mercoledì 20 agosto 2025

Robecchi

 Spoofing. Il barbatrucco dei call center molesti (che sfruttano i nuovi schiavi)

di Alessandro Robecchi

Buongiorno. Voglio cambiare operatore energetico? Gas? Luce? Acqua? A proposito di acqua, non è che per caso voglio un depuratore che trasformi il rubinetto della mia cucina in una sorgente di montagna? In omaggio mi danno uno stambecco. Voglio un’assicurazione? Mi interessa investire in strumenti finanziari che mi cambieranno la vita entro giovedì? Voglio andare per caso una settimana a Sharm el-Sheikh?

È proprio vero che la vita è piena di interrogativi e che ogni giorno ti presenta nuove domande, ma… sette domande al giorno? Otto? Dieci? Ricordo vagamente, come quei sogni che alla mattina si confondono e sfumano nella giornata che inizia, di essermi iscritto, una volta, a un registro apposito, che mi avrebbe evitato seccature telefoniche. Lo feci un po’ perché andava di moda e sembrava una buona trovata, e un po’ perché mi faceva ridere il nome: “Registro delle opposizioni” e mi chiedevo, nel caso, dove avrebbero messo Calenda. Da allora, da quella miracolosa iscrizione che mi costrinse a scaricare, compilare e rispedire pdf con i miei dati, ricevo più telefonate dei vigili del Fuoco durante un nubifragio. Non è che mi servirebbero dei bitcoin? Articoli per giardinaggio? Un’affettatrice elettrica? Un materasso nuovo?

Ora leggo che sarà vietato lo spoofing. È bello imparare parole nuove, certo, e apprendo che lo spoofing è quel barbatrucco aziendale per cui uno ti chiama dall’Albania, o dal Bangladesh, o dalla Luna, ma fa comparire un numero italiano. Vale per i numeri fissi. Dal 19 novembre varrà anche per i finti numeri dei cellulari. Un bel passo avanti. Se tutto funzionerà come per il Registro delle opposizioni, mi aspetto chiamate anche da altri pianeti: sarei interessato a commerciare in terre rare? E ad aprire un conto corrente? La chiamo da Saturno.

È una questione che pone anche problemi umanitari, almeno per le brave persone. Mi spiego: io che ricevo la telefonata e il poverocristo seduto a una scrivania di Durazzo che la fa siamo entrambi vittime. Non è che ti chiama l’amministratore delegato a cui sarebbe giusto dirne quattro, no, finisci per mandare affanculo un poveraccio. Poveraccio che spesso è costretto a usare un nome falso, perché non è possibile che gli operatori stranieri si chiamino tutti Marta, o Giovanni, o Gino: le politiche aziendali impongono nomi italiani per parlare con clienti italiani e quindi stai parlando, molto spesso, con gente depredata della sua stessa identità. Schiavi. Il capitalismo è una cosa piuttosto cinica, se non lo sapevate.

Scusi, come ha il mio numero? Capita a volte, per un allineamento di pianeti, o perché hai un minuto libero, o per altri inesplicabili motivi, di interloquire, lasciarli parlare, e poi lanciare la stoccata: come fa a sapere il mio nome, ad avere il mio numero? A volte riagganciano, cogliendo l’ostilità e dandoti per perso, altre volte ti disarmano: beh, lei ha la tessera fedeltà del gommista, o è cliente del tal supermercato, o è abbonato a… o è correntista di… o frequent flyer… Marta, Giovanni, Gino, sono addestrati a trasformare l’irritazione in curiosità, e poi in vertigine: ovvio che se prendo spesso l’aereo con la mia tessera punti qualcuno voglia vendermi due casse di cibo per criceti, no? Non fa una piega. Ora mi aspetto molto da questo nuovo regolamento: so che l’operatore Malik, nome di battaglia Gino, non potrà chiamarmi fingendo di telefonare da Udine o da Perugia. Cazzo, son soddisfazioni! No, grazie, non mi servono soddisfazioni, posso sapere come ha il mio numero?

Nessun commento:

Posta un commento