sabato 4 gennaio 2025

Sfottò!

 



Mica male però!

 



Chiaramente Elena

 

Gli altri fanno come noi? allora sono “terroristi”
DI ELENA BASILE
Confesso: non riesco a essere tollerante. Il dubbio è possibile verso tesi, opinioni, interpretazioni differenti di fatti riconosciuti. Se si è invece indulgenti verso la corruzione dei media, verso la mistificazione e il travisamento degli eventi storici attuali, verso il sacrificio dei popoli per interessi geopolitici dell’impero atlantico, allora si è complici delle menzogne della classe di servizio e dei crimini dell’impero.
Sui giornali che un tempo erano un punto di riferimento della sinistra, incluso il Manifesto, gli stessi giornalisti in grado di denunciare le politiche della Clinton in Siria e la manipolazione di al Queda in funzione anti-Assad oggi utilizzano doppi standard, accusano l’Iran e le sue prigioni senza fare riferimento ai ricatti dell’impero e alle celle altrettanto crudeli, alle condanne a morte dell’America profonda. Una giovane giornalista, Cecilia Sala, mandata allo sbaraglio e non protetta sufficientemente dal suo giornale, è stata arrestata dall’Iran come pedina di scambio per un altro arresto, ugualmente criminale, nei confronti di un imprenditore che vendeva tecnologia a Teheran. I pasdaràn, recita Washington, grazie alla tecnologia dell’imprenditore avrebbero ucciso soldati statunitensi. Ci sarebbe da ridere. I manager di Leonardo e delle tante imprese occidentali che vendono armi nei teatri di guerra di quante morti sono allora responsabili? I ministri degli Esteri europei hanno recentemente confermato i rifornimenti di armi al governo criminale e terrorista di Israele, artefice dell’orrore innominabile di Gaza, coperto dalla classe di servizio occidentale quale disastro naturale, di cui sarebbero responsabili i terroristi palestinesi. In più di cento articoli su questa testata abbiamo cercato di demistificare le menzogne dei diplomatici e degli analisti che continuano a travisare la realtà, incapaci di rimorsi di fronte alle carneficine in corso. Imperturbabile l’accademia e i finti istituti di ricerca, finanziati da Washington, ci descrivono una partita a calcio tra Occidente e Russia, nella quale Putin avrebbe segnato alcuni goal in Ucraina e in Georgia, nel suo vicinato, ma persino in Romania. Sono ormai estinti i principi democratici, l’autodeterminazione dei popoli e la non ingerenza negli affari interni. L’Europa può finanziare insieme agli Stati Uniti rivoluzioni colorate e negare il risultato di elezioni la cui regolarità è stata riconosciuta dall’Osce, che nell’ignoranza imperante sui media viene ancora confusa con l’Ocse. Tutto fa gioco e i miei ex colleghi sulla stampa si divertono ad accusare Bruxelles di mollezza perché nella guerra tra sfere di influenza ai confini con Mosca sta perdendo militarmente in Ucraina e politicamente nell’Europa dell’Est. Il ricatto nei confronti di Ungheria, Slovacchia, Romania deve farsi più duro. La rivolta anticostituzionale in Georgia è guidata dalla presidente di nazionalità francese: ex ambasciatrice dell’Eliseo a Tiblisi, è divenuta ministro degli Esteri e poi presidente della Repubblica. Questa volta bisogna arretrare, ma la destabilizzazione della società georgiana continuerà e come in Ucraina il futuro preserva forse un colpo di Stato, quando le condizioni lo permetteranno.
Cosa ci fa il nostro petrolio sotto quella sabbia? La battuta rende bene l’ottica della nazione indispensabile secondo la quale non esiste risorsa mineraria in Medio Oriente che non possa essere rubata come per anni è accaduto in Siria, poi travolta dalla violenza dei tagliagole. La dottrina della porta aperta della Nato recita con una prepotenza sfrontata che la Russia non può avere una parola (has not got a say) contraria all’espansionismo di un’alleanza militare oggi offensiva. L’Europa baltica e scandinava, l’asse Londra-Kiev-Varsavia, interamente asservita, non batte ciglio.
Svegliatevi! Verrebbe voglia di gridare. Immergetevi nell’inferno di Gaza perché coloro che oggi sacrificano i palestinesi e gli ucraini non avranno remore nei vostri confronti. La morte della liberal-democrazia e delle socialdemocrazie non turba i sogni dei progressisti. Temono le destre antisistema che del trionfo del capitalismo finanziario, della hybris della società dell’1%, sono in grado di creare una mitologia fiabesca (vedi Meloni che cita Tolkien), ma non si rendono conto che sono loro, il centrosinistra, i verdi, i liberali euroatlantici ad avere distrutto quel tessuto sociale base della democrazia. Gli intellettuali pompati dalla pseudo sinistra, che condannano la Meloni, ma si guardano bene dal criticare le guerre per procura contro la Russia e in Medio Oriente, sono l’emblema della decadenza e del tradimento dell’Europa. È una lotta impari. Eppure la speranza nell’anno entrante non può che assumere lo stesso tragico significato: in nome delle vittime appelliamoci alla verità, senza false indulgenze, perché questo è il tempo della denuncia e della giustizia.

