Ferragosto in Alaska
di MICHELE SERRA
Ferragosto in Alaska sarebbe un ottimo titolo per una nuova ondata di film estivi dei Vanzina. È invece, salvo smentite, la millesima puntata della raffica di voci, di indiscrezioni, di fole e ogni tanto perfino di incontri in carne e ossa che si susseguono da mesi a proposito della cosiddetta “pace in Ucraina”.
I due anziani capi che si sono dati appuntamento lassù sono, almeno in teoria, i terminali di governi, assemblee politiche, diplomazie, apparati militari. Ma la tribalizzazione galoppante dell’umanità ce li raffigura come due incontrastati e incontrastabili maschi alfa, marmorizzati (Putin) e inciuffettati (Trump) dal potere, in grado di fare e disfare il mondo secondo il loro uzzolo.
Putin e Trump, Trump e Putin, se ci fate caso dai titoli di giornale sono quasi scomparse le parole “Stati Uniti” e “Russia”, tanto per chiarire che perfino le Nazioni, nell’evo del nazionalismo risorgente, sono entità minori rispetto ai loro capi. Più che il sovranismo, il populismo, il nazionalismo, è il “capismo” la fase postdemocratica che minaccia di imporsi nel mondo, o forse si è già imposta, e ce la ritroviamo di fronte senza nemmeno il tempo di esserci domandati come e quando è potuto accadere.
Il mandato formale a governare è sempre più formale, i capi si muovono con piccole cerchie di pretoriani che definire “classe dirigente” è molto ottimistico. Perfino nelle foto ufficiali appaiono quasi sempre soli. Da uomo a uomo. Sullo sfondo, con un poco di immaginazione, si riesce a intravvedere anche il resto dell’umanità.
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