venerdì 31 gennaio 2025

Pietà!



Vi prego basta! Mi scompiscio!!! 
Basta vi prego!!

Ah ecco perché!





Buon viaggio Marianne!




Natangelo

 



Girano i meloni!

 

Le vergini immacolate
di Marco Travaglio
Gira un video strepitoso di Giorgia Meloni che ringhia da sotto la mascherina nell’aula della Camera: “Adesso basta! C’è un limite a tutto! Conte si vuole difendere sull’uso della scorta? Lo faccia nelle sedi proprie, come farebbe qualsiasi altro politico qui dentro, non approfittando degli italiani che aspettano di sapere se possono festeggiare almeno il Natale. Il problema dello Stato di diritto in Europa adesso lo pongo io. Non Orbán, gli ungheresi, i polacchi: c’è un problema in Italia di difesa dello Stato di diritto, in nessuna democrazia degna di questo nome le istituzioni si usano così! Chiedo ufficialmente al presidente della Repubblica Mattarella cosa pensi di questo uso delle nostre istituzioni”. È il 3 dicembre 2020 e, a proposito di uso politico della giustizia per abbattere gli avversari, FdI ha appena denunciato il premier Giuseppe Conte alla Procura di Roma per peculato, con l’accusa di aver mandato la scorta a proteggere la compagna da un agguato delle Iene. Un giornalista, in conferenza stampa, ha chiesto lumi a Conte, che ha spiegato come sono andate le cose e si è messo a disposizione dei pm. Che seguono per lui la stessa procedura ora seguita per Meloni&C.: lo iscrivono nel registro e lo avvisano di aver trasmesso la denuncia di FdI al Tribunale dei ministri, che indaga, sente i protagonisti e quattro mesi dopo archivia. Ma quella volta la Meloni non accusa i pm di ricattare e intimidire il premier, anzi lancia l’allarme democratico al capo dello Stato perché Conte ha financo risposto a un giornalista.
Figurarsi che avrebbe detto se Conte avesse girato un video per sputtanare il procuratore come autore di “processi fallimentari” (tipo quelli sulla Raggi) e di trame contro il governo; o avesse passato al Tg1 notizie riservate per screditarlo; o avesse infamato sul piano personale la denunciante di FdI anziché rispondere nel merito. E figurarsi se, quando fu accusato a Bergamo di aver sulla coscienza la morte di almeno 4.148 persone per Covid, Conte avesse scatenato l’inferno per quell’imputazione infamante e lunare. Invece disse: “Ben vengano le verifiche giudiziarie. Risponderò nelle sedi opportune, ma non aspettatevi show mediatici”. E quando i giudici archiviarono, non chiese la testa dei pm che l’avevano indagato: non una parola. Chi pensa che “i politici sono tutti uguali” rifletta su questa fondamentale differenza. C’è chi pensa che la legge sia uguale per tutti e chi dice “io so’ io e voi non siete un cazzo”. Come il sindaco Sala, che intima al Pd di votargli il Salva-abusi sennò “sarebbe in discussione il mio operato”. E chi sarà mai, la Vergine Immacolata? Se il Pd voterà pure quella porcata, non dimostrerà che i politici sono tutti uguali. Ma che il Pd è uguale alle destre.

L'Amaca

 

Ultima stazione: Roccaraso
DI MICHELE SERRA
Tanta fatica di scrittori, sceneggiatori, registi per immaginare i vari esiti infausti del percorso umano (le cosiddette distopie), ma basta un’occhiata alla realtà per capire che non c’è molto da congetturare o inventare: l’irrimediabile è già accaduto, è alle porte di ogni casa, è dentro i chip di miliardi di cellulari.
Vale un film distopico — però in forma di parodia, perché evidentemente non meritiamo altro — la presa di Roccaraso, località montana fu ridente, da parte di migliaia di turisti giornalieri, vomitati da centinaia di pullman, arrivati tutti assieme lassù su istigazione di una matura influencer napoletana. Pare che gli influenced, trascorsa qualche ora nel più inestricabile degli ingorghi, abbiano poi scalpicciato nella neve sporca di gasolio consumando derrate portate da casa e contendendosi panini e patatine nei bar presi d’assalto. Per poi lasciare immondizia a mucchi, come mostrano le immagini sgomentevoli postate dal sindaco, annichilito, dopo il ritiro delle truppe d’invasione.
Poche cose danno l’idea della tristezza come un parcheggio di pullman in montagna, verso il tramonto, quando la carica dei giornalieri è finita e tutto è desolazione e poltiglia, plastica e merendine schiacciate dagli scarponi.
Perfino i passeri disdegnano quella melma.
Quanto alla influencer che indirizza le masse lungo i tornanti abruzzesi, al suo confronto Wanna Marchi sembra Virginia Woolf, e Chiara Ferragni una Grace Kelly tradita dal pandoro. Ma non illudiamoci: il suo posto sarà presto espugnato da qualcuno che la farà rimpiangere.
Una nota, infine, per i follower: era già tutto scritto nel Pifferaio di Hamelin.

giovedì 30 gennaio 2025

Tristezza




Tristi pagelle



Una vergogna infinita, una squadra di saltimbanchi disoccupati, una consistenza simile al semolino 

Conceicao 6
Nello spogliatoio lo ascoltano come un fisico ascolterebbe Red Ronnie. Urla alla Luna con lo spogliatoio attento solo alle canzoni di Lazza. Sai che culo!

Maignan 5
Troppo impegnato al ruolo di capitano si fa passare la palla sotto le gambe nel primo gol. Leone addomesticato.

Tomori 4
Ha preso un numero imprecisato di bambole. Che voglia aprire un banchetto al mercato? Fikayo appassito.

Gabbia 3
L’errore sul primo gol è da cineteca. Fosse nato russo oggi sarebbe in un gulag. Vergognoso

Terracciano 5
Entra e non morde. È giovane ma ahimè non si farà!

Pavlovic 6
Uno dei pochi a rendersi conto di essere in un campo di calcio a giocare. Tenace.

Theo 4
Sembra un rappresentante di gocce ansiolitiche EN in perenne dimostrazione del prodotto. Calamita di vaffanculo.

Fofana 6
Ha fatto il compitino assegnatoli. Nulla di più. Dovrebbe essere fustigato ogni sei ore per l’ammonizione col Parma che gli farà saltare il derby. Sommo idiota.

Musah 2
Basaglia si sarebbe arreso difronte all’ eclatante evidenza di grave carenza psichiatrica di questo mandingo rintronato. 

Pulisic 7
Un calciatore, un uomo, uno sportivo. Chapeau!