Silenzio e silenzio

 

Quale silenzio stampa
di Marco Travaglio
Silenzio stampa: è un brutto binomio, per i giornalisti e per i cittadini. Però ce lo chiedono i genitori di Cecilia Sala (e forse anche il governo) per accompagnare “gli sforzi delle autorità italiane” con “riservatezza e discrezione” ed evitare che “il dibattito mediatico su ciò che si può o si dovrebbe fare rischi di allungare i tempi e rendere più complicata e lontana una soluzione”. Parole che comprendiamo e rispettiamo. La prima volta se ne discusse forse nei giorni del sequestro Moro. Trattare o no con le Br? Pubblicare o no i volantini dei terroristi e le lettere del prigioniero? Ma qui di terroristi non ce ne sono. C’è un governo, quello americano, che fa arrestare in Italia per terrorismo un ingegnere iraniano, “reo” di aver aiutato il suo Paese a costruire droni che hanno ucciso tre militari Usa in Giordania: se quello è un terrorista, lo sono anche tutti i dirigenti dei gruppi industriali occidentali (anche italiani) che producono ed esportano armi e i ministri (anche italiani) che li autorizzano. E c’è un governo, quello iraniano, che arresta una cittadina italiana con accuse altrettanto pretestuose, per scambiarla col proprio detenuto. Se gli Usa sono in guerra con l’Iran (dalle sanzioni fin dai tempi di Khomeini si direbbe di sì, dai recenti negoziati con gli ayatollah per moderare le rappresaglie di Teheran alle aggressioni israeliane si direbbe di no), è affar loro. Ma noi non lo siamo. Se qualche norma ci costringe ad arrestare al posto loro per terrorismo chi terrorista non è, dobbiamo cancellarla per il futuro. E, intanto, cercare qualunque appiglio giuridico che ci consenta di mandare Abedini ai domiciliari (Corte d’appello permettendo) e poi a casa in cambio della Sala.
Non si tratta di “cedere a una logica ricattatoria” (parole incredibili del Pd Peppe Provenzano) o di negoziare con i terroristi (cosa che peraltro in Medio Oriente abbiamo sempre fatto, ha sempre fatto anche Israele con le varie sigle palestinesi e stanno facendo pure gli Usa con Hamas per Gaza e con i reduci Isis e al Qaeda per la Siria). Si tratta di rimediare a un’ingiustizia (l’arresto di Abedini) che ne ha innescata un’altra (l’arresto della Sala). Il silenzio stampa che ci pare doveroso e avremmo osservato anche se nessuno ce l’avesse chiesto riguarderà dunque eventuali dettagli dei negoziati in corso: quelle indiscrezioni che, svelate in tempo reale, potrebbero pregiudicarne il buon esito. Invece su tutto ciò che è già avvenuto e avverrà nei prossimi giorni alla luce del sole, sugli atti d’accusa contro i due detenuti, sulle decisioni dei giudici, sulle scelte di governo e opposizioni che s’incontreranno tra breve al Copasir, continueremo a informare i nostri lettori. Le autorità hanno il dovere di trattare al buio, la stampa di tenere la luce accesa.

