello Vip è un Morisi! Tiè!
Rieccolo!
Selvaggiamente d'accordo!
Travaglio!
mercoledì 29 settembre 2021
Parole sante
Nomen non omen!
Capisco che il Secolo XIX essendo di proprietà dell’illuminata dinastia sabauda debba, umilmente, infarcire ed indorare anche i mercati che vendono morte, ma enfatizzare un super missile come un ritrovato tecnologico in grado di dar lustro alla città, in quella fiera della morte che bovinamente, e forcerianamente chiamano Sea Future (di ‘sta minchia… ops!) mi sembra un tantinello eccessivo! Stellantis a tutti!
Tiè Morisi, tiè!
Luca Morisi soffre della sindrome del vescovo beccato nel bordello
di Alessandro Robecchi
Se non si parla di politica, ma di Comédie humaine, ci vorrebbe Balzac, per dire del caso Morisi e della Lega salviniana tutta. Una galleria di personaggi che avrebbe fatto la fortuna di un buon romanziere ottocentesco: il Rasputin dei social media, il costruttore in affari coi russi, la cascina nelle nebbie nata come enclave vip e “ora ci abitano un po’ tutti”, il capo che abbraccia e perdona, i ragazzi rumeni che se la cantano manco li avesse interrogati Philip Marlowe. E poi i commercialisti furbetti, i milioni spariti, la faccia truce del potere, un feuilleton in piena regola.
Mi sembra che questo elemento, sovrastato dal clamore politico, sia passato un po’ in ombra, peccato. Anche perché, la figura di quello che predica in un modo e viene sorpreso a fare l’opposto – diciamo così, la sindrome del vescovo beccato nel bordello – ha un fascino eterno, inscalfibile. Da lì passa la lama che divide l’umorismo dalla satira, è lì che un incidente disvela il reale. È più di una faccenda politica, è un tratto letterario, è una caduta della maschera così clamorosa da diventare proverbiale, e quindi ci vorrebbero un Balzac, uno Zola, a dire la loro.
Oltretutto, mai personaggio potrebbe essere così trasparente: Morisi lo possiamo leggere parola per parola scarrellando all’indietro i social di Salvini per cinque lunghi anni, è come se un personaggio si presentasse sulla scena con il curriculum in mano, che passa dalle “risorse boldriniane” alla gastronomia popolare, dall’attacco sistematico ai più deboli, ai selfie con la figlia, al “non si usano i figli per la politica” al “no alla droga” anche (anzi, soprattutto) quando si parla di due canne. Tutto il repertorio, insomma, nero su bianco e con le fotine. Lo Zeitgeist morisian-salviniano è sempre stato chiaro, lampante. Il problema è che è invecchiato, non serve più. Che al momento l’ordine di scuderia è un altro: fare i responsabili incravattati al Mise, e procedere con la linea Draghi, nascondere un po’ di arditi sotto il tappeto, e sorridere alle telecamere, possibilmente senza salami in mano.
La narrazione di Salvini, tutta all’attacco, sprezzante, intimamente fascista, con il forte che picchia i deboli, aveva un’eco sistematica e costante, rimbalzava sui media ufficiali, faceva notizia, quindi suggerirei anche meno lacrime e sentimenti di facile umanità, perché Morisi non parlava solo sui social di Salvini, ma al Paese intero, con tivù e giornali alla ricerca dell’ultima trovata che facesse titolo. Complice anche – segno dei tempi – una certa fascinazione tecnica, per cui di un propagandista che inquina i pozzi, avvelena le acque, sposta a destra il sentiment di un Paese intero si può dire: “Però è bravo”. I numeri confermano: la Lega stava al 4 per cento e quando è comparso lui è arrivata al 34. E anche gli avversari lo dicono come se fosse un merito e non una iattura, con un po’ di ammirazione che sottintende: avercene di Morisi!, con ciò confermando indirettamente l’attuale situazione etica della politica italiana.
Per portarsi avanti col lavoro, comunque, urge sapere se con Morisi finisce anche il morinismo, cosa non molto probabile, il Parlamento è sistematicamente sorpassato dai voti di fiducia, la barra è dritta, il sentiero tracciato, non resta, come prova di esistenza in vita per leader e capipopolo, che litigare sui social, inventare nuove formule e slogan. Ecco, un consiglio: nel caso si lanciasse una crociata contro i frutti tropicali, meglio evitare si farsi beccare in una cesta di ananassi.
Mirabile Marco!