Reijnders 5
Forse non lo avevano avvertito dell’importanza della gara. Probabilmente cercava una balera. Faccia da Picchiatello

Leao 4
Anche se un giorno farà un gol simile a quello in copertina dell’album Panini, non mi farà cambiare idea su ciò che penso di questo somaro ridanciano. Non sarà che agguanterà prebende da qualche mobiliere visto il gran numero di tavolini spaccati in suo nome? Scemo portoghese

Morata 3
Non c’era. Non si è visto. È rimasto a casa.

Chuckweze 6 
Ha fatto il compitino, tirando pure alla cazzo.

Mannaggia!




Gran Cameriere

 





661

 



Differenze

 

Menzogne eversive
di Marco Travaglio
Nel novembre 2020, mentre stava scrivendo il Pnrr e affrontando la seconda ondata di Covid e le imboscate di Renzi per rovesciare il governo, il premier Giuseppe Conte fu denunciato da Fratelli d’Italia alla Procura di Roma per peculato: l’accusa era di aver mandato la scorta che lo attendeva sotto casa a “salvare” la sua compagna assediata da una troupe delle Iene nel supermercato sull’altro lato della strada, a una decina di metri. La Procura non archiviò, ma iscrisse il premier per peculato, gli notificò l’iscrizione e, come prevede la legge, girò la denuncia al Tribunale dei ministri che, sentiti tutti i protagonisti incluso l’inviato delle Iene, la archiviò nel marzo 2021 perché era tutto falso. Conte non mostrò l’avviso dei pm a favore di telecamera, non gridò al complotto, si mise a disposizione dei magistrati e attese l’esito dell’indagine. Ne parlò il 3 dicembre rispondendo a un cronista in conferenza stampa: “Ho ricevuto attacchi personali a me e alla mia compagna, e mi spiace molto… Un’esponente di FdI mi accusa di uso improprio della scorta, ma è completamente falso: la mia compagna non ha preso l’auto di scorta, io non ho mandato la scorta, che era lì per me in attesa che scendessi. L’uomo della scorta è intervenuto perché ha visto concitazione e trambusto”. Mesi prima Conte era stato denunciato dai parenti delle vittime del Covid per la mancata zona rossa in Val Seriana: i pm di Bergamo l’avevano sentito per tre ore nel giugno 2020 a Palazzo Chigi e tre anni dopo, a fine inchiesta, l’avevano indagato con Speranza e altri 18 fra politici e funzionari per epidemia colposa aggravata e omicidio colposo plurimo: cioè per una strage di almeno 4.148 vittime. Anche allora fu avvisato dai pm prima che il fascicolo passasse al Tribunale dei ministri. E neppure allora gridò al complotto in tv. Espresse fiducia nei magistrati: “Sono assolutamente tranquillo e a disposizione: ho già fornito ai pm tutte le informazioni in mio possesso e ora, se ci sarà un’altra occasione, fornirò ancora la massima disponibilità”. Il Tribunale archiviò tutto 40 giorni dopo perché “il fatto non sussiste”.
La differenza fra un politico corretto e Giorgia Meloni è tutta qui. Nei confronti della premier i pm di Roma hanno seguito la legge e la prassi: quando arriva una denuncia circostanziata, come quella dell’avvocato ed ex sottosegretario Luigi Li Gotti contro Meloni, Nordio, Piantedosi e Mantovano per il mancato arresto di Almasri, dovendo affidarla subito e “omessa ogni indagine” al Tribunale dei ministri, non possono archiviarla. Devono iscrivere nel registro degli indagati i denunciati e informarli dell’indagine, perché possano nominare un avvocato e presentare memorie difensive.
La Meloni può non saperlo, ma lo sanno i suoi tre coindagati: i magistrati Mantovano e Nordio e il prefetto Piantedosi, che certamente gliel’hanno spiegato. Lei però ha deciso di buttarla in caciara, anzi in congiura, con quel video sgangherato ed eversivo in cui addita la Procura di Roma che compie un atto obbligato come un covo di golpisti che vogliono “ricattarla” e “intimidirla” per rovesciare il governo; e mente per la gola approfittando dell’ignoranza di molti sull’iter tecnico dei reati ministeriali. 1) Quello che sventolava non era un avviso di garanzia: al momento i pm non la accusano di nulla, la informano soltanto della denuncia e dell’indagine. 2) Nessuna inchiesta a orologeria collegata a riforme o altro. I tempi della notifica dipendono dalla denuncia di Li Gotti, che a sua volta dipende da un atto compiuto (anzi non compiuto) dal suo ministro della Giustizia: il mancato arresto dell’aguzzino libico Almasri, inseguito da un mandato di cattura internazionale della Corte dell’Aja. Che l’Italia, salvo uscire dallo Statuto di Roma che l’ha istituita, era obbligata a eseguire, anziché restituire il criminale alla Libia su un volo di Stato perché tornasse a torturare migranti e a violentare bambini. 3) Nessuna notifica dei pm può intimidire o ricattare la premier (ricattata, semmai, dalla Libia): probabilmente la denuncia sarà archiviata; se invece non lo fosse, non ci sarebbe comunque alcun processo perché per i reati ministeriali serve l’autorizzazione a procedere delle Camere, e il centrodestra non ne ha mai concessa una; se poi ci fosse un processo, i ministri imputati resterebbero al loro posto (come han fatto Salvini, Santanchè e Delmastro).
4) Li Gotti non è affatto un uomo di sinistra o di Prodi: ex esponente del Msi e di An, poi passato all’Idv di Di Pietro, assiste da sempre come avvocato pentiti di mafia (da Buscetta in giù) e rappresentanti delle forze dell’ordine, inclusa la famiglia del commissario Calabresi ucciso da un commando di Lotta continua. 5) Idem il procuratore Lo Voi, uomo di spicco di MI, la corrente togata di destra. 6) È falso che, restituendo alla Libia il torturatore, il governo abbia tutelato l’Italia: ha tutelato l’aguzzino e i suoi mandanti in barba all’articolo 378 del Codice penale, che punisce fino a 4 anni “chiunque aiuta taluno a eludere le investigazioni dell’Autorità, comprese quelle svolte da organi della Corte penale internazionale, o a sottrarsi alle ricerche effettuate dai medesimi soggetti”. E il riferimento alla Cpi fu aggiunto dalla legge n. 237 del 20.12.2012, che ne recepiva lo Statuto. Votata da tutti i partiti, inclusi quelli di destra che ora gridano al complotto riuscendo a commettere un altro reato, punito dall’articolo 668 del Codice penale: l’“abuso della credulità popolare”.