L'Amaca

 

Le bugie hanno le gambe lunghe
DI MICHELE SERRA
Le bugie hanno le gambe corte, mi dicevano quando ero bambino. Faceva parte di un semplice pacchetto di moralità pronte all’uso, tipo “male non fare paura non avere”, o “chi si comporta bene alla fine la spunta sempre”. Riesce difficile, mano a mano che la vita trascorre, continuare a credere che davvero la verità e l’onestà abbiano la meglio.
Il nuovo presidente degli Stati Uniti, Trump, ha commentato la strage di New Orleans con una bugia orribile: l’ha attribuita all’immigrazione illegale, essendo il killer nato in America, cittadino americano e addirittura soldato dell’esercito americano.
Se fosse vero che le bugie hanno le gambe corte, Trump sarebbe disonorato da questa e altre menzogne precedenti: non solo i suoi avversari, anche i suoi elettori si chiederebbero come sia possibile che un bugiardo conclamato governi il Paese più potente e più armato del mondo.
Ma non funziona così. Gli elettori di Trump non chiedono a Trump di dire la verità. Gli chiedono di dare voce e forza ai loro pregiudizi e alle loro paure, tra i quali il terrore per i migranti (legali e illegali) è in primissimo piano. Attribuendo la strage di New Orleans al “male esterno” – e omettendo di dire che il 99 per cento delle stragi americane sono totalmente, perfettamente americane - , Trump mente, e capovolge la realtà. Ma vince, perché rafforza il vincolo con il suo elettorato. Allo stesso modo, Boris Johnson vinse il referendum su Brexit mentendo radicalmente, spudoratamente, su costi e ricavi dell’appartenenza alla Ue. Le bugie hanno le gambe lunghe, e dunque chi onora la verità deve mettere nel conto la sconfitta.

Ah si?

 

Appena arriva la bolletta te la inoltro comico di ‘sta minkia!




venerdì 3 gennaio 2025

Uffa!


Che palle ancora Gaza, che i democraticissimi israeliani stan tentando di riportare, serenamente, nell’alveo della buona politica! Abbiamo altre cose più importanti da fare che occuparci di Gaza… ad esempio a breve partiranno i saldi…



Cent'anni

 



L'Amaca

 

Noi non siamo gli americani
DI MICHELE SERRA
Sembra di capire che per riportare a casa Cecilia Sala (colpevole di giornalismo, non d’altro: lo dico agli idioti che in rete ripetono a pappagallo il vecchio slogan degli idioti, “se l’è andata a cercare”), dicevo, per riportare a casa Cecilia Sala sia necessario separare almeno un poco il punto di vista italiano dal punto di vista americano. Se volete: come fece Craxi a Sigonella.
Agli americani interessa molto che il fabbricatore d’armi iraniano arrestato in Italia rimanga in carcere, costi quel che costi. Agli italiani il “costi quel che costi” non può che sembrare discutibile, visto che è un’italiana innocente a pagarne il prezzo.
Di più, possiamo aggiungere che il marchio di “terrorista” affibbiato dagli americani a moltitudini, comincia a essere un poco inflazionato. A volte corrisponde: si tratta effettivamente di terroristi. A volte è un poco una forzatura, a meno di voler considerare “terrorista” chiunque si occupi di guerra, di fabbricazione di armi letali, di annientamento del nemico, tranne se americano. E in quel caso, effettivamente, a salvarsi al di fuori dell’America sono in pochissimi, forse solo i francescani, le crocerossine e i monaci buddisti.
Essere buoni alleati dell’America, come ripetono i nostri governanti, di qualsiasi schieramento politico, dal 1945 a oggi, un po’ come se il 1945 non fosse mai davvero passato, deve essere utile e giovevole. Non può essere greve e dannoso. Sala è una donna libera incarcerata da un regime misogino e illiberale. La sua liberazione vale bene qualche dissonanza con la politica estera americana.