Abracartabia
di Marco Travaglio
In attesa del prossimo film di Woody Allen, chi vuol farsi qualche sana risata può vedersi le audizioni alla Camera sul dlgs Cartabia per “rafforzare la presunzione di innocenza”. Cioè per abolire la cronaca giudiziaria. Ormai, fra depenalizzazioni, prescrizioni, improcedibilità, cambi di giurisprudenza à la carte, minacce ai giudici e altre porcherie, il rischio che un potente sia condannato è inferiore a quello che Italia Viva superi il 3%. Infatti ciò che spaventa lorsignori non è più di finire in galera, ma sui giornali: cioè che si sappia quel che fanno. Quindi i pm e le forze dell’ordine potranno parlare delle loro inchieste “solo quando è strettamente necessario per la prosecuzione delle indagini o ricorrono altre rilevanti ragioni di interesse pubblico”. Cioè: meglio per loro se si stanno zitti, così i media non scrivono più nulla e la gente non sa più una mazza. Ogni tanto – abracadabra! – sparirà qualcuno da casa, parenti e amici penseranno al peggio e chiameranno Chi l’ha visto?, i giornali segnaleranno il curioso fenomeno dei desaparecidos come nell’Argentina anni 70: anni dopo si scoprirà che era stato arrestato, ma non era strettamente necessario dirlo.
Nel caso in cui un pm o un agente temerario si ostinino a informare di un’indagine, dovranno astenersi dall’“indicare pubblicamente come colpevole” l’indagato o l’imputato. Uno spasso: per legge il pm che chiede al gip di arrestare tizio deve indicare i “gravi indizi di colpevolezza” a suo carico: ora dovrà aggiungere che sembra colpevole, ma è sicuramente innocente. Anche se l’ha colto in flagrante o filmato o intercettato mentre accoltellava la moglie, o spacciava droga, o frugava negli slip di un bambino. E persino se ha confessato. Formula consigliata: “È innocente, arrestiamolo”. Severamente vietato poi “assegnare ai procedimenti denominazioni lesive della presunzione di innocenza”. Retata di narcotrafficanti, mafiosi, terroristi, scafisti, papponi, pedofili, tangentisti? Operazione “Giglio di Campo” o “Tutta Brava Gente”. Anche fra i reati da contestare, evitare quelli che fanno pensar male: non più “associazione per delinquere”, ma “sodalizio conviviale”. La stampa dovrà cospargere le pagine di vaselina, evitando termini colpevolisti quali “criminalità organizzata” (tutt’al più disorganizzata, ecco). Ma questo già avviene su larga scala, infatti ieri l’Ordine dei giornalisti e la Fnsi han dato buca alla Camera. Se già i media chiamano statisti i pregiudicati, esuli i latitanti e perseguitati i colpevoli prescritti, il dlgs Cartabia è pleonastico. Anche grazie ai giudici che si portano avanti col lavoro e cancellano brutture come la trattativa Stato-mafia, condannando solo i mafiosi. Che trattavano sì, ma da soli. Infatti ora si chiama “trattativa mafia-mafia”.
martedì 28 settembre 2021
Citazione
– Sto dicendo che l’intera struttura culturale è allo sbando, – disse Chip. – Sto dicendo che la burocrazia si è arrogata il diritto di definire certi stati mentali come «malati». Lo scarso desiderio di spendere denaro diventa il sintomo di una malattia che richiede cure costose. Le quali cure poi distruggono la libido, in altre parole distruggono l’appetito per l’unico piacere gratuito della vita, e ciò significa che la persona dovrà spendere sempre piú denaro alla ricerca di piaceri compensativi. La definizione stessa di «salute» mentale è la capacità di partecipare alla civiltà dei consumi. Quando spendi denaro per una terapia, lo fai per imparare a spenderne dell’altro. E sto dicendo che io, in questo preciso istante, ho perso la battaglia contro una modernità commercializzata, medicalizzata e totalitaria.-
Le Correzioni - Jonathan Franzen
Risposta
Prorompente come una cascata, turgido ed insolente, devastante nell'apoteosi del momento, sono pronto a rispondere al quesito del datore di lavoro all'Infangatore per antonomasia! Liberandomi da ogni freno inibitorio, rimanendo in canotta, alla domanda "Chi ridarà dignità a Luca?", dopo aver ripiegato nella cassapanca lo stucchevole francesismo rispondo tra una ola e l'altra, impregnato di cori celestiali con un fantasmagorico, entusiasmante ed epocale "Stocazzo!"
Ah che piacere!
Daje!