L'Amaca

 

Per un’Europa dei ghiacci
DI MICHELE SERRA
Inativi groenlandesi sono pochi, meno di sessantamila.
Sono tra le poche popolazioni indigene dell’emisfero occidentale che l’uomo bianco, nella sua feroce intraprendenza, non è riuscito a distruggere o assimilare del tutto.
Trump, che come usano gli autocrati patologici è convinto che tutti debbano amarlo e onorarlo, con le buone o con le cattive, vorrebbe comperarli oppure invaderli (lascia aperte le due opzioni: è un vero democratico) ma in un sondaggio la quasi totalità di quel piccolo popolo dice di no. Non vogliono diventare americani.
A causa delle tante bizzarrie dell’assetto post-coloniale, la Groenlandia è territorio danese (contea d’Oltremare). Si capisce che la piccola Danimarca, per quanto benestante, da sola faticherebbe non poco a fronteggiare l’America. Sarà dunque l’Unione Europea a doversi occupare, per forza di cose, della questione. E dunque, perché non fare un passo più in là e trasformare la Groenlandia in “territorio europeo”, sotto l’amministrazione diretta dell’Unione? Forse è un’idea balorda, non so neppure come articolarla tecnicamente (protettorato europeo? Territorio transnazionale direttamente amministrato dall’Unione?), ma se il civilissimo Regno di Danimarca cogliesse l’occasione, dando storico e inatteso impulso al processo di unificazione europea, non sarebbe bello, sorprendente e importante? Cedere sovranità a istituzioni transnazionali (l’Unione Europea ne è l’emblema) è la sfida del Terzo Millennio contro l’orco sovranista. Così da mettere in chiaro che Trump non ha come controparte la Danimarca, ma l’Europa nel suo insieme.

mercoledì 29 gennaio 2025

Neppure Spielberg!

 


Neppure Spielberg, i Fratelli Grimm, Paperoga, avrebbero potuto immaginare l'entrata in scena della signora in foto! Niente e nessuno poteva fantasticare in modo da prevederne l'arrivo; come se Dumas alla fine del Conte di Montecristo avesse scritto che lo stesso finiva derubato totalmente da Bertuccio e rificcato in prigione dove il fantasma dell'abate Faria lo avrebbe preso a calci nei coglioni fino alla fine dei suoi giorni; o come se Dante nel canto ipotetico aggiunto del paradiso, macchiando con l'inchiostro la pagina finale avesse tirato un bestemmione a chiosa del poema; oppure se il Manzoni, prolungando il Romanzo, raccontasse che Lucia cornificava Renzo. 

E invece la realtà come sempre supera di gran lunga l'immaginazione: non bastavano due psicopatici, uno biondo e l'altro tossico. No, sarebbe stata quasi normalità. Ecco la ciliegina Kristi Noem, nominata, come il cavallo Incitatus da Caligola, responsabile della sicurezza interna degli Stati Uniti. Psicopatica al punto da ammazzare il proprio cane perché non le obbediva, la poveretta si è presentata col Rolex alla prima adunata di facinorosi pronti ad espellere esseri umani addirittura da New York. Il suo commento? "Cominciamo a togliere quest'immondizia!" 

Davvero ho vagato molto nella fantasia, cercando in Proust, in Calvino, in Umberto Eco, un appiglio, una scorciatoia per evitarmi di eccedere. Non c'è stato verso. Ahimè, e me ne duole, non riesco che a dire: "Signora Noem! Se ne vada a fare in culo lei, il Rolex e i due psicopatici che l'han messa lì!"

Chiedo naturalmente venia....  

No, non torna!

 


Natangelo

 



Se tornasse lui...

 



Robecchi

 

Donald Real Estate. Gaza, il dramma trasformato in un affare immobiliare
di Alessandro Robecchi
Le immagini della marcia dei palestinesi di Gaza che, a piedi, carichi di fagotti, tornano verso case che non ci sono più, dopo aver perso tutto, oltre cinquantamila morti, il 70 per cento dei quali donne e bambini, senza più ospedali, scuole, moschee, affamati, senza niente, hanno riempito televisori e prime pagine, proprio nel Giorno della memoria. Davanti a quelle immagini, la frase-monito-preghiera “Mai più” che dovrebbe essere il vero slogan-significato del Giorno della memoria si scioglieva malamente, con un odore acre e schifoso. Poi, sono arrivate le parole di Donald Trump, il capocantiere del mondo: insomma, lì bisogna ricostruire, quelli che ci vivono sono un ostacolo, fermano lo sviluppo, la ristrutturazione (a cura e a vantaggio di chi ha raso al suolo tutto, ovviamente), quindi bisogna che si spostino. Vadano in Egitto, in Giordania, insomma, deportazione di massa (deportation è una parola di moda, per Donald). E lì ci facciamo tante villette e alberghi di lusso, che c’è pure una bella spiaggia, è un peccato che ci viva un popolo, non sarebbe meglio metterci dei coloni sionisti e tanti turisti garruli e felici?
Sulla sostanza politica della proposta Trump – fatta un po’ senza parere, come si parla della lettiera del gatto, o di imbiancare il salotto – non c’è molto da dire: spostare quasi due milioni di persone dalla loro patria a un esilio forzato in un altro Paese sarebbe la più grande pulizia etnica mai vista, non solo in questo secolo, un crimine di guerra conclamato. Senza contare che almeno due terzi dei palestinesi di Gaza hanno per padri e nonni altri palestinesi deportati e cacciati dalla loro terra durante la Nakba (“Catastrofe”) del 1948, il che – a proposito di giorni della memoria – denoterebbe una certa smemoratezza.
C’è però qualcosa che va al di là della sostanza politica di una proposta criminale che butterebbe benzina su un incendio, ed è la noncuranza, direi tra il cinico e il commerciale, con cui un signore molto ricco e molto potente vorrebbe gestire le sorti del mondo, le vite di milioni di persone, le loro discendenze. Non una cosa nuova, per l’Impero, certo, ma qui si nota un senso di veloce operatività: via di lì, che intralci, rallenti i lavori, ostacoli gli affari (si intende: i nostri affari). Oltre all’allineamento con la destra più oltranzista e genocida di Israele, c’è un elemento culturale che sgomenta forse ancora di più. Ed è quello di trasformare una quasi secolare tragedia in una faccenda di Real Estate, un’operazione geopolitico-immobiliare, cosa peraltro non nuova per gli Stati Uniti, che per costruire le loro città, verso Ovest, sterminarono e deportarono i popoli nativi dalle loro terre. Il salto spaventoso, dunque, è che una cosa che potrebbe dire il signor Gino al bar dopo tre o quattro bicchieri (“Vabbè, che si spostino!”) la dica il capo della prima (seconda?) potenza mondiale, con il suo codazzo di Stati-yes men, miliardari al seguito, potenze economiche e commerciali. Insomma, il disegno non è più nemmeno imperialista, non è nemmeno più novecentesco, ma apertamente colonialista e ottocentesco: se un popolo vive nella sua terra e a noi serve quella terra, be’, prendiamocela, e loro vadano a vivere altrove. Il mondo come un grande terreno edificabile, l’ordine di sfratto come ovvia conseguenza, la ferocia del colonialismo e la ferocia dei soldi unite nella lotta del più forte contro il più debole. Segniamocelo, per il prossimo Giorno della memoria, quando, commossi, diremo “Mai più”.