Maalox

 

Per chi volesse ingurgitare il primo Maalox dell’agno…anno!



🤩

Economia

 

La democrazia in mano al big business (e ai grandi evasori)
DI STEFANO BARTOLINI
Professore di Economia Politica all’Università di Siena
Tasse pesanti sulla classe media e tagli a sanità e istruzione: questa è la realtà in molti Paesi europei, dove i conti pubblici in sofferenza impongono manovre severe, con gravi ripercussioni sulla stabilità sociale e politica.
Una soluzione consiste nell’ampliare la base imponibile tassando multinazionali e super-ricchi, i cui enormi patrimoni sfuggono. Secondo il Tax Justice Network, il gettito perduto ammonta a 212 miliardi di dollari per i Paesi ricchi, mentre a livello globale si tratta di 492 miliardi: circa 348 per lo spostamento di profitti all’estero e 145 per l’occultamento di ricchezza offshore. Le multinazionali eludono le tasse grazie a manovre contabili che permettono loro di pagarle nei paradisi fiscali: una delle soluzioni proposte è imporre di pagare le tasse nei Paesi dove si vendono beni e servizi. L’Onu e l’Ocse stanno lavorando per raggiungere un accordo internazionale in questa direzione. Fin qui tutto sembra sensato: i Paesi ricchi avrebbero molto da guadagnare e la torta è grande abbastanza da risollevare anche le finanze di molti Paesi a basso e medio reddito. Ma questa storia ha un finale a sorpresa. Non ci sarà una tassazione equa delle élite perché i Paesi ricchi si oppongono: Stati Uniti, Regno Unito, Australia, Canada, Nuova Zelanda, Israele, Giappone e Corea del Sud, e i Paesi europei si accodano. Molti credono che le élite economiche sfuggano alle tasse grazie ai paradisi fiscali, ma la realtà è che i paradisi fiscali sono la foglia di fico che nasconde l’opposizione dei Paesi ricchi alla tassazione delle grandi potenze economiche. Come si spiega questo, se va contro gli interessi nazionali? Gli studi dimostrano che le multinazionali e i super-ricchi esercitano un’enorme influenza sulla politica occidentale. La democrazia è in mano al big business. Non è sempre stato così: per molti decenni, dal secondo dopoguerra, le democrazie europee hanno prodotto decisioni a beneficio di ampie fasce di popolazione. Ma oggi siamo scivolati in quella che Colin Crouch chiama “postdemocrazia”, un sistema in cui il potere politico è concentrato nelle mani di un’élite economica. Gli attuali sistemi politici dei Paesi ricchi mantengono le apparenze democratiche (elezioni, libertà di parola…), ma falliscono nel loro scopo originario: allargare la partecipazione popolare. Questa involuzione spiega la crisi di fiducia nella democrazia. Dunque la spiegazione dell’opposizione autolesionista dei Paesi ricchi è semplice: le decisioni politiche non vengono prese nell’interesse della maggioranza, ma dell’élite economica. Il boicottaggio della tassazione delle multinazionali è forse l’esempio più spettacolare di postdemocrazia. Come siamo arrivati a questo punto? La globalizzazione ha mutato i rapporti di forza tra politica ed economia. Gli Stati sono sottoposti al ricatto del capitale transnazionale e, per attrarlo, accettano sconti fiscali e abbassano gli standard di protezione del lavoro e dell’ambiente. Un altro fattore cruciale è il finanziamento della politica: le campagne elettorali, sempre più costose, richiedono grandi risorse economiche e le grandi imprese sono finanziatori ideali. Questo legame rende la politica molto sensibile ai loro interessi. Il risultato è un sistema politico che non protegge gli interessi nazionali.
La narrazione dominante è che le alternative sono due: democrazia e autocrazia. Ma è una narrazione pericolosa. Secondo il Rapporto del Censis del 2019, il 48% degli italiani vorrebbe “un uomo forte al potere”. Tendenze simili si registrano in molti altri Paesi europei. Il discredito della democrazia attuale porta acqua al mulino di quella che viene presentata come sua unica alternativa: l’autocrazia. L’importante sarebbe capire che le alternative in realtà sono tre: la postdemocrazia, l’autocrazia e la democrazia. Quella vera.