Intanto Enrico Laghi è ai domiciliari a Potenza per corruzione in atti giudiziari. Stiamo parlando di un’architrave del Sistema: nominato dal governo Renzi a commissario dell’Ilva e dal governo Gentiloni a commissario di Alitalia, ex sindaco del gruppo Espresso-Repubblica e tuttora presidente e membro del Cda di Edizione (la holding dei Benetton). L’accusa, nata dalle dichiarazioni – stavolta attendibili e riscontrate – del coindagato Piero Amara, è di aver corrotto il procuratore di Taranto Carlo Maria Capristo in cambio di un patteggiamento a tarallucci e vino dell’inchiesta Ambiente Svenduto avviata dal predecessore Franco Sebastio. I pm e il gip citano il racconto di Amara: “Laghi, Capristo… e Renzi erano tutta una cosa nella gestione del patteggiamento… L’Ilva insieme al governo ha appoggiato la nomina di Capristo… Il premier… ricordo che è venuto a Taranto, è andato a salutare Capristo… Anche i decreti concordavano” (uno bocciato dalla Consulta) per neutralizzare i sequestri: “Mi ricordo che Laghi ha materialmente scritto uno dei decreti, almeno mi disse, emanati dal governo Renzi”. Qualcuno si domandava il perché dell’attacco a freddo dell’Innominabile ai magistrati mercoledì in Senato. Ora c’è solo l’imbarazzo della scelta.
Grande Serra!
lunedì 27 settembre 2021
Che goduria!
domenica 26 settembre 2021
Danielona
sabato 25 settembre 2021
Minuzioso e travagliato
venerdì 24 settembre 2021
Normalità
Scatenato
giovedì 23 settembre 2021
Ben svegliati!
Un bell'epilogo l'implosione della Lega attorno all'oramai famigerato Green Pass - con le ore spese a gracchiarci attorno forse si sarebbe potuto aggredire meglio i devastanti problemi ancora irrisolti, vedasi lavoro e pulizie generali disinfettanti la corruttela - ma questi latrati nascondono, l'anagrafe rende scafati, il tentativo di obnubilare il dettato costituzionale. Sulla barca oramai ci sono tutti, dai fedeli di Al Tappone a coloro che volevano aprire la scatoletta di tonno, e ci stanno bene, comodamente impegnati ad oliare attrezzi per future intrusioni.
E allora perché non svilire le regole, come ad esempio attendere l'esito delle elezioni del popolo sovrano quale unico fattore di scelta di future coalizioni?
Tirare per la giacchetta l'Uscente inquilino quirinalizio per proseguire nella bisboccia dragoniana è grave anomalia o politica consona ai dettami della Carta?
Esistono ancora differenze tra un ex bibitaro ed un follower di uno che pagava le tangenti alla mafia?
L'azzeramento delle sacrosante divergenze di vedute politiche nuocerà gravemente alla salute pubblica?
Ma soprattutto: perché chi ha già tanto ammassato nel granaio continua ad accatastare fortune alla faccia dei soliti coglioni noti?
Bellamaca
mercoledì 22 settembre 2021
Gran bel Robecchi!
Gad
È così che vincerà il modello cinese
Il comunismo di Pechino ha tirato fuori dalla povertà 800 milioni di persone e ora viaggia al ritmo delle nazioni egemoni, non dimenticando (però) la redistribuzione
Da giovane non ho mai sventolato il libretto rosso e da vecchio non ho alcuna intenzione di dedicarmi allo studio dello Xi Jianping pensiero. I maoisti nostrani vestiti da guardie rosse mi facevano piuttosto ridere. Ma nel 2021, lasciatemelo dire, quella con la Cina è una guerra fredda che non ci conviene. Per intuirlo, basterebbe non lasciarsi irretire dalla nostalgia di un’alleanza atlantica che va disfacendosi e non rinascerà di certo in funzione anticinese.
Quando la Nato si formò per tenere a bada Stalin e il blocco sovietico, la Cina era uno dei Paesi più poveri della terra. Ci ha messo meno di settant’anni per candidarsi a prima potenza economica mondiale: il sorpasso sugli Usa ormai è molto più di una probabilità. Passerò per veterocomunista e filocinese se suggerisco che da quel modello (che si calcola abbia sollevato dalla povertà 800 milioni di persone), per quanto autocratico e dirigista, purtuttavia avremmo qualcosa da imparare? Di certo il modello cinese esercita già il suo fascino su altre nazioni meno sviluppate. E, qualora la guerra fredda si inasprisse, non mi stupirebbe vederlo conseguire consensi oggi impensabili anche nelle nostre società rese fragili dall’accrescersi di disuguaglianze e povertà. Guai se in troppi cominceranno a pensare che la libertà sia un lusso cui vadano anteposte maggiori tutele sociali.
Sapremo nei prossimi giorni se lo scoppio della bolla immobiliare cinese provocato dal crac di Evergrande avrà effetti devastanti dentro al sistema cinese che aveva ripreso a crescere impetuosamente dopo l’effetto Covid. Di certo sarebbe un guaio anche per noi: le nostre economie sono legate a doppio filo.