A proposito di...

 

Il contrappasso Trump
di Marco Travaglio
Il bar di Guerre stellari che chiamiamo Amministrazione Trump fa pensare a una caricaturale pena del contrappasso per tutti gli eccessi e gli errori di chi l’ha preceduta. Nell’Inferno di Dante, gli ignavi che per tutta la vita ignorarono ogni ideale sono condannati post mortem a inseguire un’insegna qualunque punzecchiati da insetti e mosconi. Gli indovini che predicevano il futuro camminano a ritroso col collo torto. I golosi che vivevano per il palato e gli altri sensi affogano nell’acqua putrida respirando puzze e ascoltando i latrati di Cerbero. I violenti bollono nel sangue sotto il tiro dei centauri. I suicidi che rifiutarono la vita umana sono degradati a quella vegetale in forma di alberi. I ladri hanno le mani intrecciate dietro la schiena e morse da orribili serpenti. Gli adulatori sono frustati sulle chiappe da diavoli e immersi fino alla punta dei capelli in un lago di sterco: avendo leccato culi per tutta la vita, sono dannati a sguazzare nel loro prodotto tipico in eterno.
Ecco: Trump e la sua ciurma sembrano fatti apposta per smascherare le ipocrisie del fighettismo “democratico”, politicamente corretto, woke e finto buono. I presidenti dem hanno cacciato un’infinità di clandestini più di Trump, e non certo con ghirlande di fiorellini, ma con lazi, schiavettoni e catene: Clinton 12 milioni (2 in più di Bush), Obama 5, Biden 3, Trump nel primo mandato solo 1,5. Eppure, se lo fanno i Dem, si chiamano “rimpatri”: se lo fa Trump, “deportazioni”. Ma l’unica differenza è che Trump non è ipocrita e non lo nasconde, anzi posta le orrende foto. E per la “cultura” woke, che bada solo alle forme non avendo mai nulla da dire sulla sostanza, puoi espellere quanti migranti vuoi: purché non li fotografi. Lontani dagli occhi, lontani dal cuore. Lo stesso vale per Musk e gli altri big tech miliardari: quando ingrassavano finanziando i Dem erano i geni buoni della Silicon Valley, ora che lo fanno con Trump sono nazisti e “oligarchi” della “tecnodestra”. Fa più scandalo Musk fatto come una zucchina per lo sgangherato saluto romano e gli spot deliranti all’Afd che tutti i golpe fascisti sostenuti dagli Usa in Europa, Centro e Sudamerica, gli stragisti neri italiani coperti dalla Cia e dai suoi derivati, le milizie neonaziste arruolate, addestrate e armate dalla Nato dal 2014 in Ucraina per salvare i “valori occidentali”. Poi c’è il contrappasso sanitario, che ci precipita da un estremo (le censure sugli effetti avversi dei vaccini) all’altro (un no-vax alla Sanità e gli Usa fuori dall’Oms). E il contrappasso sulle guerre: prima fomentate e sdoganate come acqua fresca, ora prossime alla fine a ogni costo, col trionfo del più forte e le zone d’influenza (non più solo per gli Usa, anche per le altre potenze). Se il trumpismo ha un senso, è solo come espiazione.

L'Amaca

 

La rimozione dei rifiuti
DI MICHELE SERRA
Il dibattito politico-filosofico su cosa è la destra, cosa la sinistra, alla maniera ironica di Gaber o autorevole di Bobbio, è ormai pura accademia alla luce del brusco riallineamento della materia alla realtà contemporanea, che non va tanto per il sottile. Il merito, va detto, è tutto della destra, che per spiegare bene al mondo come stanno le cose ha imboccato la via dei fatti. (Mentre la sinistra si ripensa, e si ripensa, e si ripensa, una specie di moto perpetuo senza destinazione, la destra si avvale, con invidiabile allegria, della sua facoltà di non pensare: vuoi mettere il vantaggio?).
La nuova Segretaria alla Sicurezza del governo Trump, signora Kristi Noem, ha personalmente guidato, vestita da poliziotta, la prima retata contro gli irregolari a New York. Mostrando uno di questi reietti nelle mani degli agenti, ha così postato sui social: “Sacchi di immondizia come questo vanno rimossi dalle nostre strade”.
Ecco. Chiamare un uomo, sia costui un delinquente a piede libero o un povero cristo braccato come una preda, “sacco di immondizia”; e soprattutto farlo nel momento della sua massima debolezza, mentre viene portato via in manette, e della tua massima forza, tu ministro, lui ormai più niente; è, in termini di umanità, una cosa schifosa e basta. Ma in termini politici è la rivendicazione di un programma e di una mentalità. È la nuova destra trumpista che parla di sé.
E la sinistra? Uno di sinistra non oserebbe chiamare “sacco di immondizia” nemmeno la signora Kristi Noem. Non saprei dirvi se per buona educazione o per la paralizzante incertezza sul da farsi.

Semplicemente atto dovuto, ma...

 



martedì 28 gennaio 2025

Coerenza

 



Prima Pagina

 



Natangelo

 



Bin Sala Bin

 

Bin Melon
di Marco Travaglio
Giorgia Meloni ha sia ragione sia torto quando afferma che la sua visita a Bin Salman, con tanto di pranzo al sacco nella tenda del tiranno saudita, “non è in contraddizione con quello che dicevo ieri”. Ha ragione perché, quando accusava il regime di Mbs di fiancheggiare il terrorismo, di mandare al patibolo la gente anche per apostasia e adulterio e di aver fatto ammazzare Khashoggi, lo faceva per polemizzare con la Figc che porta le finali a Riad e col noto senatore che prende soldi da quella bella gente. Una cosa è una premier che firma accordi commerciali per far guadagnare le imprese, tutt’altra è un ex premier genuflesso a MbS per rimpinguare il proprio conto in banca. Del resto nessuno tacciò di incoerenza Draghi che prima diede del “dittatore” a Erdogan, poi andò a riverirlo con mezzo governo per firmare accordi commerciali. Semmai la Meloni poteva limitarsi a siglare il patto in una sede ufficiale, evitando i sorrisetti e le moine al figuro sotto la tenda. Però ha torto quando mette sullo stesso piano gli “accordi per investimenti” e quelli “per energia e difesa”. Un conto è favorire le partnership estere della nostra economia. Un altro è vendere armi a un regime che porta su di sé anche il sangue di centinaia di migliaia di vittime della guerra civile in Yemen, combattuta per procura da Riad e Teheran. Infatti nel 2021 il governo Conte-2 bloccò le esportazioni di armi, poi Draghi e Meloni ripresero le forniture. Quanto all’energia, bisogna intendersi una volta per tutte: se anche per quella pecunia non olet e si va da chi fa il prezzo migliore, a prescindere dal tasso di democraticità del suo governo, delle due l’una: o la Meloni ci spiega la differenza fra i regimi della Russia e dell’Arabia Saudita (che fra l’altro dominano l’Opec+); oppure fa fronte comune con Orbán, Fico&C., la pianta di sostenere le sanzioni europee a Mosca (che peraltro contestava dopo l’annessione della Crimea), tantopiù ora che l’“amico” Zelensky ha chiuso pure i rubinetti del gasdotto russo sotto l’Ucraina, e ricomincia a comprare il gas russo al posto di quello di altre autocrazie e del Gnl americano. Che costa il quadruplo, inquina molto di più e ci tocca pure rigassificarlo con altri danni all’ambiente.
In ogni caso è una buona notizia che la premier si ponga per la prima volta il problema della coerenza fra ciò che diceva dall’opposizione e ciò che fa al governo. Se continua, dovrà spiegare perché ha cambiato idea su Patto di stabilità Ue, Von der Leyen, Israele e palestinesi, privatizzazioni con fondi esteri, Via della Seta, Superbonus, extraprofitti, limiti al contante, legge Fornero, accise, bollette, rendite catastali, trivelle, Tap, separazione delle carriere, dimissioni di tutti i ministri inquisiti (e non) tranne ovviamente i suoi. Attendiamo fiduciosi.