Contro corrente

 

La Scossa
di Marco Travaglio
Anche stavolta, come negli altri nove semolini di fine anno, il presidente Sergio Mattarella è riuscito a non dire praticamente niente. Perciò, come le altre volte, ci eravamo riproposti di non dire niente sul niente che ha detto lui. Poi abbiamo scoperto dai giornaloni che, pur senza dirle, aveva detto un sacco di cose. Il Corriere ne è rimasto talmente elettrizzato da segnalare in prima pagina la “scossa di Mattarella”; invece Repubblica ha preferito puntare sulla “scossa di Mattarella”, mentre la Stampa ha optato per “la scossa di Mattarella”. Il mondo è bello perché è vario. Escludendo che le migliori gazzette facciano tutte lo stesso titolo in ossequio alle veline del Colle (non sarebbe da loro, né da Colle), la singolare sintonia ha due sole spiegazioni possibili: 1) che i quirinalisti siano immuni dall’effetto-anestetico che il sermone quirinalizio sortisce su tutti i comuni mortali (da cui il nuovo record di ascolti a reti unificate); 2) che confondano il cloroformio con l’alta tensione e, se vedono un tizio che dorme, pensino fra sé e sé: “Questo deve aver preso la scossa”.
Noi, temendo di esserci persi nel dormiveglia qualche passaggio particolarmente ficcante, ci siamo rivisti l’intera omelia. E in effetti abbiamo scoperto notizie sconvolgenti. “La notte di Natale a Gaza una bambina di pochi giorni è morta assiderata”: il presidente non ha spiegato il perché, ma poco dopo ha denunciato il “mutamento del clima”, quindi dev’essere stato per quello. “La stessa notte di Natale feroci bombardamenti russi hanno colpito le centrali di energia dell’Ucraina per costringere la popolazione al buio e al gelo”: ecco, lì si è capito chi è stato ed è una fortuna che a Gaza non ci siano feroci bombardamenti israeliani da 15 mesi, sennò avrebbero potuto morire ammazzati anche altri 45 mila palestinesi. “La nostra Costituzione indica la pace come obiettivo irrinunziabile, che l’Italia ha sempre perseguito”: quello doveva essere l’angolo del buonumore, infatti includeva il monito a “evitare che vengano aggrediti altri Paesi d’Europa”. Tipo la Serbia, bombardata nel 1999 per 11 settimane da un governo vicepresieduto da Mattarella. “Colmare le distanze fra Nord e Sud”, “I giovani sono la grande risorsa del nostro Paese”, “Un’attenzione particolare richiede il fenomeno della violenza”, “Preoccupa il diffondersi di alcool e di droghe” e non va affatto bene ammazzare le donne e truffare gli anziani: ma neanche calpestare le aiuole, parlare al conducente, fare il bagno in mare subito dopo mangiato, cose così. Altro che scossa: una folgorazione via l’altra. Poi, cinque secondi prima della mezzanotte, è arrivato il messaggio di Angelo dei Ricchi e Poveri. E noi, senza offesa per nessuno, avremmo tanto voluto irrompere nel teleschermo per abbracciarlo.

giovedì 2 gennaio 2025

Guarda guarda!



Toh, guarda chi c’è…(ho avuto lo stesso sussulto di frate Guglielmo da Baskerville allorché scoprì il passaggio per la biblioteca segreta dell’abbazia «di cui è pietoso e saggio tacere anche il nome»)

Propositamente

Da un possessore della "tendenza patologica alla procrastinazione" come me, il nuovo anno, come tutti i "nuovi anni", mielosamente, provoca un rigurgito, stile bebè, di buoni propositi, di traguardi pacchianamente già irraggiungibili, ma tant'è: 