Ma intanto, dopo la disfatta in Afghanistan, la storia si è messa a correre in fretta e a suscitare scalpore è ancora una volta l’ennesima frattura del campo occidentale: la Francia che denuncia la “coltellata alla schiena” e richiama i suoi ambasciatori da Washington e Canberra a seguito della cancellazione di una fornitura di sommergibili all’Australia per 56 miliardi di euro.
È ben comprensibile che l’Australia, pur essendo una nazione grande quasi quanto la Cina, si senta minacciata dall’espansionismo di Pechino. Corre ai ripari formando con gli Usa e il Regno Unito una specie di Nato dell’Indo-Pacifico che esclude gli europei: la cosiddetta Aukus. Ne ottiene in cambio sommergibili più potenti, alimentati da reattori nucleari. Ebbene, basterebbe ricordare che gli australiani sono solo 25 milioni mentre i cinesi sono 1 miliardo e 400 milioni per rendersi conto che nessuna cortina di ferro, e nessuna deterrenza nucleare, potrà fermare un riequilibrio – speriamo pacifico – di quell’area, ormai divenuta il nuovo motore trainante dell’economia mondiale.
La frattura determinata da Aukus verrà probabilmente ricomposta sul piano diplomatico, ma evidenzia un’insanabile divaricazione di interessi nelle relazioni con la Cina tra gli Usa e i singoli Paesi europei, Germania in testa, già precedentemente emersa di fronte alla richiesta americana di boicottaggio della rete 5G di Huawei. E poi nel tentativo sostanzialmente fallito di convocare un G20 straordinario sull’Afghanistan da parte del nostro Draghi. Intanto pure l’Italia subirà un danno economico dall’accordo Aukus, preceduto a giugno dall’annullamento di una fornitura di nove fregate militari all’Australia da parte di Fincantieri, per un ammontare di 23 miliardi.
Se questo è lo scenario – un Occidente sempre meno compatto nelle sue relazioni commerciali e strategiche con la Cina – restano da interpretare le possibili ripercussioni esterne delle recenti svolte impresse da Xi Jinping alla politica del suo paese. C’è chi le semplifica brutalmente nella formula: “Ritorno al comunismo”. Troppo facile. Per restare agli slogan, meglio sarebbe storpiarne un altro a suo tempo in gran voga: “NON fare come in Russia”.
Traduzione: il Partito-Stato cinese, dopo l’apertura all’economia di mercato che nel 2000 portò all’ingresso nel Wto e avviò una politica neocoloniale in Africa e America Latina, ha iniziato ad adoperare metodi brutali per non restare ostaggio dei nuovi oligarchi com’è avvenuto nella Russia post-comunista.
Il 2021 si è aperto con l’esecuzione della condanna a morte di Lai Xiaomin, top manager della società di gestione crediti deteriorati Huarong, accusato di distrazione di fondi aziendali e bigamia. Prima fatto scomparire per mesi e poi ridotto al silenzio il fondatore di Alibaba, Jack Ma, magnate in precedenza potentissimo. Minacciosamente indotta a tagli di bilancio la famiglia Zhang che controlla la Suning (ne sappiamo qualcosa noi interisti, con la vendita forzata di Lukaku), peraltro invischiata nella crisi immobiliare di Evergrande. Vietato ai minorenni l’uso dei videogiochi per più di un’ora al giorno, e il colosso Tencent china la testa… potremmo continuare.
Orbene, lungi da noi auspicare un colpo di pistola alla nuca per i capitalisti disonesti, ma il messaggio giunge forte e chiaro. Così lo ha riassunto il segretario a vita Xi in un discorso del 17 agosto scorso: “Dobbiamo regolamentare i redditi eccessivamente alti e incoraggiare le imprese ad alto reddito a restituire di più alla società”. Con metodi più civili, non dovremmo aspettarci qualcosa del genere anche dai leader politici nostrani? Alla direttiva di Xi, “ripulire e regolare i guadagni non ragionevoli per favorirne la redistribuzione”, fa seguito l’obiettivo: “Una prosperità condivisa, requisito essenziale del socialismo e caratteristica chiave della modernizzazione cinese”.
Inquieta sapere che il Xi Jinping pensiero dal 1º settembre scorso è diventato materia di studio obbligatoria nelle scuole, con apposito sussidiario. Ma nessuno può negare la sua brutale aderenza allo spirito dei tempi. Anche chi vuole difendere i valori fondamentali della democrazia farebbe bene a non aggirare lo scoglio della crescente ingiustizia sociale. Se la Cina è diventata superpotenza egemone, lo deve anche alla capacità del suo regime di rispondere a una conflittualità sociale mai sopita: lo testimonia l’ondata di aumenti dei salari minimi, dopo il Covid.
Altro che guerra fredda.