L'Amaca

 

Ma che avranno voluto dire?
DI MICHELE SERRA
Ho dovuto rileggere una decina di volte la scritta proiettata sulla Piramide Cestia e in altri luoghi di Roma, e ancora non sono sicuro di averla capita. Ve la riporto, così condividiamo ilrompicapo: “Se Israele avesse bombardato i treni per Auschwitz vi sareste schierati con Hitler. Ipocrisia e antisemitismo le vostre bandiere. Buon giorno della memoria”. Accanto alla scritta appaiono, si immagina come destinatarie dell’invettiva, le sigle di alcune ong, tra cui Amnesty, storpiato in Amnesy.
Avendo voglia di ragionarci sopra per un buon quarto d’ora (a partire dalla domanda: bombardare quei treni perché?
Per sterminare i deportati prima che arrivassero a destinazione?) si intuisce che l’intenzione degli autori è polemizzare con chi è contro la distruzione della striscia di Gaza, persone e cose, per altro autorevolmente sottoscritta, giusto ieri, da quel paladino del diritto che è Trump, che si augura che quei luoghi vengano “ripuliti dai palestinesi”. Ma perché dirlo in modo talmente arzigogolato — con triplo salto di senso — che si immaginano gli automobilisti e i passanti fermarsi, sostare in capannello sotto la scritta e chiedersi: “che avrà voluto dire?”.
Una frase confusa non può che sortire da un ragionamento confuso. I treni per Auschwitz fanno parte, oggi, di una memoria talmente condivisa che solo poche minoranze di perversi possono chiamarsene fuori: i nazisti e i negazionisti. Tirare in ballo Auschwitz per qualunque altra ragione che non sia riflettere su quell’abominio è pretestuoso e anche un poco blasfemo. E porta a straparlare.

lunedì 27 gennaio 2025

Pensiero stupendo




Vergognosi



Questa decisione dei “bravi” è di una grettezza inqualificabile. Al di là dell’aggressione all’Ucraina, che meriterebbe un’attenta analisi come ad esempio l’accerchiamento Nato, non invitare alla commemorazione degli 80 anni il popolo che contribuì con oltre venti milioni di morti alla sconfitta del nazismo è una nauseabonda azione dí scelleratezza politica. Come dire: noi siamo i buoni, e che buoni, e voi i cattivi.

Osho!




Pablo




Nel deserto

 



Giorno della Memoria

 