Nel nuovo anno vorrei terminare di leggere la Recherche di Proust, iniziata, ripresa, ri-iniziata, ri-ripresa svariate volte, e la Divina Commedia - ho quasi finito l'Inferno -  ma siccome mi emoziona grandemente, penso a quanto sia miracoloso che una mente, al pari di quella di Proust, abbia potuto concepire un'opera così divina, strabiliante, e allora questa sensazione mi fa intoppare, bloccandomi, un po' come, col dovuto rispetto, la serie Breaking Bad m'insuffla allorché avanzo con le puntate, inducendomi a dilazionare il tempo della visione, la seconda per la cronaca, tanto bella e perfetta la considero - vero infatti il detto "c'è Breaking Bad e poi ci sono le altre serie" - ma dopo questo spottone continuiamo;

Mi piacerebbe scrivere qualcosa, un libro perché no? 

Vorrei pure leggere i classici russi, quelli greci, Shakespeare, perché mi terrorizza l'idea di andarmene senza aver potuto assaporarne la bellezza, considerando pure il rincoglionimento da canizie che già impercettibilmente avverto. 

Vorrei pure nel 2025 ribellarmi alla mentalità di questo secolo, all'intruppamento da asini che ci hanno appioppato, vorrei combattere il principio delle multinazionali che sanno tutto di noi prevedendone i gusti, le pedisseque scelte alimentanti questo becero capitalismo deteriorato. Chissà che, andando fuori dagli schemi, non provochi qualche risentimento in coloro che già pacchianamente son convinti che ciò sia impossibile - infatti ho le ghiandole salivari in piena produzione al pensiero del nuovo I Phone 17 con AI integrata - e conseguenzialmente avverto la classica carezza sul coppino e il "rilassati dai, pensa solo a consumare!" 

Vorrei contribuire all'abbattimento del pensiero sociale attuale con annessa forbiciona divaricante sempre più le condizioni degli strati casta che c'aggrovigliano la vita. Sogno un "Che" che venga a sconquassare questo cosiddetto mondo evoluto, nella realtà un groviglio di idiozie finanziarie sfanculanti l'idea normodotata che questa biglia blu dispersa nelle periferie dell'anonima galassia Via Lattea stia soccombendo alle scelleratezze della specie attualmente al comando, la nostra, che ancor 'oggi gode nel preferire la combustione fossile a scapito di altre, per i propri porci comodi. 

Vorrei pure contribuire a vedere gli ex cammellieri oggi ultra riccastri ridotti sul lastrico e invocanti acqua e frutta fresca. Sin d'ora boicotterò lo sport che per piaggeria si prostrerà ai loro diktat dal sapore dollarone - a che ora c'è domani Milan Juve ehm... - 

Vorrei non fare progetti che già sin d'ora so che non rispetterò.... mannaggia! Già il primo proposito è andato a farsi benedire! 

Comunque: Buon 2025!

A volte s'impara!

 


Quel “filibustiere” di Churchill, padre dei nostri disastri

di Angelo d’Orsi

Nell’ultimo mezzo secolo, l’Inghilterra ha prodotto leader che ne hanno davvero combinate di tutti i colori, convinti che il loro Paese fosse l’erede dell’Impero britannico, che ne avesse ricevuto in retaggio la potenza, sorretti dalla indefettibile amicizia-sudditanza ai cugini di Washington. E proprio come negli Stati Uniti, la differenza tra i liberali e i conservatori, tra whigs e tories, è andata sfumando fino a diventare impercettibile. I primi ministri che si sono succeduti sono, all’esame obiettivo della storia, a dir poco imbarazzanti: quello attuale è un certo Starmer, un buonuomo che annaspa tra Interni ed Esteri, ma non fa un passo senza il consenso del vecchio Joe (Biden) e ha sostituito l’iper-conservatore Sunak, venuto dopo la reazionaria Liz Truss, una donna che era oltre una perenne crisi di nervi (dichiarò che sarebbe stata orgogliosa di pigiare il bottone che avrebbe scatenato la guerra atomica con Putin), e prima ancora il grottesco Boris Johnson, al cui “merito” va ascritto, oltre che la disastrosa Brexit, il confitto in Ucraina (essendo colui che cancellò con un tratto di penna le intese russo-ucraine, su diktat Usa), preceduto da altri due conservatori come Teresa May e David Cameron che non hanno praticamente lasciato traccia come il predecessore laburista David Brown. E si arriva, andando a ritroso, al finto-progressista Tony Blair, che ha imperversato un intero decennio, mandando in brodo di giuggiole i finto-progressisti de noantri, e ancora oggi viene esaltato, lui genio maligno di tutte le guerre degli anni 90 e 2000, colui che dichiarò con encomiabile faccia tosta che quella del Kosovo del 1999 era “la lotta del bene (noi) contro il male (loro)”. Tutti costoro, pur nelle differenze, a ben vedere sono figli, nipoti e pronipoti di colui che ancora oggi viene considerato il padre della patria britannica, colui che l’ha difesa contro nazismo e comunismo, che ha mobilitato la Resistenza contro i bombardamenti tedeschi negli anni 40 e che è venuto a patti con Stalin, dopo aver espresso fin dal 1917 il desiderio e la necessità di “strozzare nella culla” il bambino comunista (frase sua). Alludo a Winston Churchill, naturalmente, che noi europei occidentali consideriamo uno dei “Grandi” della storia ma che visto da vicino si rivela la quintessenza del filibusterismo anglosassone: non a caso la sua erede diretta e dichiarata è Margareth Thatcher, ed è detto tutto. Ci aiuta ora a ripercorrerne la vita e l’opera Tariq Alì, un analista geopolitico versato in molti campi, dalla letteratura alla storiografia. Il suo libro (Vita e malefatte di Winston Churchill, Derive Approdi), oltre a essere ricco di analisi acute e spiazzanti, è da leggersi dilettevolmente e utilmente: straripante di notizie e suggestioni stimolanti, espresse con tono efficacemente sarcastico.

Il mondo intero, secondo le prospettive dell’Impero britannico, fu il terreno d’azione di questo avventuriero della politica, le cui azioni l’autore colloca nel quadro della classe dirigente liberale internazionale, pronta a qualsiasi transazione sui principi, pur di trionfare, a scapito di moralità e diritto. Una conferma giunge da quelli che possiamo chiamare gramscianamente “gruppi subalterni” che Alì porta alla ribalta nella narrazione, dalla Manica all’Atlantico, dal Pacifico all’Oceano Indiano, uomini e donne che lottavano contro l’imperialismo, il colonialismo e il razzismo, tre categorie di cui Churchill fu capofila indiscusso. Sicché lo vediamo vantare la superiorità maschile irridendo le suffragette, reprimere con ferocia la rivolta dei minatori, autorizzare i gas asfissianti contro i popoli “incivili”, ammirare Mussolini, favorire l’ascesa del golpista Franco in Spagna, opporsi agli sviluppi progressisti della lotta di liberazione in Italia, provocare la morte di centinaia di migliaia di persone in Kenya o in India, in base alla teoria dell’inferiorità razziale di neri e asiatici, che si opponeva a ogni idea di “ibridazione” tra gli europei bianchi, cristiani, anglosassoni e “gli altri”. Un mondo quello di questo “servitore dell’Impero” che ha preparato i disastri odierni.

Due conti




Ad ogni concerto

 

Se siete stressati dal lavoro quale migliore augurio per un buon 2025 con il concerto di Vienna e due maestri che chissà quali traversie di prove e stress supereranno per raggiungere la perfezione. A voi scovarli…




Che dire....

 



Centrino

 