I SOVIETICI ENTRANO NEL CAMPO - I nazisti ‘ragionieri’ del massacro erano tutti scappati. I russi trovarono, oltre che i sopravvissuti, 1200 abiti malconci, 44mila paia di scarpe e 7,7 tonnellate di capelli umani. Primo Levi: “Nell’ora della libertà avremmo voluto lavare le nostre coscienze”
DI CLAUDIO FRACASSI
Ha annotato il ragazzo scampato alla morte (e poi diventato scrittore): “Nell’infermeria del lager eravamo rimasti in ottocento. Tutti i prigionieri cosiddetti sani erano stati evacuati, in condizioni spaventose, su Buchenwald e su Mauthausen, mentre i malati furono abbandonati a sé stessi.
La prima pattuglia russa giunse in vista del campo verso mezzogiorno del 27 gennaio 1945. Fummo Charles e io i primi a scorgerla: stavamo trasportando alla fossa comune il corpo di Sòmogyi, il primo dei morti fra i nostri compagni di camera. Rovesciammo la barella sulla neve corrotta, ché la fossa era ormai piena. Charles si tolse il berretto, a salutare i vivi e i morti. Loro erano quattro giovani soldati a cavallo, che procedevano guardinghi, coi mitragliatori imbracciati. Quando giunsero ai reticolati, sostarono a guardare, scambiandosi parole brevi e timide e volgendo sguardi legati da uno strano imbarazzo sui cadaveri scomposti, sulle baracche sconquassate, e su noi pochi vivi. Quattro uomini armati, ma non armati contro di noi; dai visi rozzi e puerili, sotto i pesanti caschi di pelo. Non salutavano, non sorridevano: apparivano oppressi, oltre che da pietà, da un confuso ritegno…. Così per noi anche l’ora della libertà suonò grave e chiusa, e ci riempì gli animi, ad un tempo, di gioia e di un doloroso senso del pudore – per cui avremmo voluto lavare le nostre coscienze e le nostre memorie dalla bruttura che vi giaceva – e di pena, perché sentivamo che questo non poteva avvenire, che nulla mai più sarebbe potuto avvenire da cancellare il nostro passato. E che i segni dell’offesa sarebbero rimasti in noi per sempre”.
Burocrazia, lavoro e morte: la “macchina” in funzione
Primo Levi, il ragazzo ventenne poi diventato scrittore, ha raccontato così, in uno dei diari poi ossessivamente dedicati alla guerra, alle morti e alla vita, i momenti incredibili e irripetibili, fatti di paura più che di speranza, dell’ultimo giorno di Auschwitz, il 27 gennaio del 1945, sabato, quello destinato verificarne e a celebrarne la “liberazione”, e quindi la spettacolosa fine del regno della morte voluto, programmato e costruito dal nazismo al centro dell’Europa.
Nel KZ Auschwitz, Konzentrationslager Auschwitz, aveva trovato la morte per opera dei nazisti, a partire dal giugno 1940, un numero imprecisato di esseri umani – forse un milione e centomila, probabilmente un milione e trecentomila: uomini e donne, in grande maggioranza ebrei (più di un milione di vittime), rom e sinti, sovietici di varie nazionalità, oppositori politici, cittadini polacchi, omosessuali, anziani e bambini. I rom, al pari degli ebrei (e dei sinti), testimoniavano un’antica e radicata passione omicida del nazismo. Naturalmente, la provenienza etnica e religiosa dei singoli assassinati era maniacalmente registrata dai ragionieri del campo di concentramento; ma non tutti i verbali sono stati conservati poiché l’arrivo delle truppe sovietiche fu in parte inaspettato, in quella primavera del ’45. Era grande, Auschwitz (il nome nuovo che i nazisti – dopo l’occupazione militare all’inizio della guerra – avevano sostituito a quello polacco di Oswiecim) e diviso in tre campi principali: “Auschwitz uno” ospitava il potente apparato burocratico tedesco, arricchito da centinaia di stranieri, anch’essi destinati alla morte, ma intanto disperatamente illusi di poterla evitare ubbidendo; “Auschwitz due”, comunemente rispondente al nome di Birkenau, poco distante dal campo uno, era l’efficiente, e gigantesco, campo di sterminio, funzionante dall’8 ottobre del ’42: lì lavorava la ben organizzata macchina della morte, attraverso le affidabili e rodate camere a gas, brillantemente in funzione giorno e notte, anche se oberate di lavoro; infine, “Auschwitz tre” (l’attuale Monowice), entrata in opera a pieno ritmo solo il 31 ottobre del 1942: lì si erano insediate numerose note fabbriche tedesche, non solo militari ma civili, che finché era umanamente possibile e vantaggioso utilizzavano i deportati come manodopera gratuita, restituendola poi al settore due, quello delle camere a gas, quando l’operazione non risultava più conveniente. Non pochi degli operai stranieri, già prima della messa in funzione del Konzentrationlager di Auschwitz, avevano fatto una utile anche se corrosiva esperienza in 44 “sottocampi” costruiti durante l’occupazione tedesca della Polonia. Secondo la radicata abitudine organizzativa dei politici nazisti inventori del campo, il gigantesco meccanismo uomini-lavoro-morte di Auschwitz aveva al suo vertice una speciale unità delle SS, le Totenkopfverbande (Unità testa di morto) che comprendeva anche alcune migliaia di donne. Inoltre, nei ranghi inferiori di sorveglianza e persecuzione le Sonderkommando (squadre speciali) erano composte non da tedeschi, ma da stranieri – obbligatoriamente di razza ariana – al loro servizio. Erano in genere utilizzati come specialisti abituati a smaltire i corpi delle migliaia di uccisi nelle camere a gas. Nell’autunno del 1943 il complesso della morte, su decisone dell’autorevole Himmler, fu dotato anche di alcuni bordelli, allo scopo – si argomentò – di “aumentare la produttività” di gruppi di detenuti “in attesa di essere eliminati”. Alla fine l’area occupata dal campo di detenzione e sterminio arrivò a raggiungere, complessivamente, i quaranta chilometri quadrati.
La selezione e il tatuaggio
L’arrivo dei lunghi treni dei deportati, raccolti in diverse zone d’Europa – 2500 circa per ogni convoglio – era un giornaliero e complesso evento: ogni vagone di treno portava in media 120 persone; gli “inutili” (anziani, ragazzini, malati a prima vista non utilizzabili) venivano dirottati immediatamente in una delle quattro camere a gas mascherate da docce e organizzate a Birkenau. I dichiarati abili al lavoro erano invece subito condotti negli edifici dei bagni, dove dovevano consegnare biancheria, abiti e ogni tipo di monile; gli uomini potevano conservare la cinta dei pantaloni. Poi i nuovi arrivati, denudati, subivano una sbrigativa rasatura totale; seguiva la distribuzione del vestiario da campo: la casacca, un paio di pantaloni, gli zoccoli. Un’altra selezione stabiliva gli “abili al lavoro” che erano affidati ad uno speciale e massacrante impegno quotidiano al servizio di grandi aziende private come la Metal Union e la Siemens (paradossalmente una di queste società chimiche di cui i lavoratori divenivano schiavi era la IG Farbem, destinata a sterminarli). Infine, ai nuovi abitanti di Auschwitz veniva tatuato sull’avanbraccio sinistro un numero. Gli uomini erano subito separati dalle donne e dai bambini, creando file distinte. Il personale medico delle SS decideva chi era abile al lavoro. È stato calcolato che solo il 25% degli ospiti di Auschwitz aveva la possibilità di sopravvivere. Il restante 75% (costituito da donne, bambini, anziani, madri con figli) veniva indirizzato direttamente alle camere a gas. Particolarmente efficienti erano le quattro strutture omicide di Birkenau, dove era utilizzato il gas preferito dagli esperti, il famoso Zyklon B. I numeri per la distribuzione dei reclusi erano stabiliti in base alle variabili necessità dell’industria bellica tedesca. Di fronte al sovraffollamento dei campi si verificò, paradossalmente, anche il caso di interi treni “complessivamente inutili” inviati direttamente, dopo l’arrivo ad Auschwitz, nelle camere a gas con tutto il loro carico.
Quando, sabato 27 gennaio 1945, entrarono nel campo denominato Auschwitz e nel vicino campo di Birkenau, i soldati sovietici trovarono poche migliaia di persone umane (se così si potevano chiamare) vive e doloranti. Fra i reclusi (coloro che non erano ancora morti e i malati nei giacigli a tre piani dentro i locali coperti) c’era gente che ora si trascinava fuori, ma con timidezza e certamente paura: chi erano quei soldati russi che gridavano di volerli liberare? Le guardie naziste erano fuggite (complessivamente in bell’ordine), trascinando con sé in altri campi di lavoro (e di tormento) decine di migliaia di reclusi ancora utilizzabili.
Scatoloni con le ceneri
Non ci furono ad Auschwitz scontri armati il 27 gennaio 1945. Sparsi nei locali dei campi di sterminio liberati c’erano mucchi di zoccoli e divise sporche. I guardiani nazisti e i loro capi erano tutti scappati: molti sopravvissuti ancora rintanati nei luoghi coperti di Auschwitz avevano paura a uscire. Nel disordine generale i soldati sovietici trovarono, sparsi per terra, 370mila rozzi e macchiati abiti da uomo, 837mila abiti da donna, 44mila paia di scarpe e – chissà a che cosa destinate – 7,7 tonnellate di capelli umani, che secondo un approssimativo calcolo erano appartenuti a centoquarantamila persone (molto probabilmente l’ultima infornata di morti). Erano ancora pieni a metà gli scatoloni destinati a riciclare le ceneri dei forni crematori, al fine di utilizzarle come fertilizzanti. Paradossalmente, nessuno fra i liberatori pensò, in quel mattino del primo giorno senza nazisti, di abbattere la gentile scritta illuminata da luci che da quattro anni accoglieva chi faceva ingresso nel grande territorio denominato Auschwitz : “Arbeit macht frei”, il lavoro rende liberi. Il ragazzo italiano Primo Levi, appena diventato scrittore a guerra finita, così ha raccontato la malattia inguaribile, e mortale, del reduce da quel luogo: “Di tutto quanto accadeva intorno a me io non mi rendevo conto che in modo saltuario e indistinto. Pareva che la stanchezza e la malattia, come bestie feroci e vili, avessero atteso in agguato il momento in cui mi spogliavo di ogni difesa per assaltarmi alle spalle. Non c’erano medici né medicine”.
Fu così che l’11 gennaio 1946, a un anno da quel giorno di riscoperta della vita, e insieme di sofferenza inaudita e incancellabile per l’ingiustizia e la guerra, lo stesso ragazzo scrisse (a proposito del secco comando gridato in ogni alba – “Wstawac”, “Alzarsi!” – ai morituri di Auschwitz) parole destinate a non essere mai cancellate dal suo destino di essere umano:
Sognavamo nelle notti feroci
Sogni densi e violenti
Sognati con anima e corpo:
tornare; mangiare; raccontare.
Finché suonava breve e sommesso il comando dell’alba:
“Wstawac!”;
E si spezzava in petto il cuore.
Ora abbiamo ritrovato la casa, il nostro ventre è sazio.
Abbiamo finito di raccontare.
È tempo. Presto udremo ancora il comando straniero: “Wstawac!”
(Primo Levi morì suicida nel 1987)