Miss Grande Centro
di Marco Travaglio
Più i giornali perdono lettori, più parlano di politici senza elettori. Senza mai domandarsi se non ci sia per caso un nesso causa-effetto. È come se un irrefrenabile impulso suicida o un mortifero algoritmo imponesse uno spazio fisso per personaggi e argomenti che stanno sulle palle a tutti o non fregano niente a nessuno. Una tassa da pagare, anzi da far pagare agli sventurati che ancora si trascinano in edicola sperando di avere in cambio qualche notizia. La prelibatezza più in voga è l’intervista giornaliera a tal Renzi, il cui successo sui media è inversamente proporzionale a quello nelle urne. Da un mese, quotidianamente intervistato da maggiordomi e cameriere, ripete che il divieto di prendere soldi da governi extraeuropei è “ad personam” contro di lui, infatti “Berlusconi non l’avrebbe mai votato” (fece solo 80 leggi ad personam: esempio azzeccatissimo), insomma una “norma sovietica” e “sudamericana” (notoriamente l’Unione Sovietica era in Sudamerica). E nel personale di servizio nessuno interrompe mai il pianto greco per obiettare che: 1) il divieto per i senatori vale già per i deputati italiani ed europei; 2) se colpisce solo lui è perché c’è un solo parlamentare in tutt’Europa che si fa pagare dal regime criminale saudita di bin Salman: lui.
Un altro imprescindibile desertificatore di urne e di edicole è Paolo Gentiloni (parlandone da sveglio). L’altroieri campeggiava sul Corriere con foto “mentre lascia l’ufficio di Bruxelles” e titolo: “Il centrosinistra e lo scettro del ‘Federatore’. Le carte in mano a Gentiloni”, che “tornerà a parlare”, è “una riserva della Repubblica”, ha un “curriculum poderoso” e si porta su tutto: “federatore” del centrosinistra o del centro, sempreché qualcuno voglia farsi federare da lui, “premier” e persino “punta di diamante” di qualcosa. Casomai qualche lettore fosse sopravvissuto, ecco il sommario da ko: “Delrio lancia Comunità democratica con Prodi e Ruffini”, ma pure “padri nobili come Castagnetti” (mai più senza), insomma “Delrio chiede una maggiore accoglienza e spazio, nel Pd o anche fuori dal Pd” (una sciarada: non si vede perché un deputato del Pd come Delrio dovrebbe chiedere accoglienza nel Pd né a chi si dovrebbe rivolgere per avere accoglienza fuori dal Pd). Onde evitare che altri ectoplasmi si adontino, Rep svela “Chi conta a Bruxelles: Euronews promuove Draghi e Letta” (ormai sono citati in coppia, come Ric e Gian). È il vantaggio della post-democrazia: i voti sono un handicap. Anche Macron sceglie i suoi premier trimestrali esclusivamente fra i senza voti: meno ne hai, più sei bravo. E pure bello. Rep segnala “la somiglianza di Bayrou con Richard Gere”. Un fico spaziale. Ma mai come Renzi, Gentiloni, Delrio e Castagnetti, che sono sputati Brad Pitt.

L'Amaca

 

La parola che dicono tutti
DI MICHELE SERRA
Il conduttore del veglione di San Silvestro su Raiuno si è scusato per un vigoroso “teste di cazzo” pronunciato da un cantante ed entrato nell’audio della diretta (per la cronaca: il cantante non era un trapper tatuato dal repertorio gaglioffo, ma un anziano melodista, molto “per famiglie”).
Quella che è forse la parola più pronunciata nel linguaggio corrente degli italiani, soprattutto i più giovani, è dunque ancora un tabù per la televisione pubblica, esattamente come quando Cesare Zavattini, in una trasmissione radiofonica del 1976, la scandì solennemente con il proposito dichiarato di creare un piccolo scandalo verbale, in funzione anti-ipocrita.
È passato mezzo secolo e tutto è cambiato: la parolaccia che faceva arrossire le signore, e procurava a chi la pronunciava in pubblico lo stigma della maleducazione, è ormai un intercalare fisso, quasi un’interpunzione. Ha perso ogni aura maledetta, nessun rischio è a carico del suo utilizzatore. È una parola gratis.
Mi è capitato, in un aeroporto lontano, di individuare l’imbarco per l’Italia per via auditiva: gli italiani erano laddove il “cazzo” suona. È stato bello, una specie di richiamo della Patria, come il profumo della pizza, come l’onnipresente “vinceroooooooo”.
Ora, ognuno è libero di giudicare sorpassata e assurda la castigatezza della Rai. Io devo dire di averla apprezzata in chiave anticonformista: una specie di argine disperato contro la norma, la moda, l’abitudine. Oggi Zavattini, alla radio, per scandalizzare direbbe: non la dico, perché la dicono tutti.