domenica 26 gennaio 2025

Belle parole

 



Ciuff Ciuff!

 



Melanconia

 

Il capitalismo melanconico. Depressione: una nevrosi collettiva
MELANCONIA E FINE DEL MONDO - Iper-produzione e consumismo ora generano “malattia sociale”
DI DANIELA RANIERI
L’etimologia greca della parola “melanconia” (da melaina cholé, “bile nera”, secondo la teoria degli umori di Ippocrate) testimonia che questo temperamento, contiguo alla tristezza ma non sovrapponibile a essa e diverso dall’angoscia che è un’emozione “romantica”, ha radici antichissime. Eppure c’è una forma speciale di melanconia che nasce col mondo moderno e viene riconosciuta e narrata solo a partire dal XX secolo. A questa sindrome di radicale e morbosa depressione, di “spaesata solitudine” e di catastrofe personale e collettiva è dedicato Melanconia e fine del mondo, dotto saggio di Paolo Godani in uscita per Feltrinelli.
Il tema è diventato attuale da che la malattia mentale è stata “socializzata” al pari di altre affezioni del corpo e della psiche, anche se si tende a confondere la melanconia, che ha origine psicotica, con la depressione, che è invece nevrotica. Raccontando la sua crisi psichica a Repubblica, lo scrittore Paolo Cognetti ha usato queste parole: “Un albero era solo un albero”. Il soggetto avverte questa desolata afflizione quando le cose del mondo non hanno un significato ulteriore rispetto al puro esserci e restano disabitate dal senso; così, prive di senso, riflettono lo stato interiore di chi diserta la chiamata dell’umano a entrare in relazione con l’Altro. Il mondo pietrificato contagia anche l’anima e, in un ciclo disperato, l’abrasione del senso si ri-estende al corpo, proprio e degli altri; il desiderio recede; la libido non re-investita si trasforma in sentimento del nulla, nella “nausea” di Sartre.
È a questo incrocio che l’autore stabilisce l’affinità tra una certa forma di melanconia e il fascismo, nella sua mania per la purezza unita alla fobia per la contaminazione del corpo inteso come macchina perfetta, ancorché principale vittima della violenza e della reclusione da parte del potere. L’ossessione per il corpo come ricettacolo di agenti patogeni – e del corpo sociale, cioè della “razza”, come contaminabile – non è in contrasto con l’esaltazione della forma fisica e con l’elogio della “bella morte” dei mussoliniani e dei franchisti: citando Adorno e Horkheimer in Dialettica dell’Illuminismo, Godani segnala l’intima connessione tra “l’orrore nei confronti del corpo, la sua esaltazione e la volontà di sopprimerlo”.
È del resto un lascito, o meglio una degenerazione, dell’Illuminismo ciò che Godani chiama “nichilismo medico”, frutto del disincantamento del corpo, non più tempio del divino, ma ammasso di organi racchiusi in un involucro, tanto reificato che se ne può rigidamente scrivere al pari delle altre cose (vedi i fulgidi esempi di Céline e Gottfried Benn) senza restarne abbacinati. E benché la melanconia sia, per la psicanalisi moderna, strettamente legata al lutto (dal saggio-pietra miliare di Freud) come stato in cui il soggetto deve raschiare gli oggetti e i luoghi dal ricordo dell’amato perduto, il sentimento della perdita può cronicizzarsi “importando” la morte nella vita quotidiana.
L’alienazione propria della fabbrica, nel mondo della merce immateriale privo della solidarietà e della coscienza di classe, ha oggi assunto facce subdole e seduttive. Godani tratta con rigore la grande truffa dello sviluppo, confuso con il progresso: “Abbiamo creduto che il disciplinamento, la sottomissione e lo sfruttamento, che nel frattempo si imponevano su scala globale, fossero mali necessari e pienamente sanabili dalle conquiste a cui ci avrebbero condotto la prassi, la tecnica e la produzione. E abbiamo creduto che prima di filosofare, amare, danzare, cantare si dovessero moltiplicare i mezzi per vivere. L’insieme di queste credenze, che hanno trasformato durevolmente i nostri modi di sentire, condividere e pensare, porta il nome di capitalismo”. “Non era depressione, era capitalismo”, recita uno striscione riprodotto nelle metropoli e nelle periferie occidentali. Quella che per più di un secolo è stata spacciata per condizione personale patologica, era in realtà una malattia sociale. Lo stesso desiderio, messo al lavoro, è diventato uno strumento del capitale, che con esso ci induce ad alimentarlo, replicando sé stesso (è ciò che Marcuse chiamava “desublimazione repressiva”).
Godani lascia intravedere clemenza in una forma di consapevolezza spinoziana, quella del naufrago che comprende come natura e coscienza facciano parte di un medesimo flusso; la cognizione, cioè, grazie alla quale “le cose non ci appaiono più come enti finiti, come individui eslege che emergono in maniera effimera dal nulla che li circonda, ma si presentano come parti dell’intera natura”. E conclude il bel saggio con le parole più spirituali di Kafka: “Solo qui la sofferenza è sofferenza”. L’unica salvezza possibile del melanconico: abitare un mondo ulteriore in questo mondo, uscire, come intendeva Walter Benjamin, dal piano del divenire storico e stabilirsi con gaiezza sul piano dell’indistruttibile.

A veder bene

 

Danno giudiziario
di Marco Travaglio.
Mentre migliaia di magistrati con la Costituzione in mano uscivano dalle aule dell’anno giudiziario quando parlavano i rappresentanti dello sgoverno, più di tante parole colpiva un silenzio: quello del presidente Mattarella, garante supremo della Costituzione e dunque anche del potere giudiziario. Ma forse è meglio così: l’ultima volta che ha aperto bocca è stato per elogiare un ex premier pregiudicato per corruzione e finanziamento illecito che, dopo aver vilipeso la Giustizia del suo Paese, vi si era sottratto dandosi alla latitanza in Tunisia. Non resta che rimpiangere Pertini, Scalfaro e Ciampi che, quando i governi attaccavano la magistratura, trovavano sempre il modo di farsi sentire e, quando ricevevano leggi indecenti e incostituzionali, le rispedivano indietro anziché firmarle. Non è la prima volta che le toghe protestano: il primo sciopero fu nel 1991, contro le picconate di Cossiga; il secondo nel 2002, contro le porcate di B. e del suo ingegner ministro Castelli, che pochi mesi prima avevano indotto il grande Borrelli a lanciare il suo “resistere resistere resistere”. A riprova del fatto che oggi in Italia non c’è alcuna “svolta”, tanto meno “fascista”, “trumpiana” od “orbaniana”: solo gli ultimi cascami del berlusconismo.
L’altra differenza rispetto all’infame trentennio è che allora la società civile era viva e attiva: Girotondi, Popolo Viola, V-Day e MeetUp di Grillo. Oggi è addormentata, impotente, sfibrata, sfinita, rassegnata. Un po’ perché l’indignazione non è eterna, un po’ perché ci sono problemi di sopravvivenza più urgenti, un po’ perché la magistratura ha perso consenso per scandali veri e accuse false. Ma anche per gli errori dell’Anm, che non è riuscita a comunicare efficacemente i danni causati dalle schiforme ai cittadini. E ha perso credibilità criticando e isolando un ottimo ministro come Bonafede che realizzava le aspettative dei magistrati e delle persone perbene con le uniche serie riforme anticorruzione, antimafia e antievasione degli ultimi 30 anni, e poi balbettando sulle boiate della Cartabia, salvo scioperare tardivamente contro l’ordinamento giudiziario escogitato dalla ministra-sciagura dei sedicenti “migliori”. Poi ci sono le responsabilità della cosiddetta “sinistra” – il Pd e i suoi derivati – che oggi si batte a parole contro la separazione delle carriere dopo averla sdoganata varie volte in nome di un “garantismo” di cui ignorano financo il significato. Dalla Bicamerale del 1997 alla mozione congressuale presentata nel 2022 da Serracchiani, Delrio, Guerini, Alfieri, Malpezzi, Orfini &C.: “Il tema della separazione delle carriere appare oggi ineludibile per garantire un giudice terzo e imparziale”. L’opposizione è una cosa troppo seria per affidarla a gente così.

L'Amaca

 

Arrivano i Musk
DI MICHELE SERRA
Oltre a Kimbal Musk (sospettabile di avere trafugato da Cinecittà il suo abbigliamento da cowboy) ci sono altri fratelli e sorelle di Elon Musk, tutti in ottimi rapporti con il governo italiano e tutti attesi a Roma nei prossimi giorni.
Già stasera dovrebbe arrivare Timbal Musk, il famoso chef che ha rivoluzionato la cucina americana facendo bollire gli spaghetti in una pentola piena d’acqua anziché arrostirli sul barbecue: un genio, come tutti in famiglia.
Poi c’è Tucson Musk, inventore del rodeo con cavalli a guida automatica, che sarà ricevuto dal ministro dello Sport. La sorella gemella, Brillian Musk, è una stilista molto affermata, ha lanciato con successo il berretto-drone in grado di posarsi su molte teste diverse in pochi secondi, quando si scoprirà a cosa serve diventerà ricchissima anche lei.
A palazzo Chigi c’è molta curiosità per Musk Musk, il fratello più anziano, inventore del Doppio Universale: un algoritmo che raddoppia qualunque cosa. Due Andrea Bocelli lo accompagneranno da Meloni e canteranno un doppio Nessun dorma ,dandosi il cambio per l’acuto finale che potrà durare fino a un quarto d’ora.
Grande attesa anche per il cugino Pippo Musk, che con la Fondazione Yuk Yuk si occupa di intelligenza artificiale. Ortainprefgb4Yh Musk, il minore dei fratelli, ha lanciato una startup per la lotta ai refusi, ma è ancora in via di sperimentazione: verrà comunque ricevuto dal ministro Valditara. Infine, il rude ma sincero Macho Musk, che lo stesso Elon ha incaricato di combattere la piaga del cambiamento di genere applicando una barba finta, dagli otto anni in su, a tutti i maschi, e iscrivendo le femmine a una scuola di ricamo.

sabato 25 gennaio 2025

Il consono ruolo




Due volti per l'abisso

 

Bastano due foto per delineare l'abisso in cui siamo precipitati, piazzandoci definitivamente nel baratro del pressapochismo. 




Questo poveretto leghista, Borghi, che prendendo spunto dal Biondastro psicolabile chiede che anche l'Italia esca dall'organizzazione mondiale della sanità, l'Oms. 

Una tristezza mescolata con acredine, una debacle psicologica nel constatare che imbecilli di questa stazza possano blaterare, ignominiosamente, senza conoscere alcunché, essendo specialisti sommi del parlare alla cazzo&campana. 

Borghi sta al cretinismo come il suo mentore all'ebetismo ministeriale.

Ci vergogniamo che tali panzane possano passare come pensiero politico. Quello che auguro a questo non evoluto bipede è di contrarre qualcosa di misterioso e di cercare aiuto internazionale. 

E poi c'è lui: 


  Un giorno, sono sicuro, lo studieranno, per capire come un inetto di questa portata, una banderuola flettente anche con bave di brezza, possa essere stato ministro degli interni. 

La sua dichiarazione riguardo alla liberazione del criminale libico, riportato in patria con aereo di stato, agghiaccia mente e cuore: lo abbiamo estradato perché soggetto pericoloso. 

Verrebbe da dire "ma vaffanculo imbecille!" se fossimo al suo pari. Ci riserviamo invece di mandarlo soltanto a fare in culo, per rispetto istituzionale. 

Come possa uno in quella posizione asserire una cazzata stratosferica di queste dimensioni, resterà mistero per decenni. Solo il tempo, gli storici, gli psichiatri, potranno, dopo enormi ricerche, un giorno comprendere quanto sia stato mefitico affidare gli Interni ad un idiota di tale portata. 

Ai posteri la ricerca della verità. A noi, per il momento, solo una eclatante vergogna!